Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12293 del 07/06/2011

Cassazione civile sez. II, 07/06/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 07/06/2011), n.12293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29059/2005 proposto da:

C.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI GRACCHI 60, presso lo studio dell’avvocato CUGINI

ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOVATI Mariagabriela;

– ricorrente –

contro

SAVAGRAFICA SRL P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL LEGALE

RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE SIG. S.S., elettivamente

domiciliatao in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio

dell’avvocato ANDREOZZI CLAUDIO, rappresentato e difeso dall’avvocato

BERSANI Giuseppe;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2005 del Tribunale di Bergamo – SEDE

DISTACCATA di TREVIGLIO, depositata il 01/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Alessandro Graziani con delega depositata in udienza

dell’Avv. Mariagabriela Novati difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 21.06.2001, la società Savagrafica srl proponeva opposizione al decreto ing. n. 114/01 con il quale il G.d.P. di Treviglio le aveva ingiunto di pagare all’istante avv. C.A. la somma di L. 4.676.000 per prestazioni professionali da lui rese in favore della stessa società con riferimento ad un precedente giudizio d’opposizione a decreto ing. (n. 29165/96 dei pretore di Milano), intercorso tra la stessa società opponente e la soc. Etoile srl ( già Laburatoires du Nord sr.), prestazioni che erano state liquidate da quel giudice nella somma di L. 5.176.000 ( il ricorrente, nel richiedere il provvedimento monitorio, aveva defalcato l’acconto di L. 500.000).

Deduceva l’opponente di aver versato all’avvocato la somma dovuta e precisamente di L. 1.502.000 + L. 2.500.000 ( per tot. L. 4.002.000) di cui rispettivamente alle ricevute n. 5/96 e n. 1/98, dichiarandosi comunque disponibile a versare eventualmente anche la differenza di L.674.000. Chiedeva pertanto il rigetto del provvedimento monitorio o in subordine la declaratoria che essa società opponente era tenuta al pagamento della minior somma di L. 674.000.

Si costituiva l’avv. C. contestando la proposta opposizione di cui di cui chiedeva il rigetto, con la condanna dell’opponente alle spese processuali ed ai danni ex art. 96 c.p.c.. Rilevava di avere assistito la società opponente, con riferimento alla richiamata procedura monitoria intercorsa con la soc. Laburatoires du Nord srl, in 3 distinti procedimenti (quello monitorio, di opposizione ed esecutivo); ammetteva di avere ricevuto dalla Savagrafica la somma di L. 1.502.000 (al netto L. 1.236.000) + 3.125.000 (al netto 2.500.000), ma sosteneva che tali somme erano state imputate in diversa misura al procedimento della fase monitoria e a quello dell’esecuzione. Al riguardo replicava la società opponente che le imputazione dei pagamenti si riferivano espressamente al giudizio di opposizione, come attestato dalla prodotte ricevute di pagamento n. (OMISSIS).

In esito a tale giudizio il G.d.P. di Treviglio – ritenute provato il pagamento delle somme di Euro L. 4.002.000 da parte dell’opponete e corretta la imputazione delie somme stesse – con la sentenza n. 293/02 depos. in data 20.5.2002 revocava il decreto opposto e condannava la società opponente al pagamento della residua minior somma dovuta di Euro 348,09 in sorte capitale, oltre le spese del giudizio. La sentenza veniva appellata dalla società Savagrafica che ribadiva che nulla era dovuto al professionista per il giudizio di opposizione menzionato; si costituiva l’avv. C. chiedendo il rigetto dell’impugnazione, contestando in specie il significato probatorio attribuito dalla società alle ricevuta n. (OMISSIS) (che dichiarava di non aver mai sottoscritto e dunque sarebbe tanquam non esset) ed alla ricevuta n. (OMISSIS) (che sosteneva di non aver compilato per la parte relativa all’imputazione in essa contenuta).

L’appellato inoltre formulava impugnazione incidentale chiedendo il rigetto dell’opposizione a decreto ing. e la condanna della società al pagamento dell’intera somma di cui al provvedimento monitorio opposto.

L’adito tribunale di Bergamo con sentenza n. 42/05 depos. in data 1.2.05, in parziale accoglimento dell’appello principale ed in riforma della decisione opposta, condannava la soc. appellante al pagamento della minor somma di Euro 25,31, riconoscendo che la stessa aveva corrisposto all’avv. C. la somma complessiva di L. 4.627.000 per la causale di cui al decreto ing. opposto, con una differenza quindi soltanto di L. 49.000, pari ad Euro 25,31.

Rigettava l’appello incidentale e la domanda di responsabilità aggravata dal medesimo proposta (regolando variamente le spese processuali) ribadendo che l’imputazione delle somme corrisposte era contenuta nelle ricevute di pagamento prodotte. Avverso la predetta sentenze l’avv. C. propone ricorso per cassazione fondato su 4 mezzi, illustrati da memoria; la società intimata resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. e degli artt. 116 e 115 c.p.c. Sostiene che la ricevuta n. (OMISSIS) è priva della propria sottoscrizione cioè quella del creditore; si tratterebbe quindi di un documento giuridicamente inesistente, senza alcun valore legale ai fini dell’imputazione del pagamento.

La doglianza è infondata. Invero è pacifico che entrambe le ricevute a suo tempo prodotte dalla società non erano state tempestivamente disconosciute dall’avvocato in sede di comparsa di risposta cioè nel primo atto difensivo (art. 214 c.p.c.), per cui le stesse dovevano ritenersi tacitamente riconosciuta dallo stesso avv. C. ai sensi e per gli effetti dell’art. 215 c.p.c., n. 2.

Con il 2^ motivo l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1193 c.c., comma 1. Sostiene che l’imputazione del pagamento per essere valida doveva essere contestuale al pagamento stesso, essendo inefficace – come nella fattispecie avvenuto – la successiva dichiarazione del debitore.

La doglianza è infondata trattandosi di motivo nuovo, non risultando che in precedenza era stata posta la questione specifica della contestualità dell’imputazione del debito con il suo pagamento. Nè peraltro è stato provato dallo stesso esponente che le predette imputazioni di pagamento erano state apposte in momento diversi rispetto alle date riportate nelle ricevute in questione.

Con il 3^ motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116 c.p.c., per la mancata valutazione da parte del giudice dell’appello della documentazione prodotta che sarebbe determinante ai fini della decisione, con riguardo all’imputazione dei pagamenti. La doglianza è priva di pregio e deve ritenersi assorbita dalle conclusioni cui è giunto il giudice di merito circa la corretta imputazione dei pagamenti effettuata dal debitore.

Con il 4^ motivo infine, il ricorrente denunzia il vizio di motivazione conseguente “a omessa valutazione di elemento rilevante in causa”. Si tratterebbe di un errore circa il conteggio dell’acconto di L. 500.000 in cui sarebbe incorso in giudice. Anche tale doglianza è infondata. Lo stesso giudice ha invece valutato correttamente tale somma ed ha osservato che proprio esso professionista, in sede monitoria, nei richiedere il minor importo di L. 4.676.000 (rispetto alla maggiore somma di L. 5.176.000 liquidata dal giudice a titolo di spese legali), dichiarava di avere già percepita il predetto importo di L. 500.000.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per onorario, oltre spese ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria 7 giugno 2011

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