Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12291 del 07/06/2011

Cassazione civile sez. II, 07/06/2011, (ud. 22/03/2011, dep. 07/06/2011), n.12291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24132-2005 proposto da:

V.I. (OMISSIS), P.P.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SALARIA

227, presso lo studio dell’avvocato JASONNA STEFANIA, rappresentati e

difesi dall’avvocato ROMANO GIOVANNI;

– ricorrenti –

contro

O.U.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA S. ALBERTO MAGNO 9, presso lo studio dell’avvocato SEVERINI

GAETANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRERI

PAOLO EMILIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 493/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato GIANLUCA FONSI con delega dell’avvocato GIOVANNI

ROMANO difensore dei ricorrenti che ha chiesto di riportarsi al

ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.U.A., partecipante al condominio di via (OMISSIS), conveniva in giudizio innanzi al locale Tribunale P.P. e V.I., comproprietari di un appartamento facente parte del ridetto stabile, per sentirli condannare alla rimozione di un’opera consistente in due nicchie aperte nella facciata dell’edificio, nelle quali erano state poste a dimora altrettante caldaie per il riscaldamento, deducendo la violazione dell’art. 1120 c.c. e dell’art. 5, lett. m) del regolamento condominiale, che vietava ai condomini di apportare varianti di qualsiasi genere alle pareti esterne del fabbricato.

Resistendo i convenuti, il Tribunale accoglieva la domanda.

Tale decisione era quindi confermata dalla Corte d’appello di Torino, la quale osservava che l’art. 5, lett. m) del regolamento condominiale, avente natura contrattuale, non poteva essere interpretata in modo da escludere unicamente interventi o varianti di natura straordinaria sulle parti comuni dell’edificio, che, diversamente, tale previsione convenzionale sarebbe stata svuotata di significato rispetto a quanto già previsto dall’art. 1120 c.c. L’espressione adoperata dal regolamento, che vietava qualsiasi variante, non poteva che intendersi come diretta ad escludere qualsivoglia iniziativa di modifica delle pareti comuni, non rilevando, sotto il profilo della condotta successiva all’adozione del regolamento, pregresse e tollerate violazioni di esso.

Quanto all’inesistenza di un impatto estetico, la Corte subalpina osservava che pur potendosi, in ipotesi, condividere l’osservazione degli appellanti secondo cui le due nicchie, per le modalità con cui erano state realizzate (chiuse con sportelli a filo della parete e tinteggiate in maniera uniforme alla facciata dell’edificio, così da mimetizzarsi con essa), non recavano pregiudizio, non poteva considerarsi rilevante l’insussistenza della violazione dell’art. 5, lett. h) del regolamento, che vietava ogni opera che alterasse l’estetica dell’edificio, atteso che il divieto netto e tassativo di qualsiasi modifica alle facciate comuni, posto dal regolamento, non sarebbe stato superabile da alcuna valutazione positiva di natura prettamente estetica di opere di per sè vietate da altra disposizione regolamentare.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono P.P. e V.I., formulando due motivi di annullamento.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, lett. m) del regolamento di condominio, in relazione al concetto di “variante” e alla portata restrittiva e vincolante del regolamento stesso.

Sotto il primo profilo si deduce che il termine “variante”, riportato nella citata previsione, deve essere inteso in senso tecnico- edilizio, come documento che mira a modificare una concessione precedente o un progetto o un piano regolatore già approvato.

Sotto il secondo aspetto, si sostiene che la norma del regolamento condominiale in questione non presenta le caratteristiche per restringere le facoltà contenute nel diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in quanto è equivoca, foriera di interpretazioni discordanti, non adeguatamente prescrittiva e superata, successivamente, dalla comune intenzione delle parti e da contrastanti usi condominiali.

1.1. – Il motivo è infondato in entrambe le censure in cui si articola.

Occorre innanzi tutto precisare che la titolazione del motivo è da ritenere erronea, come pure l’affermazione che il regolamento condominiale in oggetto sia “una integrazione del codice civile” (v.

pag. 7 del ricorso).

Il regolamento di condominio che abbia natura (o meglio origine) contrattuale (o esterna) come nella specie ha ritenuto la Corte d’appello, con accertamento non oggetto di censura – è in ogni caso atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente regolamentari, incidenti, cioè, sulle sole modalità di godimento delle parti comuni dell’edificio. A conferma di ciò può osservarsi che – come si ritiene in dottrina – il giudice può approvare il regolamento formato su iniziativa di un condominio, ex art. 1138 C.C., comma 2, ma non predisporlo a propria cura; che nel caso di sua adozione giudiziale l’efficacia cogente del regolamento nei confronti dei condomini dissenzienti è mediata dall’art. 2909 c.c. (cfr. Cass. n. 1218/93); e che l’estensione dell’efficacia di esso anche a coloro i quali non presero parte alla sua formazione è attuata propter rem, lì dove, per contro, il dovere di osservanza di un atto (eteronomo e dunque) propriamente normativo prescinde, per il grado di generalità ed astrattezza che lo assiste, da una necessaria ambulatorietà passiva. Pertanto, le norme del regolamento condominiale contrattuale non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità sotto il profilo della violazione o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Deve ulteriormente rilevarsi, quindi, che il motivo in esame deve essere (ri)qualificato e (ri)guardato soltanto sotto l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti in cui ne offre spunto.

1.1.1.- Con la prima censura parte ricorrente contesta l’interpretazione che la Corte d’appello ha fornito della citata norma del regolamento condominiale quanto alla nozione di “variante” ivi contenuta, che si sostiene debba essere intesa nell’accezione tecnico-giuridica di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.

Sebbene non menzionato (e richiamato, invece, in ordine alla seconda censura) l’unico criterio ermeneutico astrattamente coordinabile con il senso della critica è costituito dall’art. 1362 c.c. e dal principio dell’interpretazione letterale come tecnica primaria di verifica della volontà delle parti.

Ciò posto, e data la frequente polisemia delle parole d’uso corrente (nei sistemi linguistici indoeuropei), è compito del giudice di merito valutare se una data espressione sia stata adoperata dalle parti secondo l’una o l’altra accezione possibile, fermo restando che proprio l’esclusa sindacabilità della norma condominiale sotto il profilo della violazione di legge estromette, quale surrettizia riedizione di un controllo di tal genere, l’ipotesi che detta interpretazione debba avvenire necessariamente e prioritariamente favorendo i significati tecnico-giuridici.

1.1.1.1. – Nello specifico, la sentenza impugnata ha attribuito alla parola “variante” un significato non tecnico, ma di senso comune e di portata più ampia. La Corte subalpina ha osservato, infatti, che con il vietare “qualsiasi variante” l’art. 5, lett. m) del regolamento di condominio non è volto soltanto ad evitare interventi o varanti di natura sostanzialmente straordinaria, insite nel concetto di variante propugnato dalla parte (in allora) appellante, ma è diretta a comprimere anche interventi di più modesta portata costruttiva o di minore impatto estetico, che tuttavia introducano, per le singole porzioni in proprietà esclusiva, un uso personalistico delle parti comuni dell’edificio, nello specifico le pareti esterne, che verrebbero invece singolarmente caratterizzate proprio dalle esigenze di ciascun condomino, con sostanziale alterazione e turbamento della complessiva uniformità estetica e funzionale dell’edificio.

Tale motivazione è da ritenere senz’altro sufficiente e congrua, poichè da un lato coerente al senso comune delle parole adoperate nella previsione regolamentare, e dall’altro adeguatamente esplicativa delle ragioni per cui non è stata ritenuta plausibile la tesi del rimando ad una nozione tecnico-giuridica dell’espressione in esame.

1.1.2. – Anche la seconda censura del primo motivo è priva di basi sotto il profilo del vizio motivazionale.

La Corte territoriale, infatti, ha osservato, quanto all’assertivo rilievo di condotte condominiali pregresse di segno contrario al divieto di cui all’art. 5, lett. m) del regolamento, che comportamenti ispirati a scarso rispetto di norme regolamentari di per sè chiare non potrebbero assurgere ad interpretazione delle stesse, allorchè anche un singolo condomino manifesti il proprio dissenso, lamentandone la specifica violazione, nell’esercizio del proprio diritto sulle parti comuni; e che prassi o usi contrattuali non potrebbero modificare il regolamento, per difetto del requisito di forma scritta ad substantiam.

Motivazione, questa, del tutto congrua anche in rapporto alla dedotta non prescrittività della disposizione, ove si consideri che o la norma del regolamento non possiede sufficiente chiarezza e univocità, ed allora neppure si pone il problema dei limiti e della forma richiesta per modificarla, essa dovendosi considerare come improduttiva di effetti; o la medesima è in sè valida ed efficace, ed allora resta intatta e non scalfibile l’osservazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui ogni modificazione richiede la forma scritta e sono irrilevanti, ai fini interpretativi, le condotte non comuni a tutti i condomini.

2. – Con il secondo motivo la sentenza d’appello è censurata per insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Si sostiene al riguardo che la Corte subalpina da un lato ha affermato che se non fosse affermata l’operatività dell’art. 5, lett. m) del regolamento condominiale le pareti esterne dell’edificio potrebbero essere alterate nella loro uniformità estetica dall’intervento dei singoli condomini, dall’altro ha ritenuto condivisibile l’assenza d’impatto estetico, essendo state realizzate le due nicchie in maniera tale da mimetizzarsi con la facciata dell’edificio. Pertanto, deduce parte ricorrente, delle due l’una: o la modifica della facciata ha alterato le strutture portanti dell’edificio, oppure tale alterazione è praticamente invisibile dal punto di vista estetico, e dunque irrilevante.

2.1. – Il motivo è infondato, perchè non coglie la ratio decidendi.

Il giudice d’appello, invero, pur condividendo “del tutto incidentalmente” che le opere eseguite dai P. – V. non avessero avuto in concreto alcun impatto estetico sull’edificio, ha tuttavia osservato – ben vero per mero scrupolo di completezza, visto che gli odierni ricorrenti avevano formulato un motivo di gravame sovrabbondante, non avendo il giudice di primo grado fondato la sua decisione sull’alterazione delle componenti estetiche della parete condominiale – che era irrilevante l’insussistenza della violazione della diversa norma del regolamento (art. 5, lett. h) che vieta innovazioni che alterino l’aspetto esteriore dell’edificio. La Corte subalpina, cioè, si è limitata a condividere il giudizio espresso dal Tribunale, ossia che il divieto netto e tassativo di cui all’art. 5, lett. m) non sarebbe comunque superabile da alcuna valutazione positiva circa l’assenza d’impatto estetico delle opere controverse. Deve, pertanto, escludersi ogni contraddittorietà della motivazione.

3. – In conclusione, il ricorso va respinto.

4. – Le spese de presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00 di cui 200,00 per spese vive, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2011

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