Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12285 del 30/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12285 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 19931-2008 proposto da:
NUOVA IDEA DI ROMANO ROCCO & C SNC 00564870079, in
persona del legale rappresentante sig. ROMANO ROCCO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato GOBBI
LUISA, che la rappresenta e difende unitamente
2014
770

all’avvocato SORO CLAUDIO giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

IMM VILLA MAGNOLIA SS , DE LUCA GIUSEPPE, MARTINET

1

Data pubblicazione: 30/05/2014

LAURA;
– intimati –

Nonché da:
IMM VILLA MAGNOLIA SS 94523340019, in persona del
socio legale rappresentante pro-tempore sig. ERMANNO

LUCA GIUSEPPE DLCGPP51M16A773W, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio
dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIOZZO
DI ROSIGNANO CESARE giusta procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro

NUOVA IDEA DI ROMANO ROCCO & C SNC ;
– intimata –

avverso la sentenza n. 489/2007 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 11/06/2007 R.G.N. 1365/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/03/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del
ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

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BERNARDINIELLO, MARTINET LAURA MRTLRA53M63H042C, DE

R.g.n. 19931-08 (ud. 25.3.2014)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. La Nuova Idea S.n.c. di Romano Rocco & C. ha proposto ricorso per cassazione
contro la Immobiliare Villa Magnolia S.S. e Giuseppe De Luca e Laura Martinet avverso la
sentenza dell’Il giugno 2007, con la quale la Corte d’Appello di Torino, in riforma della
sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Aosta, ha dichiarato risolto per
inadempimento in ragione di una prevista clausola risolutiva espressa il contratto di

locazione di terreni stipulato in data 1° luglio 2000 fra la ricorrente e la dante causa degli
intimati, Giuseppina Revel, ed ha condannato la ricorrente al rilascio dei terreni stessi ed al
ripristino nello stato in cui si trovavano all’inizio della locazione.
§2. La domanda introduttiva del giudizio era stata proposta con ricorso del 25
settembre 2002 dagli intimati contro la ricorrente ed il suo rappresentante legale Rocco
Romano in proprio, con la richiesta di risoluzione del contrato locativo stipulato con la
dante causa riguardo agli immobili situati in Pré Saint Didier, indicati ai numeri 264 e 261
del foglio 11 del mappale di detto Comune. Tali immobili, costituiti da aree scoperte, erano
stati rispettivamente acquistati dall’Immobiliare Villa Magnolia e dai signori De Luca e
Martinet ed erano stati locati dalla Revel per essere adibiti a deposito temporaneo ed a
lavorazione di materiale da riutilizzarsi dal Romano nella sua attività di artigiano edile.
La domanda di risoluzione del contratto locativo era stata prospettata:
a) sia con l’invocazione dell’azione generale di cui all’art. 1453 c.c., fondata sulla
violazione da parte della società locataria del dovere di godere l’immobile con la diligenza
di cui all’art. 1587 n. 1 c.c. nel servirsi dei terreni, che si era assunta violata innanzitutto
per avere essa realizzato sensibili modificazioni dello stato dei luoghi, costituiti da
terrazzamenti conseguenti a riporti di terra ed a scavi che avevano modificato il livello del
piano di campagna dei terreni, ed in secondo luogo sulla modificazione della destinazione
– d’uso prevista in sede negoziale;
b) sia con l’invocazione di una clausola risolutiva espressa prevista nel contratto
locativo con riferimento alla verificazione di lesioni agli interessi ed alle proprietà
confinanti, derivanti dai rumori molesti provenienti dalle attività di carico e scarico del
materiale pietroso lavorato, nonché dalla diffusione delle polveri che se ne originavano.
§3. Il Tribunale, nella resistenza della qui ricorrente e del Rocco, all’esito
dell’istruzione rigettava la domanda. In particolare, dichiarato il difetto di legittimazione
passiva del Romano e disattesa l’eccezione di sussistenza delle condizioni di cui all’art. 80
della 1. n. 392 del 1978, reputava insussistente l’inadempimento dedotto a sostegno
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dell’azione ai sensi dell’art. 1453 c.c., considerando che le immutazioni dello stato dei
luoghi si dovevano reputare legittime secondo le previsioni contrattali, ed escludeva che
ricorressero le condizioni per l’operatività della clausola risolutiva espressa, che, peraltro,
reputava anche di contenuto generico.
§4. La Corte territoriale, sull’appello delle parti locatrici, ha confermato il rigetto
della domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c., disattendendo il primo motivo di appello che la
riguardava sull’assunto che, pur integrando, al contrario di quanto opinato dal Tribunale, le

immutazioni realizzate sullo stato dei terreni, un inadempimento ai sensi dell’art. 1587 c.c.,
tuttavia esso non rivestiva i caratteri di cui all’art. 1455 c.c. Viceversa, scrutinando il
secondo motivo di appello, in riforma della sentenza del Tribunale, reputata, nonostante
<>. E’ palese che le
Sezioni Unite — che nella specie decidevano una questione di giurisdizione – non hanno in
alcun modo inteso avallare l’idea che alle controversie ai sensi dell’art. 447-bis c.p.c. non
trovasse applicazione la sospensione, ma hanno solo riferito che questa era la tesi del
ricorrente e l’hanno smentita, rilevando in via del tutto preliminare che la controversia non
era riconducibile a detta norma. Si trattava, infatti, di controversia di opposizione davanti
al Pretore di Torino contro un decreto di rilascio per occupazione senza titolo emesso da un
Commissario Straordinario dell’Agenzia Territoriale per la Casa (ATC) di Torino.
§3. Con il primo motivo di ricorso principale si prospetta “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1367, 1368, 1369, 1587 c.c. in
relazione agli artt. 113 c..c. e al’ art. 360 n. 3) e 5) c.p.c.”.
Il motivo censura la parte della sentenza impugnata che ha ritenuto che nelle
previsioni contrattuali non fosse stata riconosciuta alcuna possibilità alla locataria di
modificare lo stato dei luoghi, salvo quella dipendente dal deposito stesso dei materiali in
quanto implicante la perdita del manto erboso, traendone la conseguenza che non poteva
ritenersi consentita da esse, in particolare, la modifica attuata al piano di campagna e gli
spostamenti di terra attuati dalla locataria.
§3.1. Il motivo è inammissibile anzitutto per difetto di interesse.

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Va, infatti, considerato che l’esame della questione esegetica relativa al se gli
interventi sui terreni locati, concretatisi con le modificazioni apportate al piano di
campagna e con gli spostamenti di terra, fossero consentiti dalle previsioni contrattuali, è
stata fatta dalla sentenza impugnata in quanto quella questione era stata proposta dalle
allora parti appellanti, cioè dai resistenti, con il primo motivo di appello, che concerneva il
rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., basata
proprio sulla qualificabilità di quelle modificazioni come inadempimento ai sensi dell’art.

1587 c.c.
§3.1.1. Ora, la Corte territoriale, con riferimento a tale motivo di appello, in dissenso
dalla decisione resa in primo grado dal Tribunale, ha escluso che le modificazioni del
piano di campagna e gli spostamenti di terra potessero essere consentiti dal contratto e,
conseguentemente, ha ritenuto che integrassero un inadempimento.
Ha, tuttavia, escluso che detto inadempimento potesse dare luogo alla chiesta
risoluzione, in quanto non rivestente il carattere richiesto dall’art. 1455 c.c.
Ne consegue che, per effetto di tale conclusione e, quindi, del rigetto del primo
motivo di appello, la sentenza di primo grado è rimasta consolidata quanto al disposto
rigetto della domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c. e ciò è tanto vero che con il loro motivo di
ricorso incidentale condizionato i resistenti proprio della relativa statuizione della sentenza
impugnata si dolgono.
Non essendo, pertanto, soccombente sulla detta domanda, la ricorrente non è
legittimata ad impugnare quella statuizione.
§3.1.2. D’altro canto, non risulta dalla sentenza impugnata nemmeno che, ai fini del
successivo scrutinio dell’appello riguardo al rigetto della domanda basata sulla clausola
risolutiva espressa, l’accertato inadempimento concretatosi per effetto dell’indicata attività
modificativa dei terreni sia stato sussunto come inadempimento rilevante ai fini dell’azione
basata sulla stessa clausola.
Parrebbe adombrarlo la ricorrente, quando scrive, alla pagina 30 del ricorso – per
sostenere che l’affermazione della sussistenza dell’inadempimento de quo sarebbe stata
decisiva — che, «leggendo, infatti, l’intero provvedimento proprio la possibilità di
apportare modifiche ai luoghi è presupposto si del ritenuto inadempimento contrattuale che
dell’operatività della clausola risolutiva espressa>>.
Senonché, non solo parte ricorrente si astiene dall’individuare in quale parte della
motivazione troverebbe riscontro il suo assunto, il che rende inammissibile la deduzione,
posto che è onere del ricorrente in cassazione, come di qualsiasi soggetto che impugna una
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decisione, individuare nella motivazione della decisione la parte nella quale si anniderebbe
l’errore denunciato, ma, inoltre, se — supplendo inammissibilmente all’inosservanza di
detto onere — si ricercasse l’esistenza di un riscontro nella motivazione della corte
piemontese, non si rinverrebbe alcunché che anche in misura minimale lo fornisca.
§3.2. Il motivo è gradatamente — lo si osserva ad abundantiam — inammissibile anche
perché e comunque in tutta la sua illustrazione non si rinviene alcun riferimento
evidenziatore della violazione della congerie di norme sull’esegesi del contratto evocata

dalla sua intestazione, sussistendo anzi totale carenza evocativa di esse.
§4. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt.
1455, 1456, 1418 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3) e 5) c.p.c.”.
Vi si censura la sentenza impugnata sotto un primo profilo nella parte in cui ha
accolto la domanda di risoluzione fondata sulla clausola risolutiva espressa, disattendendo
l’eccezione della qui ricorrente di nullità invalidità ed inefficacia di essa per la sua assoluta
genericità.
Sotto un secondo profilo si censura la sentenza per non aver considerato che la
clausola era relativa alla idoneità del comportamento della locataria a ledere interessi e
proprietà confinanti e, dunque, di soggetti terzi, mentre la Villa Magnolia e i De LucaMartinet, già proprietari di immobili confinanti, avendo acquistato i terreni locati non
potevano più considerarsi terzi.
§4.1. Va preliminarmente rilevato che l’illustrazione del motivo soddisfa il requisito
di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., in quanto riproduce la clausola contrattuale che è stata ritenuta
integrare idonea clausola risolutiva espressa (clausola, peraltro, già riprodotta
nell’esposizione del fatto, nella quale si è anche fornita l’indicazione specifica di dove il
contratto locativo contenente la clausola fosse stata prodotto in sede di merito).
§4.2. Si deve, poi, aggiungere che, nella illustrazione del motivo, la motivazione
della sentenza impugnata viene evocata scrivendosi sommariamente che «La Corte, pur
dovendo ammettere che si tratti di pattuizione affetta da una certa qual genericità, ritiene
scongiurata la sua nullità per eccessiva genericità sulla scorta del riferimento nella stessa
contenuto “… alle proprietà confinanti ed agli interessi delle stesse”» e, quindi,
scrivendosi immediatamente di seguito che «Anche tale “meccanismo”, era stato peraltro
già censurato dalla Nuova Idea in giudizio sulla scorta di considerazioni che anche tali
elementi (che avrebbero dovuto attribuire certezza e determinatezza alle obbligazioni il cui
inadempimento avrebbe reso operativa la citata clausola) erano privi dei requisiti di
certezza, univocità e specificità richiesti per escluderne l’invalidità.».
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Successivamente, si sostiene che «L’indeterminatezza della pattuizione, non può
ritenersi per ciò solo sanata dal riferimento a generiche locuzioni quali “interessi e
proprietà confinanti”, non potendo in ciò individuarsi ipotesi specifiche di obbligazioni

gravanti sulle parti, il [rectius: al] cui “specifico” inadempimento consegue la sanzione
della risoluzione.>>. E, di rincalzo, si argomenta che la sopravvenuta coincidenza dei
proprietari confinanti con la parte locatrice rafforzava ulteriormente l’indeterminatezza
della clausola.

Peraltro, va considerato che la motivazione in parte qua della sentenza impugnata è
riportata, nella struttura del ricorso, in sede di esposizione del fatto nella sua interezza e,
dunque, si deve intendere che l’illustrazione del motivo, con l’argomentare suddetto non
sia incorsa nella mancata individuazione della motivazione cui la censura proposta con il
motivo si correla.
§4.3. Ciò premesso, si rileva che la motivazione in questione nella sua integralità
risulta così espressa dalla Corte torinese: «Innanzitutto, ancorché si tratti di una
pattuizione affetta da una certa qual genericità, va confermata la validità della clausola in
questione, posto che il riferimento alle proprietà confinanti e agli interessi delle stesse è
inequivocabile, potendosi prospettare comportamenti lesivi esclusivamente in correlazione
con possibili danni di natura materiale agli appezzamenti dei proprietari limitrofi ovvero in
correlazione a disturbi arrecati da immissioni di rumori o di polveri eccedenti il limite della
normale tollerabilità. Nella sostanza la clausola in oggetto mira a prevenire la rottura di
equilibri pertinenti all’andamento ordinario della vita quotidiana degli abitanti della zona,
il che rende concreta la pattuizione ed esclude possibili prospettazioni di vizi di nullità per
eccesiva genericità.>>.
Va rilevato che l’illustrazione del motivo non svolge una specifica considerazione
riguardo all’affermazione della Corte territoriale che ha considerato il riferimento alle
proprietà confinanti ed agli interessi delle stesse “inequivocabile, etc

Senonché, la critica alla genericità del riferimento alle proprietà confinanti ed agli
interessi delle stesse, pur essendo formalmente relativa a tali espressioni, si deve intendere
correlata anche alla legittimità della valutazione consequenziale svolte dalla motivazione
della sentenza impugnata, che ha considerato determinate le obbligazioni il cui
inadempimento sarebbe stato garantito dalla clausola risolutiva espressa, ricostruendo il
significato del riferimento alle proprietà confinanti ed agli interessi delle stesse
sostanzialmente — ancorché senza dirlo espressamente – sulla base di un implicito
riferimento all’attitudine, per così dire potenzialmente naturale, del posizionamento,
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movimento o lavorazione dei materiali a ledere gli interessi e le proprietà confinanti La
potenzialità dannosa delle attività espletate dalla locataria è stata utilizzata implicitamente
dalla Corte torinese come rivelatrice ed individuatrice dell’oggetto di un’obbligazione a
non cagionare con lo svolgimento di essa sui terreni locati danni di natura materiale agli
appezzamenti dei proprietari limitrofi oppure disturbi costituiti da immissioni di rumori o
di polveri eccedenti il limite della normale tollerabilità.
Ne segue che il motivo, là dove, dopo avere peraltro interamente richiamato la

motivazione della sentenza impugnata nell’esposizione del fatto (il che la fa supporre
necessariamente assunta ad oggetto di critica nel motivo in esame al di là delle sue
espressioni direttamente richiamate), censura la genericità del riferimento

pr “… alle

proprietà confinanti ed agli interessi delle stesse”, risulta criticare, proprio in ragione di
tale assunta genericità, la stessa valutazione consequenziale così svolta dalla sentenza
impugnata.
Pertanto, considerato il motivo pertinente alla motivazione ed idoneo a criticarla, si
deve procedere a considerare se la critica è fondata.
§4.4. Va avvertito che la valutazione di tale critica, inerendo essa l’esegesi della
clausola per come è scritta e, quindi, la quaestio iuris della individuazione in essa dei
caratteri di una clausola risolutiva espressa, non involge un motivo riconducibile
anche al n. 5 del’art. 360 c.p.c., siccome suggerirebbe l’intestazione del motivo, bensì
soltanto la correttezza della sussunzione della clausola sotto il paradigma dell’art.
1456 c.c., cioè la correttezza del procedimento attraverso il quale la Corte di merito,
assunta la clausola nel suo significato, ricostruito attraverso un procedimento
esegetico peraltro sviluppatosi in via implicita con argomenti sostanzialmente desunti
dallo stesso oggetto del contratto con riferimento all’attività della locataria, oltre che
sulla base della ricostruzione degli elementi testuali della clausola, ha considerato che
essa, così ricostruita nella sua efficacia, integrasse la fattispecie astratta dell’art. 1456
c.c. Tale complessiva operazione è espressione di valutazioni di carattere logicogiuridico e non di valutazioni logiche impiegate per ricostruire una situazione fattuale
rilevante per il decidere e per questo è oggetto di attività del giudice di merito il cui
controllo è riconducibile alla c.d. falsa applicazione di norma di diritto, sotto la
specie, rispettivamente, della riconduzione ad una fattispecie normativa astratta di
una fattispecie concreta, correttamente ricostruita sul piano fattuale, che non vi
doveva essere ricondotta, secondo il significato complessivo della norma di previsione
della fattispecie astratta, oppure del rifiuto del giudice di ricondurvela quando vi
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doveva essere ricondotta, oppure ancora della riconduzione ad una fattispecie
astratta errata perché la fattispecie concreta doveva essere ricondotta ad altra
fattispecie astratta.
§4.5. Nella specie la correttezza dell’operazione di riconduzione della clausola
contrattuale all’art. 1456 c.c. non appare sussistente e, dunque, si è verificyn errore di
sussunzione.
Queste le ragioni.

§4.5.1. Va preliminarmente richiamato il contenuto della clausola, che è il seguente:
«Il signor Romano Rocco dovrà adoperarsi affinché nel posizionamento, movimento o
lavorazione dei materiali non vengano lesi in alcun modo gli interessi e le proprietà dei
confinanti. La mancata cautela in tal senso rilevabile da atti formali rappresenterà motivo
di risoluzione del presente contratto con perdita della cauzione.».
§4.5.2. Ora, dalla lettura della clausola a ben vedere emerge che l’obbligazione, il cui
inadempimento sarebbe stato contemplato come determinativo della risoluzione è
certamente quella, enunciata nella prima parte della clausola, costituita dall’imposizione
alla locataria della tenuta di un comportamento tale che il posizionamento, il movimento e
la lavorazione dei materiali e dunque lo svolgimento dell’attività contemplata nel contratto
come da esercitarsi sui terreni avvenisse in modo tale da non ledere gli interessi e le
proprietà dei confinanti. Considerata come tale, la previsione risulta essere pienamente
consentanea ai limiti naturali che il soggetto che, appunto per effetto di concessione in
locazione, acquisisce la posizione di sostituto nel godimento diretto del titolare della
disponibilità di un immobile, a titolo di proprietario o di titolare di altro diritto reale di
godimento che consenta la locazione o di possessore, assume naturaliter appunto quale
soggetto che viene ad esercitare il godimento diretto del bene in sostituzione del
concedente. Si vuol dire, cioè, che quel limite è ed era nella specie quello stesso che il
concedente, cioè la locatrice, avrebbe incontrato se avesse utilizzato i terreni essa stessa
per lo svolgimento della stessa attività della locataria.
Sotto tale profilo si deve, pertanto, considerare che, se anche non vi fosse stata la
previsione contrattuale, la locataria sarebbe stata comunque tenuta a svolgere la sua attività
senza ledere le proprietà e gli interessi dei confinanti e lo sarebbe stata nell’àmbito
dell’obbligazione di godere della cosa con la diligenza di cui al n. 1 dell’art. 1587 c.c.
Ne segue che la parte della clausola in esame risulta essere sostanzialmente, se
considerata ex se, nient’altro che una clausola di stile.

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§4.6. Il vero oggetto, del quale si deve verificare e si sarebbe dovuta verificare dalla
Corte territoriale, la rispondenza al paradigma dell’art. 1456 c.c. è allora l’ulteriore
previsione con la quale il presupposto per l’assunzione di un inadempimento costituente
per volontà delle parti “motivo di risoluzione” è individuato non già in un qualsiasi
inadempimento di detta obbligazione, che ribadiva quanto ex lege sussisteva a carico della
locataria, bensì nell’inadempimento di essa e più precisamente “la mancanza di cautela”

nel posizionamento, movimento o lavorazione lesivi degli interessi e delle proprietà

La clausola, dunque, evidenzia un possibile contenuto del quale si deve verificare la
riconducibilità all’art. 1456 c.c. soltanto con riferimento a tale seconda previsione.
Senonché, quest’ultima non ha carattere determinato alla stregua dell’art. 1456 c.c.
né nella individuazione dell’obbligazione il cui inadempimento sarebbe rilevante, né e
soprattutto e comunque in modo dirimente nella individuazione del modo in cui
l’inadempimento doveva emergere per integrare motivo di risoluzione.
§4.6.1. Sotto il primo aspetto sia il concetto della lesività degli “interessi”, sia quello
della lesività delle “proprietà confinanti” non risultano determinati dalla clausola, ma,
come rivela la stessa motivazione della sentenza impugnata, sono determinabili solo
attraverso un’attività interpretativa di quella che potrebbe essere stata l’intenzione delle
parti in relazione non solo all’attività esercitata dalla locataria sull’immobile e, dunque, ad
elementi eventualmente desumibili al contratto stesso ed evocati dal riferimento al
posizionamento, movimentazione o lavorazione dei materiali, ma anche ad elementi
necessariamente da desumersi aliunde, rappresentati dagli “interessi” e dalle “proprietà
confinanti”, riguardo ai quali la clausola e meno che mai il contratto fornivano elementi:
sotto tale ultimo profilo, quanto si legge nel contratto, riprodotto nelle esposizione del
fatto, evidenzia un unico elemento di specificazione che può evocare la considerazione
degli interessi e delle proprietà confinanti, che si individua nell’impatto visivo, per il quale,
però, ci si impegna a <

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