Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12290 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/06/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 23/06/2020), n.12290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13542/2012 R.G. proposto da:

VENCAR s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico Cartolano presso il

cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Taranto n. 6,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 163/22/2011, depositata il 25 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

Fatto

RILEVATO

che:

1.1 – La Vencar s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore F.A., impugna l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate di Como relativo all’anno di imposta 2005 con cui vengono accertate maggiori imposte (Irpef, Irap, Iva e sanzioni) in relazione alle operazioni di acquisto di n. 6 autovetture dalla ditta Italiancar s.r.l., fittiziamente interposta al solo fine di conseguire risparmi fiscali, nonchè per contabilizzazione di costi indeducibili ed omessa fatturazione di ricavi.

1.2 – La Commissione Tributaria Provinciale di Como accoglie il ricorso motivando con riferimento alla mancanza di prove della “compartecipazione della ricorrente al congegno denominato frode carosello”.

1.3 – La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in parziale accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle entrate, dichiara legittimo l’avviso di accertamento e dovuta l’Iva (ma non anche le imposte sui redditi) per le operazioni soggettivamente inesistenti, ritenendo sussistenti indizi gravi, precisi e concordanti della consapevolezza della società di partecipare ad una operazione fraudolenta, conseguendo così il vantaggio di poter detrarre l’Iva versata al soggetto fittiziamente interposto.

1.4 – Ricorre per cassazione solo la contribuente (è passata in giudicato quindi la decisione relativa alle imposte sui redditi) con un motivo e chiede la cassazione della sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione.

1.5 – L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede respingersi il ricorso avverso, vinte le spese processuali.

Diritto

CONSIDERATO

che:

2. – L’unico motivo di ricorso denunzia il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione della sentenza in relazione all’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Agenzia delle entrate circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

3. – Occorre premettere che le c.d. “frodi carosello” sono caratterizzate da un rapporto trilatero, in cui un soggetto economico fittiziamente interposto importa merce (in genere veicoli usati) da un venditore residente in un Paese comunitario in esenzione dall’Iva, e la rivende ad un terzo, apparentemente con aggravio dell’Iva, che però non versa, mentre il terzo la contabilizza in detrazione, in violazione del principio della neutralità dell’imposta.

4. – Questa Corte si è occupata ripetutamente degli aspetti tributari del fenomeno e dei criteri di ripartizione dell’onere della prova fra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente formulando i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851).

5. – La sentenza impugnata in questa sede appare rispettosa di tali principi, mentre è inammissibile il motivo di ricorso proposto, che, sotto il nomen di vizio di motivazione, in realtà contrasta la valutazione effettuata dalla sentenza impugnata di alcune (non tutte) delle circostanze di fatto costituenti le presunzioni su cui si fonda l’accertamento fiscale e valorizzate dal giudice di appello ai fini della decisione. La ricorrente chiede, in pratica, una rivisitazione del materiale probatorio acquisito, inammissibile in sede di legittimità.

6. – Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile, con le pronunzie che ne conseguono anche in tema di regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente Venicar s.r.l. al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.300 (duemilatrecento) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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