Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12291 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 23/06/2020), n.12291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Donati Viscido di Nocera M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10438/12 proposto da:

S.I.C.E.C.O. – SOCIETA’ ITALIANA CONFEZIONAMENTO E COMMERCIO

ORTOFRUTTA S.R.L., in persona del suo legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

ricorso dall’Avv. Francesco Sanzò ed elettivamente domiciliata in

Roma alla Via Tarvisio, n. 2 presso lo studio dell’Avv. Massimo

Farsetti.

– ricorrente –

Contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/18/11 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, depositata l’8 marzo 2011.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 ottobre 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO

che:

– la S.I.C.E.C.O. – Società Italiana Confezionamento e Commercio Ortofrutta s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale – sulla base del processo verbale di constatazione riguardante l’omessa contabilizzazione di ricavi, nonchè l’effettuazione di acquisti in nero – si richiedeva il pagamento di maggiori imposte relativamente all’esercizio 2003 per un ammontare complessivo di Euro 72.811,00, di cui Euro 58.722.00 per Irpeg, Euro 7.458.00 per Irap e Euro 6.631.00 per Iva, oltre a sanzioni e interessi;

– la Commissione tributaria provinciale di Milano ha rigettato il ricorso;

– la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha respinto l’appello della contribuente, ritenendo che la società contribuente non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare l’inesistenza sia dei ricavi non dichiarati sia dei costi per acquisti non documentati, a fronte di elementi gravi, precisi e concordanti di segno contrario;

– la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

– l’Agenzia delle dogane resiste con controricorso;

– in prossimità dell’adunanza, parte ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 – Erronea ricognizione del giudice di merito dell’astratta fattispecie normativa. Secondo quanto prospettato, la sentenza non argomenta in modo alcuno la decisione di ritenere legittimo l’operato dell’Ufficio allorquando decide che la fattispecie concreta, sottoposta al suo vaglio, vada collocata nell’astratta categoria normativa disciplinata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. La Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto considerare le caratteristiche, l’attendibilità e lo scopo del documento sul quale è stata incentrata l’attività di verifica e di accertamento, ovverosia il prospetto riportante le movimentazioni di magazzino denominato “SITUAZIONE SINTETICA” che non è mai entrato nelle carte processuali. Si sottolinea, al riguardo, che oggetto di valutazione da parte del giudice del merito è stato soltanto quello che i verificatori hanno ritenuto di dover riportare nel processo verbale di constatazione mediante un’arbitraria operazione di sintesi del documento in questione, che peraltro non poteva rappresentare la realtà contabile dell’azienda, avendo i caratteri dell’approssimazione al fine di consentire all’imprenditore un riscontro interno di ordine pratico e immediato con particolare riferimento alle consistenze di magazzino e all’incidenza su di esse di alcuni fenomeni degenerativi come il calo ponderale. Parte ricorrente pone in evidenza che non sempre gli appunti informali contengano dati più veritieri di quelli riportati nella contabilità ufficiale, nè è sufficiente affermare che il ritrovamento di appunti, schede, agende e altri documenti sia sufficiente a legittimare di per sè l’accertamento dell’ufficio, determinando l’onere della prova contraria in capo al contribuente. Il giudice, infatti, ha sempre il dovere di verificare il ragionamento presuntivo effettuato dall’Ufficio, a maggior ragione, in una situazione in cui i dati extracontabili ritrovati non configurino in alcun modo una forma di contabilità parallela. L’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare che quanto emerso dal predetto tabulato potesse far ipotizzare l’esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, al fine di giungere ad una ricostruzione di presunti ricavi non dichiarati dalla contribuente;

– con il secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo quanto argomentato, la pronuncia risulta priva del criterio logico che ha condotto la Commissione tributaria regionale alla formazione del proprio convincimento. Difetterebbe, in particolare, la valutazione dei fatti di causa e delle relative prove a fronte di una mera enunciazione di taluni assiomi relativi all’accertamento;

– i primi due motivi, trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati;

– in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (Cass. 6 giugno 2012, n. 9108). Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c. e ss. e dell’art. 2697 c.c., comma 2, (Cass. 7 giugno 2017, n. 14237; Cass. 23 aprile 2010, n. 9784);

– in tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti, i vizi motivazionali deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, non possono riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, poichè, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita davanti alla S.C., neanche quando il giudice di merito abbia posto alla base del suo apprezzamento massime di esperienza, potendosi in tal caso esercitare il sindacato di legittimità solo qualora il ricorrente abbia evidenziato l’uso di massime di esperienza inesistenti o la violazione di regole inferenziali (Cass. 27 luglio 2017, n. 18665);

– nel caso di specie, la Commissione tributaria ha riscontrato una differenza tra i dati del tabulato forniti dalla società, riguardanti i movimenti di magazzino, e quanto contabilizzato, lasciando presumere delle differenze rispetto alle vendite effettive. Anche il documento denominato “SITUAZIONE SINTETICA” proviene dalla stessa società, che avrebbe potuto produrlo lì dove fosse stato ritenuto effettivamente determinante. Sotto il profilo del vizio di motivazione non vengono dedotti fatti specifici ma si contesta l’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto dalla Commissione, per cui risulta inammissibile in questa sede la richiesta della loro rivalutazione;

– con il terzo motivo si contesta la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in riferimento all’art. 4 del titolo V, capitolo secondo, della raccolta provinciale usi edita dalla camera di commercio di Milano (relativa al quinquennio 2005 – 2010) – Negazione di norma di legge esistente. Si deduce, al riguardo, che l’art. 4 della raccolta provinciale degli usi prevede che sul peso dei prodotti ortofrutticoli freschi provenienti da fuori piazza è ammessa una tolleranza sul peso dovuta a calo naturale, secondo la specie del prodotto e precisamente: per la frutta in genere, non oltre il 2%; per gli ortaggi e i legumi in genere non oltre il 5%. La Commissione tributaria regionale non avrebbe compiuto nessuna valutazione in ordine alle norme applicabili alla fattispecie e sulla correttezza o meno dei criteri di calcolo adottati dall’Ufficio per la determinazione della perdita del peso dei prodotti ortofrutticoli (presuntivamente ritenuti, alla luce del tabulato, esistenti nel magazzino della contribuente sui riacquisti, ovvero ritenuti inesistenti ai fini dei ricavi) in conseguenza del loro naturale calo di peso, ovvero delle altre concause ampiamente descritte nel gravame proposto dal contribuente;

– il motivo è inammissibile;

– l’accertamento in merito alle differenze riscontrate tra i dati contenuti nel tabulato e quelli effettivamente contabilizzati si basa sui dati forniti dalla stessa società contribuente, che per tale ragione sono stati considerati certi dalla Commissione tributaria regionale. Alcun rilievo, pertanto, assume la questione dell’applicazione dell’uso in relazione al calo naturale della merce, così come prospettata, essendo diversa la ratio della decisione, giacchè l’unico termine di paragone è la percentuale dichiarata dalla società;

– con il quarto motivo si prospetta la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in riferimento alla L. n. 212 del 2000, artt. 712. Parte ricorrente deduce che l’amministrazione non ha tenuto in alcun conto l’articolata nota esplicativa depositata nel corso della verifica disposta dall’Agenzia delle entrate di Milano, con la quale si dava prova dell’illegittimità dell’infondatezza dei rilievi mossi al processo verbale di contestazione con riferimento ai parametri per la determinazione della corretta entità degli scarti di lavorazione, adottati dall’Ufficio con una percentuale determinata in maniera apodittica e arbitraria. La Commissione tributaria regionale, a sua volta, avrebbe omesso di valutare tali osservazioni, la cui deduzione rappresenta un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento, più volte segnalato in giudizio dalla ricorrente;

– il motivo è infondato;

– in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ai sensi della L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. 31 marzo 2017, n. 8378);

– nel caso di specie, come riferito anche da parte ricorrente, le osservazioni proposte della società sono state oggetto di una specifica indicazione nell’ambito del P.V.C. ma, con l’adozione dell’avviso di accertamento oggetto dell’impugnazione, non sono state evidentemente ritenute idonee a superare l’impianto posto alla base della verifica, per cui non sussiste alcuna violazione della normativa richiamata;

– le spese seguono la soccombenza e si liquidano come dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento di Euro 5.600,00 per onorari oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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