Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12288 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23912-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI GRECO;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPINA PIGLIONICA;

– controricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA SCIPLINO, EMANUELE DE

ROSE, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 66/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale stessa sede, ha affermato decorsa la prescrizione quinquennale dei crediti contributivi relativi alle cartelle esattoriali emesse nei confronti di S.F., rispettivamente n. (OMISSIS) (notificata il 27 aprile 2001), n. (OMISSIS) (notificata il 30 aprile 2002), n. (OMISSIS) (notificata l’8 marzo 2003), in difetto di atti interruttivi successivi alle notifiche; richiamandosi alle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in materia di durata della prescrizione relativamente agli avvisi di pagamento non opposti, la Corte territoriale ha osservato che gli elementi allegati al fine di provare la sussistenza di un valido atto interruttivo erano generici, che il primo atto interruttivo della prescrizione doveva essere ravvisato nella iscrizione ipotecaria del 21 settembre 2009, ma che, a quella data il termine quinquennale, da calcolarsi a partire dalla notifica delle cartelle contestate, era già decorso;

la cassazione della sentenza è domandata da Agenzia delle Entrate – Riscossione subentrata a Equitalia Nord s.p.a. sulla base di un unico motivo;

S.F. ha resistito con tempestivo controricorso;

l’Inps ha depositato procura;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è dedotta “Violazione dell’art. 2946 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 19, del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 4 e art. 20, comma 6, per non aver la Corte d’appello considerato applicabile il termine di prescrizione ordinaria decennale dopo l’iscrizione a ruolo dei contributi previdenziali”;

I’ Agenzia delle Entrate afferma che, pur in seguito alla sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, a cui il giudice dell’appello si richiama, la tesi della prescrizione decennale del diritto alla riscossione è egualmente sostenibile;

il diritto ad azionare il credito portato nelle cartelle da parte dell’agente della riscossione, in assenza di previsioni normative derogatorie, resterebbe quello decennale;

la sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016 si sarebbe limitata a statuire in merito alla sola applicabilità dell’art. 2953 c.c. alla fattispecie, ma non avrebbe affrontato il diverso aspetto relativo all’individuazione del termine di prescrizione del rapporto obbligatorio scaturente dal titolo esecutivo, che abilita l’agente della riscossione all’esercizio dell’azione di recupero coattivo, il quale, in assenza di espressa previsione per l’azione di riscossione, dovrebbe ritenersi decennale;

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

la Corte territoriale ha dato corretta attuazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 2016, secondo il quale “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’I. gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010).

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

nulla è dovuto all’Inps, il quale ha depositato procura;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge. Nulla spese in favore dell’Inps.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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