Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12287 del 18/05/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 12287 Anno 2018
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: BALSAMO MILENA

SENTENZA
sul ricorso 15527-2012 proposto da:
AGRILEVANTE SRL in persona dell’Amm.re e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIALE DEL VIGNOLA 5, presso lo studio
dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentato e difeso
dall’avvocato LUIGI QUERCIA giusta delega a margine;
– ricorrente contro
COMUNE DI MODUGNO in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA XX SETTEMBRE l,
presso lo studio dell’avvocato VINCENZO DONATIVI,
rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO POZZI

Data pubblicazione: 18/05/2018

giusta delega a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 67/2011 della COMM.TRIB.REG. di
BARI, depositata il 09/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/03/2018 dal Consigliere Dott. MILENA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine rigetto del
ricorso.

BALSAMO;

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA
§.1 La società Agrilevante s.r.l. impugnava due avvisi di accertamento,
rispettivamente notificati il 7.07.2008 e 1’8.07.2008, emessi dal Comune di Modugno,
con i quali veniva rettificata la dichiarazione Tarsu, dalla predetta presentata nell’anno
2008, riconoscendo la riduzione per l’area destinata ad opificio (mq. 240 mq),
escludendo l’imposizione per l’area destinata alla sede di impianti (mq. 5.812) e
negando l’esenzione per l’area destinata a deposito di materia prima (1228 mq), ai

avvisi e della violazione dell’art. 62 comma 1 D.Igs 546/92.
In particolare, deduceva che, dal medesimo sopralluogo dei funzionari del
Comune di Modugno, era emerso che il locale era destinato a deposito di materia
prima (polveri chimiche) non produttiva di rifiuti, con la conseguente applicazione
della disciplina di cui al secondo comma dell’art. 62 richiamato.
La C.T.P. di Bari rigettava i ricorsi riuniti.
Avverso la sentenza di primo grado interponeva gravame la società
Agrilevante, reiterando le medesime difese.
La C.T.R. di Bari rigettava il gravame, fondando la propria decisione anche
sulle medesime rationes decidendi della prima pronuncia.
Avverso la sentenza n. 67/1/2011 depositata il 9.05.2011, la contribuente
proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resisteva con
controricorso l’amministrazione comunale di Modugno.
Il P.G. ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ed in subordine per il rigetto.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE
§.2 Con il primo motivo, la ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 62 comma 1 d.lgs
546/92 e dell’art. 360. n. 5 c.p.c..
Con riferimento ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, lamenta che il
comune di Modugno aveva l’obbligo di motivare gli atti di accertamento ed il diniego
all’esenzione per i locali destinati a magazzino di materie prime, sostenendo, al
riguardo, l’insufficiente motivazione dei giudici di appello per aver omesso di
esplicitare i criteri di valutazione degli elementi offerti dalle parti in corso del giudizio e
le modalità di ricostruzione dei presupposti alla base della soluzione della
controversia.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. non poteva sopperire alla carenza
motivazionale degli avvisi di accertamento e che non aveva esplicato le ragioni per le
i

sensi dell’ art. 62 comma 2 d.lgs 507/93, sul rilievo del difetto di motivazione degli

quali gli atti risultavano motivati. In ogni caso, sostiene che “i giudici di appello non
hanno motivato le ragioni per cui hanno ritenuto maggiormente idonei i fatti indicati
negli avvisi e non gli elementi offerti dalla ricorrente”,

aggiungendo, altresì, che la

motivazione è gravemente insufficiente perché i giudici di secondo grado non hanno
individuato le fonti del proprio convincimento e motivato la prevalenza di un elemento
sull’altro.
§.3 Con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione e

e dell’art. 62 comma 1 d.lgs 546/96, censurando la sentenza impugnata per aver
ritenuto assolto dal Comune di Modugno sia l’obbligo della motivazione degli atti
impositivi sia l’onere della prova della sussistenza dei presupposti impositivi e
denunciando l’omessa osservanza dei principi probatori in virtù dei quali, ad avviso
della ricorrente, l’ente comunale doveva fornire la prova che nell’area in esame si
producono rifiuti urbani o ad essi assimilati, circostanza che sarebbe smentita dalle
risultanze del sopralluogo effettuato nei locali dai funzionari del Comune; il quale
neppure avrebbe provato che gli eventuali rifiuti prodotti fossero assimilabili a quelli
urbani. In altri termini, la ricorrente lamenta che i giudici di appello non abbiano
deciso la questione di diritto relativa alla interpretazione dell’ad 7 dello statuto e
dell’art. 2697 c.c. in modo conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte.
§.4 Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e
4 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver deciso la legittimità degli avvisi
di accertamento, pur in assenza di contestazione in ordine agli elementi probatori
dalla stessa forniti.
§.5 Infine con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione
e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c. richiamato dall’art. 62

falsa applicazione degli artt. 7 e 10 dello Statuto del contribuente e dell’art. 2967 c.c.

D.Lgs. 546/92, censurando la sentenza impugnata per violazione del principio della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto i giudici di appello avrebbero t_
omesso di pronunciarsi in merito alla dedotta violazione dell’art. 62 d.lgs. 597/93,
essendo l’area oggetto di accertamento esclusa dall’assoggettamento a Tarsu, non
solo per la sua destinazione particolare, la quale osta alla produzione di rifiuti urbani o
ad essi assimilabili, ma anche perché, ai sensi del comma 3° del medesimo articolo, la
predetta area, per specifiche caratteristiche strutturali, produce rifiuti speciali allo
smaltimento dei quali la società provvede in via autonoma.

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Ribadisce, inoltre, che il comune di Modugno non ha mai contestato che nei suoi
locali si producessero polveri chimiche riconducibili ai rifiuti speciali smaltiti a mezzo di
ditte specializzate e lamenta l’omessa valutazione della prodotta perizia giurata,
concludendo per la violazione da parte del giudice d’appello dell’obbligo di decidere
sulla scorta delle prove acquisite ex art. 115 c.p.c.
§.6 Con il quinto motivo si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione
su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex artt. 62 comma 1 d.lgs 546/92 e

diritto dell’ente ricorrente alla esenzione dalla Tarsu, deducendo il vizio di
insufficiente motivazione per omessa individuazione dei criteri di valutazione degli
elementi probatori offerti dalle parti.
§.7 D primo motivo del ricorso è infondato.
Ebbene, con detto motivo la ricorrente si duole genericamente, senza nemmeno
descrivere gli elementi probatori trascurati, del fatto che i giudici di appello abbiano
ritenuto adeguatamente motivati gli avvisi di accertamento, omettendo di indicare le
fonti del loro convincimento, ritenendo la prevalenza di taluni
elementi(genericamente indicati) piuttosto che di altri. La doglianza, oltre che
genericamente dedotta, non risulta correttamente formulata, atteso che laddove si
lamenti l’omessa individuazione delle fonti probatorie poste a sostegno del proprio
convincimento, il ricorrente per cassazione non può limitarsi a denunciare il vizio di
omessa motivazione, giacché altrimenti la censura postulerebbe la caducazione della
decisione non per una concreta lesione sofferta dalla parte stessa, bensì solo per
ragioni formali, ma ha l’onere di denunciare in maniera specifica che, contrariamente
a quanto asserito dal giudice, nell’ambito degli elementi probatori non ne esistono di
idonei a giustificare il convincimento espresso; detto vizio sussiste solo se nel
ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il
mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece
consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello
preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il
potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare,
sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio
convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la
concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione( Cass. 2017/1593; Cass. 6288/2011).
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360 n. 5 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di decidere sul

§.8 D secondo motivo – relativo alla violazione dell’art. 7 (e dell’art. 10 che ha
introdotto la tutela dell’affidamento e della buona fede) dello statuto del contribuente
nonché dell’art. 2697 c.c. ex art. 360 n. c.p.c. – difetta del requisito
dell’autosufficienza, poiché, quando si censura la sentenza di una commissione
tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla
motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì atto
amministrativo – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti

interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di
cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base
al ricorso medesimo ( Cass. 16147 del 2017; Cass. n.2928 del 2015; Cass. n. 22003
del 2014; Cass.n. 8312 del 2013; Cass. n. 9536 del 2013). La mancanza della
trascrizione dell’avviso impedisce il vaglio di codesta Corte.
Peraltro, i giudici di appello hanno esplicitamente affermato che l’atto impositivo
conteneva elementi – quali la superficie dei locali, destinazione e tassazione – utili e
precisi per comprendere i motivi della pretesa e per consentire al contribuente di
difendersi compiutamente, come inferibile dalle difese svolte da entrambe le parti.
§.9 Con riferimento alla violazione dell’art. 2697 c.c., dedotto con il secondo
motivo, è stato osservato che incombe sull’impresa contribuente l’onere di fornire
all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle
aree che, per il detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva
superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto
riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio
secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione
tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della
tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, D.Lgs. n. 507
del 1993, ex art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di
alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla
regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti
coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. nn. 4766 e
17703 del 2004, 13086 del 2006,17599 del 2009, 775 del 2011; n. 1635/2015; n.
10787 del 2016;n. 21250/2017).
Con la conseguenza che alcuna illegittima inversione dell’onere probatorio è
stata disposta dalla C.T.R. pugliese.

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testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente

§.10 In mancanza di illustrazione del motivo con riferimento alla violazione
dell’art. 62 cit. ex art. 360 n. 3 c.p.c., non è dato individuare le censure che attingono
sul punto la motivazione impugnata.
§.11 Parimenti infondato risulta il terzo motivo con cui si lamenta l’inosservanza
da parte dei giudici di seconde cure del principio di non contestazione degli elementi
probatori offerti a fondamento del gravame.
In disparte la genericità e la disorganicità della rubricazione e della illustrazione

sentenza impugnata, laddove i giudici di appello hanno compiutamente valutato gli
elementi probatori offerti dalla contribuente e, precisamente, la denuncia Tarsu del
2008 e la perizia giurata allegata, desumendo da essi che anche le aree destinate
all’immagazzinamento delle materie prime sono soggette ad imposizione ex art. 62
comma 1, prima parte, D.Igs 507/1993.
Al riguardo, osserva la Corte che il processo era stato instaurato per affermare
l’esenzione dalla Tarsu, contrastata dall’amministrazione già mediante l’atto
impositivo, volto ad affermare l’assoggettamento dei locali alla predetta imposta.
Sicché a nessun onere aggiuntivo (di allegazione o di contestazione) l’amministrazione
avrebbe dovuto adempiere al fine di affermare, contrastato nel processo, il nesso di
consequenzialità tra il fatto significante ex adverso dedotto – deposito di materie
prime – e il significato asserito come discendente, l’esenzione dalla imposta.
Non è revocabile in dubbio che il principio di non contestazione, di cui all’art.
115, primo comma, cod. proc. civ., si applichi anche nel processo tributario, ma,
attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, esso riguarda esclusivamente i profili
probatori del fatto non contestato, e sempreché il giudice, in base alle risultanze
ritualmente assunte nel processo, non ritenga di escluderne l’esistenza ( Cass. N.
1384/2016; Cass. 2015 n.2196; Cass. n. 13834/2014). E nella specie, come
riscontrabile dagli stessi stralci degli scritti difensivi delle parti, l’Ente impositore ha
sempre negato in radice il diritto alla esenzione, non ritenendone provati dal
contribuente i presupposti, laddove, peraltro e prima ancora, l’oggetto della non
contestazione riguarda la denuncia Tarsu rettificata dallo stesso Comune e la perizia
giurata che oltre a non essere vincolante, è estranea alla sfera cognitiva di
quest’ultimo.
§.12 Anche il quarto motivo è infondato.
Con esso, la società ricorrente lamenta l’omessa valutazione da parte della
C.T.R. del dedotto auto-smaltimento dei rifiuti, della natura di polveri chimiche del
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del motivo, la doglianza risulta in contrasto con quanto emerge dalla motivazione della

materiale depositato nei locali e della produzione di rifiuti speciali, sotto il profilo della
omessa corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
La censura non coglie nel segno, atteso che i giudici di appello hanno valutato
non solo la normativa citata sia nell’intero contesto della motivazione che a pagina 6
della sentenza, includendo nelle aree soggette a tassazione anche i locali destinati a
magazzino di materie prime, ma hanno ritenuto l’irrilevanza della auto-smaltimento,
respingendo il ricorso sulla base degli elementi probatori, ritenuti contraddittori,

giurata).
In altri termini, i giudici di appello non sono incorsi in errores in procedendo,
avendo motivato in merito alla natura dei rifiuti, alla destinazione dei locali e
all’applicabilità dell’art. 62 cit., pervenendo a conclusione difformi da quelle
prospettate dalla contribuente.
§.13 In ogni caso, questa Corte ha recentemente precisato che “i rifiuti prodotti
in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui del ciclo di
lavorazione, per cui risulta ininfluente che possano essere qualificati o meno come
rifiuti assimilati agli urbani”. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la esenzione o
riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui
insiste l’opificio vero e proprio( onere che grava sul contribuente), perché solo in tali
locali possono formarsi rifiuti speciali, per le specifiche caratteristiche strutturali
relative allo svolgimento dell’attività produttiva, mentre in tutti gli altri locali destinati
ad attività diverse, i rifiuti devono considerarsi “urbani” per esclusione (salvo che non
siano classificati rifiuti tossici o nocivi) e la superficie di tali locali va ricompresa per
intero nell’ambito della superficie tassabile (uffici, depositi, servizi, ecc.), inoltre, tale
classificazione costituisce accertamento di fatto, riservato al giudice del merito (Cass.
n. 1242/1996, 15857/2005, ord. n. 12443/2014; Cass. 26725/2016).
L’impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e
permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali.
Questa Corte ha precisato che: « La situazione che legittima l’esonero si verifica
allorquando l’impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell’area o del
locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal
fatto che l’area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanente e non
modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente
produttive di rifiuti. La funzione di magazzino, deposito o ricovero è invece una

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forniti dalla stessa società ricorrente (dichiarazione Tarsu anno 2008 e perizia

funzione operativa generica e come tale non rientra nella previsione legislativa»
(Cass. n. 19720 del 2010).
Al riguardo, questa Corte, con sentenza n. 2814 del 2005 ha esplicitamente
affermato che «i magazzini, qualora siano destinati al ricovero di beni strumentali o

delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, concorrono all’esercizio
dell’impresa e vanno perciò riguardati come aree operative, al pari degli stabilimenti o
dei locali destinati alla vendita». Va aggiunto che, nella fattispecie, non si vede sotto

potrebbe farlo considerare escluso dalla possibilità di produrre rifiuti, trattandosi di
un’area adibita a deposito per la quale la normativa non contempla alcuna ipotesi di
esenzione (v. anche Cass. 2017/26637).
§.14 Anche l’ultimo motivo non coglie nel segno, atteso che i come già illustrato,
l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio non può attenere all’esistenza del diritto azionato, vale a dire del diritto
all’esenzione, ma ad un accadimento naturalistico, non riconducibile a questioni o
argomenti.
Se, invece, la censura di cui al quinto motivo dovesse riguardare – tenuto conto
della non chiara esposizione della doglianza – l’insufficiente motivazione in ordine alla
natura e al particolare uso dell’area destinata a deposito di materie prime, essa
risulterebbe comunque infondata alla luce delle considerazioni che seguono.
I giudici di appello – sulla base della denuncia Tarsu anno 2008 presentata dalla
ricorrente e della perizia giurata prodotta in giudizio – hanno rilevato la
contraddittorietà tra i due atti; nella dichiarazione l’area, pari a 1.228 mq, viene
qualificata come

“deposito momentaneo di materia prima destinata alla

trasformazione e alla lavorazione”, per svanire, invece, nella perizia, in cui viene
configurata come parte integrante di una struttura produttiva, pari mq 5.812.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che i contraddittori elementi probatori
offerti dalla contribuente non consentissero di accertare che l’area denunciata
presentasse quelle caratteristiche strutturali o quella destinazione che consentono di
affermare che in essa si formano prevalentemente rifiuti speciali, tossici o nocivi,
evidenziando che la destinazione dell’area a magazzino di materie prime non è esclusa
dalla tassabilità di cui all’art. 62 cit.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

7

quale profilo l’adibizione dell’area a deposito di materiale chimico( materia prima)

P.Q.M.
La Corte di Cassazione
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese processuali che liquida
in euro 5.000,00, per compensi, oltre rimborso forfettario, iva e c.p.a come per
legge.

1’1.03.2018.
Il Consigliere estensore
Dr. Milena Balsamo

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione tributaria,

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