Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12287 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18589-2018 proposto da:

A.G., B.T., AM.GI.,

C.V., CO.VI., AM.AN.LU.,

BR.SA., BU.SA., AS.DI.CA.MI.,

BA.GI., S.D.F.A.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA SEMPIONE 19/B INTE. 14, presso lo studio dell’avvocato

IRMA BOMBARDINI, rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO

CASTALDO;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPINA GIANNICO, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PUTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6862/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’Appello di Napoli, a conferma della sentenza del Tribunale stessa sede, ha rigettato la domanda di Am.Lu.An. ed altri, tutti marittimi presso plurime compagnie navali, intesa all’accertamento del diritto dei medesimi al beneficio contributivo di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13 e alla ricostruzione della pensione di anzianità (per coloro che già ne beneficiavano), per essere stati esposti stabilmente ai rischi da esposizione all’amianto fin dal 1980;

la Corte territoriale, richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità circa la necessità della prova dell’esposizione ad una dispersione di fibre di amianto nell’ambiente di lavoro, in concentrazione superiore ai valori di legge (D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31) (cd. esposizione qualificata) e per un periodo superiore a dieci anni, ha accertato che gli appellanti non avevano assolto in nessun modo al relativo onere probatorio, avendo allegato circostanze talmente generiche da rendere del tutto vana l’escussione di ulteriori testi e l’eventuale affidamento di una consulenza tecnica;

la cassazione della sentenza è domandata da Am.Lu.An. e dai suoi litisconsorti sulla base di due motivi illustrati da successiva memoria;

l’Inps ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, Omessa applicazione del D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 2;

la sentenza impugnata avrebbe errato nel fondare la propria decisione sulla mancata prova della cd. esposizione qualificata, non avendo tenuto conto del D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 2 (provvedimento con cui sono state introdotte nel nostro ordinamento le direttive Europee n. 1107 del 1980 e n. 477 del 1983), che ha inteso escludere i lavoratori della navigazione marittima e aerea, dall’applicazione della disciplina sull’esposizione all’amianto;

la predetta esclusione sarebbe venuta a cadere solo con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 2006, ma parte ricorrente sostiene che la vicenda in esame ricadrebbe, ratione temporis, sotto la disciplina del D.Lgs. n. 277 del 1991, comma 2, rubricato “Categorie escluse”;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. – Insufficiente e contraddittoria motivazione sulla valutazione delle prove in atti”;

censura l’omessa valutazione delle prove documentali prodotte e delle richieste istruttorie avanzate in conseguenza dell’erronea ripartizione dell’onere probatorio derivante dall’omessa applicazione del D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 2, ai lavoratori marittimi;

richiama, a tal fine, i documenti relativi alla letteratura scientifica in tema di amianto a bordo delle navi e di malattie correlate all’esposizione a fibre di asbesto prodotti e disattesi dal giudice del merito;

il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.;

la Corte territoriale ha accertato l’applicabilità, in capo agli odierni ricorrenti, della L. n. 257 del 1992, riscontrando in capo a ciascuno l’esistenza delle condizioni per le quali la successiva L. n. 326 del 2003 (art. 47), faceva salva l’applicabilità della precedente L. n. 257 del 1992;

nello specifico, la Corte territoriale ha accertato che tutti gli appellanti avevano già avviato un procedimento amministrativo per l’accertamento del diritto ai benefici da esposizione ad amianto in data antecedente al 2 ottobre 2003, e che pertanto essi rientravano nella disciplina dei valori soglia e dei requisiti temporali così come previsti dalla legge al fine di poter ritenere raggiunta la presunzione di un’esposizione qualificata all’amianto ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, commi 7 e 8;

le doglianze non si confrontano con tale ratio decidendi, che individua con precisione e senza vizi logico – interpretativi l’ambito di applicabilità delle leggi succedutesi in materia;

le critiche di parte ricorrente si limitano a rivendicare genericamente l’applicabilità agli odierni ricorrenti di una disciplina generale (D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 2) che, contemplando i lavoratori della navigazione marittima ed aerea fra le categorie escluse dalla sua applicazione, li collocherebbe, al fine che ci occupa, all’interno di un sistema aperto, caratterizzato dall’assenza di parametri rigidi di esposizione all’amianto;

le doglianze si rivelano inconferenti, atteso che la decisione non fa altro che applicare alla fattispecie il superiore principio secondo cui il rispetto della normativa sull’esposizione ad amianto ha una indiscussa validità anche nei confronti dei lavoratori marittimi, ed il limite di cui alla L. n. 277 del 1991, art. 2, non concerne il possesso dei requisiti per il godimento dei benefici che da essa conseguono;

ciò ribadito riguardo all’ambito di applicabilità dei criteri utili a beneficiare della tutela per esposizione ad amianto nei confronti dei lavoratori marittimi, la sentenza gravata, concordando col primo giudice, ha affermato non raggiunta la prova del diritto rivendicato da parte ricorrente;

ha accertato in proposito che gli appellanti non avevano precisato nè l’attività che svolgevano, nè dove, con quali modalità e per quanto tempo la svolgevano, nè su quali navi o parti delle navi: in altri termini non avevano fornito nessun elemento, neppure di massima, sugli ambienti di lavoro in cui ciascun ricorrente aveva prestato un’attività dalla quale potesse evincersi avvenuta un’esposizione qualificata personale alla sostanza morbigena;

nel pretendere la prova specifica ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, la Corte territoriale ha dato corretta attuazione alla giurisprudenza di questa Corte la quale ritiene che, anche qualora i lavoratori, come nel caso di specie, deducano di essere stati esposti al rischio dell’amianto per un periodo ultradecennale, ai fini della spettanza dei benefici di legge quello che è rivalutabile è il solo periodo di lavoro di effettiva e provata esposizione al rischio e che pertanto, per “intero periodo lavorativo” deve intendersi – alla luce delle finalità della L. n. 257 del 1992, evidenziate anche da Corte Cost. nella sentenza n. 5 del 12 gennaio 2000 – il periodo caratterizzato dal rischio di contrarre malattie, qual è soltanto il periodo in cui vi sia stata esposizione qualificata al rischio di asbestosi (In tal senso, cfr. tra le altre Cass. n. 26923 del 2016);

il secondo motivo con il quale si contesta il difetto di motivazione in merito alla omessa valutazione delle prove documentali prodotte e alla mancata ammissione delle richieste istruttorie avanzate, è inammissibile;

in proposito deve rilevarsi che la Corte territoriale ha dato specificamente atto dell’esame della produzione documentale degli odierni ricorrenti, rilevandone la genericità e l’assoluta inidoneità a fornire riscontri oggettivi in merito al superamento della soglia di rischio negli ambienti in cui essi operavano (o avevano operato);

la sentenza impugnata ha rilevato l’assenza di allegazione e prova “…della specifica e dettagliata indicazione delle mansioni di ciascun appellante, delle concrete modalità con cui tali mansioni venivano espletate, innanzitutto sotto il profilo temporale, in secondo luogo sotto il profilo del contenuto e infine sotto il profilo spaziale. Alcun riferimento viene fatto all’orario di lavoro, al modo in cui la prestazione era articolata nell’arco della giornata, alla quantità di tempo impiegato per ciascun compito, agli indumenti indossati” (p. 9 sent.);

il ricorso pretende di contrastare tali affermazioni limitandosi a dedurre l’omesso specifico riferimento a documenti estratti da pubblicazioni, relazioni e studi attinenti alla presenza di amianto sulle navi costruite prima del 1990, il cui contenuto non riproduce, omettendo di evidenziare, in relazione a tali documenti, specifici errori del ragionamento del giudice, o di indicare circostanze ed elementi trascurati aventi carattere decisivo, nel senso che la loro considerazione avrebbe comportato una differente valutazione del materiale probatorio;

la censura dei ricorrenti mira pertanto a sollecitare un riesame del materiale probatorio e quindi una nuova formulazione del giudizio di fatto, estranei alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, al quale, mentre è precluso riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale, è consentito controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonchè scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (ex multis, cfr. Cass. n. 18119 del 2008; n. 5489 del 2007; n. 20455 del 2006; n. 20322 del 2005; n. 2537 del 2004);

inammissibile, prima ancora che infondata, risulta la deduzione relativa all’omessa valutazione delle richieste istruttorie in quanto parte ricorrente ha omesso di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Corte deve essere posta in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. Cass. n. 17915 del 2010);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione dell’esito del giudizio, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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