Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12288 del 15/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 15/06/2016, (ud. 25/02/2016, dep. 15/06/2016), n.12288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1599/2013 proposto da:

G.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA VALADIER 39, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

SABIA, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricoso;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA SAI ASSICURAZIONI SPA, GRANAROLO SPA, P.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4868/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato VINCENZO SABIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 16.11.2011 n. 4868 ha accolto parzialmente l’appello proposto da G.C. avverso la decisione di prime cure che aveva riconosciuto la esclusiva responsabilità di P.L. nel sinistro stradale occorso in data (OMISSIS) e condannato il responsabile, la società proprietaria del veicolo e la società assicurativa, in solido, al risarcimento dei danni, ed aveva interamente compensate le spese del grado.

I Giudici di secondo grado, ritenuta esente da critica la decisione di prime cure quanto alla liquidazione del danno biologico, permanente e temporaneo ed al danno morale, determinato correttamente secondo il criterio del punto tabellare, riconoscevano invece fondata la pretesa della maggiore liquidazione del danno derivante da invalidità lavorativa specifica, stabilita nella c.t.u. medico-

legale in misura pari al 30% del totale, determinando in Euro 139.108,77 la perdita reddituale capitalizzata al tempo del sinistro, in luogo di quella di Euro 13.000,00 liquidata dal primo giudice, e, previa detrazione dell’importo di Euro 129.114,22 già corrisposto dalla società assicurativa in data 30.6.1999 dalla predetta somma a tale data rivalutata, condannava gli obbligati in solido al pagamento del residuo importo, rivalutato alla data della sentenza di primo grado (15.4.2003), nonchè al pagamento delle altre somme liquidate dal primo giudice, oltre interessi legali dalla sentenza di primo grado fino al soddisfo, riformando anche il capo sulle spese che venivano attribuite ai soccombenti per entrambi i gradi del giudizio.

La sentenza, non notificata, è stata impugnata per cassazione dal Gabriele con tre motivi deducendo vizi attinenti all’attività di giudizio. La notifica del ricorso ritualmente eseguita ex lege n. 53 del 1994 in data 2.1.2013 nei confronti di Granarolo s.p.a. e di Fondiaria Assicurazioni – SAI s.p.a., risultava negativa nei confronti di P.L. rimasto contumace in entrambi i gradi di giudizio – in quanto nelle more deceduto, ed è stata quindi rinnovata in data 14.2.2013 nei confronti degli eredi Pa.Ma.

D., P.S., P.M. e P.G..

Il ricorrente provvedeva a depositare inoltre i documenti attestanti le notifiche nonchè estratti delle Tabelle di liquidazione del danno biologico in uso al Tribunale di Milano anni 2011 e 2013 ed al Tribunale di Roma anno 2010, provvedendo con notifica in data 11.2.2014 alla comunicazione dei documenti alle altre parti ex art. 372 c.p.c., allegando peraltro le “Tabelle di Milano degli anni 2011 e 2013 nonchè quelle dell’anno 2004 che non inglobavano il danno morale a quello biologico”.

Gli intimati non hanno svolto difese.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1226, 2043 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte territoriale, investita della questione relativa alla maggiore pretesa risarcitoria per le diverse voci di danno, non aveva provveduto a riliquidare tutte le voci secondo le Tabelle di liquidazione del danno alla persona più recenti in uso presso il Tribunale di Milano nell’anno 2011, nè aveva provveduto a liquidare autonomamente il danno morale.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione dell’art. 1226 c.c., ed i principi di diritto enunciati nei precedenti di questa Corte, sentenze n. 12408/2011 e n. 14402/2011, affermando che Il Giudice di appello non aveva riliquidato il danno e la mancata applicazione delle Tabelle milanesi era pertanto censurabile per cassazione in relazione al vizio di “violazione di norma di diritto”.

I motivi – che possono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione logica – si palesano privi di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in quanto fondati su una mera allegazione di divergenza tra importi riferibili alle singole voci di danno che non trovano specifico riferimento in elementi parametrici ritualmente acquisiti al giudizio, tenuto conto che: a) come riferito dallo stesso ricorrente, il primo giudice aveva liquidato le singole voci di “danno biologico”, “danno morale”, “danno da inabilità temporanea”, richiamando il criterio punto delle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (cfr. ricorso pag. 14); b) la Corte d’appello ha ritenuto corretta la determinazione eseguita in base al criterio punto tabellare, affermando che su tale valutazione (concernente le voci di danno biologico e morale) non incidevano eventuali scostamenti minimi in diminuzione od in aumento.

Ne segue che eventuali errori commessi dal primo Giudice in ordine alla applicazione dei criteri della Tabella milanese, avrebbero dovuto essere denunciati dal ricorrente non soltanto attraverso la specifica deduzione in grado di appello dell’errore di calcolo commesso, ma mediante il deposito in giudizio di copia delle Tabelle ritenute nella specie applicabili.

Il ricorrente si è limitato, invece, ad allegare soltanto che dette Tabelle erano state prodotte in primo grado (cfr. ricorso pag. 22) e soltanto “richiamate” in grado di appello, avendo provveduto ad integrare detta lacuna in sede di legittimità soltanto mediante il deposito delle Tabelle milanesi e la comunicazione del deposito dei documenti alla controparti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2.

Orbene, indipendentemente dall’orientamento giurisprudenziale di questa Corte che preclude l’accesso al sindacato di legittimità del vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel caso in cui il ricorrente non abbia assolto all’onere dimostrativo di aver dedotto la violazione dei criteri di liquidazione del danno delle Tabelle milanesi (in relazione al principio di diritto statuito da questa Corte Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011 di preferenza del criterio di liquidazione equitativa del danno ex art. 2056 c.c., adottato nelle predette Tabelle) e di “aver depositato copia delle suddette tabelle al più tardi in grado di appello” (cfr. Corte cass. Sezò 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, in motivazione; id Sez. 3, Sentenza n. 23778 del 07/11/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 24205 del 13/11/2014: diversamente, ma isolata, Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8557 del 29/05/2012, che considera le Tabelle alla stregua di precedenti giurisprudenziali per i quali non opererebbero i limiti alla produzione di nuovi documenti), osserva il Collegio che, qualora le Tabelle milanesi erano fossero state già acquisite nel giudizio di merito, il ricorrente avrebbe dovuto – oltre che indicare puntualmente con quale atto processuale erano state prodotte ed il luogo del processo in cui erano reperibili: Corte Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 4220 del 16/03/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015 –

depositarle nel giudizio di legittimità, unitamente al ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), (cfr.

Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011; id. Corte cass. Sez. U., Ordinanza n. 25038 del 07/11/2013), mentre, nel caso di specie, il ricorrente, tanto nel ricorso notificato in data 2.1.2013 a Granarolo s.p.a. e Fondiaria SAI Assicurazioni s.p.a., quanto nel ricorso notificato in data 14.2.2013 agli eredi di P.L., non ha indicato le Tabelle milanesi tra i documenti prodotti a fondamento della impugnazione, limitandosi alla generica ed insufficiente allegazione “seguono i fascicoli di parte dei giudizi di primo e secondo grado con i relativi atti e documenti prodotti”.

Non può sopperire alla mancata indicazione dei documenti il successivo deposito delle Tabelle milanesi e la notifica dello stesso, mediante elenco, eseguita in data 11.2.2014 (a distanza di un anno dalla notifica del ricorso) con “atto di comunicazione” diretto alle controparti, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2, essendo agevole rilevare in proposito come la produzione di “altri” documenti (intendendosi tali i documenti “nuovi” rispetto a quelli ritualmente depositati nei gradi di merito), sia consentita dalla norma processuale esclusivamente per “quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso” ed inoltre, in relazione a questi ultimi, sia consentito depositare separatamente dal ricorso (in deroga alla previsione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) soltanto i documenti relativi alla “ammissibilità del ricorso e controricorso”.

Tenuto conto poi della naturale esigenza di periodica modifica e rideterminazione delle Tabelle di liquidazione del danno alla persona – quanto meno in relazione alle variazioni della capacità di acquisto della moneta, deve escludersi che i valori tabellari possano assurgere a fatto notorio, così da assolvere dall’onus probandi la parte che se ne intende avvalere (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20742 del 26/10/2004), e che, avuto riguardo al carattere chiuso che contraddistingue il giudizio di legittimità circoscritto alla verifica dei soli vizi della sentenza di merito tassativamente indicati dall’art. 360 c.p.c., la Corte possa “ex officio” procedere alla ricerca ed individuazione degli stessi.

I motivi debbono quindi dichiararsi inammissibili alla strega del seguente principio di diritto:

“in tema di liquidazione del danno alla persona e con riferimento ai criteri di cui alle cd. Tabelle milanesi, non soddisfa l’onere di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il ricorso per cassazione che si limiti a riportare le somme di denaro pretese dal ricorrente a titolo risarcitorio in forza delle citate tabelle, senza fare specifica indicazione delle stesse tra i documenti posti a fondamento del ricorso, come prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), ed omettendo di indicare puntualmente con quale atto processuale sono state prodotte nel giudizio di merito ed il luogo del processo in cui risultano reperibili, limitandosi, piuttosto, ad un mero generico richiamo ai fascicoli di parte. Rimane escluso, infatti, per la stessa conformazione del giudizio di legittimità che la Corte, con riferimento alle menzionate tabelle, possa far ricorso al notorio o debba procedere alla loro ricerca di sua propria iniziativa. Deve ritenersi inoltre precluso al ricorrente “sanare” l’omesso deposito delle tabelle, unitamente al ricorso, mediante successiva comunicazione delle stesse alle controparti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2, non trattandosi di documenti relativi alla ammissibilità del ricorso”.

Quanto alla doglianza formulata in relazione alla mancata riliquidazione del “danno morale”, non è dato comprendere dalla esposizione dei motivi quale sia l’errore commesso dalla Corte d’appello che ha confermato sul punto la statuizione di primo grado:

il ricorrente ha incentrato, infatti, la esposizione degli argomenti a sostegno della censura interamente sulla “autonoma rilevanza” che deve essere attribuita alla voce non patrimoniale costituita dal “danno morale” (inteso come turbamento soggettivo, patema d’animo, situazione transeunte di dolore o sofferenza patita) rispetto alla liquidazione del “danno biologico”.

Orbene il primo giudice aveva liquidato a titolo di danno morale, considerandolo quindi come voce di danno autonoma rispetto al danno biologico, l’importo di Euro 20.658,28 (vedi ricorso pag. 17) e la Corte d’appello ha confermato detta statuizione: non è dato, pertanto, individuare quale sia la doglianza del ricorrente che, qualora dovesse, invece, riferirsi alla inadeguatezza del “quantum” risarcito per tale voce di danno in relazione alla mancata applicazione delle Tabelle milanesi, rimarrebbe allora anch’essa preclusa dalla rilevata inammissibilità dei motivi per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il terzo motivo (violazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c.) è fondato.

Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha erroneamente liquidato gli “interessi legali”, calcolati sull’importo risarcitorio relativo al danno biologico ed al danno morale, pari ad Euro 116.114,22 (cfr. secondo capo del dispositivo della sentenza di appello), a far data dalla pubblicazione della sentenza di primo grado (15.4.2003), anzichè dalla data dell’illecito ((OMISSIS)), in violazione degli artt. 1223, 2043 e 2059 c.c..

Fermo il principio più volte ribadito da questa Corte secondo cui la rivalutazione monetaria e la liquidazione degli interessi sulla somma capitale liquidata a titolo di risarcimento del danno alla persona, sono tecniche alternative volte alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione anteriore all’illecito (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 8520 del 05/04/2007; id. Sez. 2, Sentenza n. 3931 del 18/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 10193 del 28/04/2010;

id. Sez. 3, Sentenza n. 15709 del 18/07/2011), il risarcimento del danno da illecito aquiliano integra un debito di valore, dovendo il danno alla persona essere compensato con riferimento alla data dell’illecito, atteso che a tale data il danneggiato aveva diritto a conseguire l’equivalente monetario liquidato in forma equitativa, con la conseguenza che ove il giudice di merito abbia inteso riconoscere – come nel caso di specie – gli interessi compensativi al tasso legale, quale tecnica risarcitoria della mancata tempestiva disponibilità dell’equivalente monetario (lucro cessante), non può prescindere dal riferimento temporale indicato, e dunque sulla residua somma capitale (per danno biologico e danno morale) ancora dovuta al danneggiato, liquidata nella sentenza di primo grado, è tenuto ad attribuire l’integrale ristoro dello specifico danno patito, non assumendo a tal fine alcun rilievo la diversa data di pubblicazione della decisione di primo grado e fermo restando il principio che il risarcimento non deve essere fonte di indebita locupletazione, con la conseguenza che gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995; id. Sez. 2, Sentenza n. 878 del 03/02/1999).

La Corte d’appello, liquidando gli interessi compensativi a far data dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, anzichè dalla data dell’illecito, non si è attenuta ai principi di diritto indicati e deve essere cassata in parte qua.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, quanto al terzo motivo, inammissibili gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con la condanna degli intimati, in solido, al pagamento degli interessi in misura legale, a decorrere dalla data dell’illecito, calcolati sull’importo del danno biologico e morale incrementato annualmente della rivalutazione monetaria, a tal fine devalutata alla data dell’illecito, in base agli indici annuali ISTAT dei prezzi al consumo rilevati per le famiglie di operai ed impiegati, la somma di Euro 116.114,22 determinata alla data della decisione primo grado.

Gli intimati vanno condannati, in solido, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che, tenuto conto della parziale soccombenza del ricorrente, si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso, quanto al terzo motivo, dichiarati inammissibili il primo e secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, condanna gli intimati, in solido, al pagamento degli interessi in misura legale, a decorrere dalla data dell’illecito, calcolati sull’importo del danno biologico e morale incrementato annualmente della rivalutazione monetaria, a tal fine devalutata alla data dell’illecito, in base agli indici annuali ISTAT dei prezzi al consumo rilevati per le famiglie di operai ed impiegati, la somma di Euro 116.114,22 determinata alla data della decisione primo grado;

– condanna gli intimati in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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