Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12284 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 23/06/2020), n.12284

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22883-2019 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO ETTORE DE

RUGGIERO 16, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA FABBRIZI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANIELE MARRA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPINA GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI

CALIULO;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1098/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 17/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. G.S. ha agito in giudizio nei confronti dell’Inps per ottenere il riconoscimento del diritto ai benefici di cui alla L. n. 257 del 1992 art. 13, comma 8;

2. il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso in ragione della decadenza introdotta dalla L. n. 326 del 2003;

3. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 514/2017, ha respinto l’impugnazione del G. accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Inps in ragione del decorso di un periodo superiore ai dieci anni tra la data di insorgenza della consapevolezza dell’esposizione ad amianto, coincidente con la presentazione della domanda all’Inail (2000), e la presentazione della domanda amministrativa all’Inps (2012);

4. questa Corte di Cassazione, Sezione sesta civile – lavoro, con ordinanza n. 1098 del 2019 ha respinto il ricorso di G.S.; ha premesso che la prescrizione decorre dal momento in cui il lavoratore 1~ consapevolezza dell’esposizione (Cass. n. 2856/17) e che il giudizio su tale consapevolezza (nella specie riferita alla data della domanda all’Inail) costituiste accertamento di fatto, censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non integrati nel caso di specie;

5. contro l’ordinanza di questa Corte n. 1098 del 2019 G.S. ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, affidato ad un unico motivo;

6. l’Inps ha resistito con controricorso;

7. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

8. a sostegno della revocazione G.S. ha dedotto l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa questa Suprema Corte attraverso la falsa percezione di ciò che emergeva dai documenti nn. 2 e 6, depositati fin dal ricorso di primo grado e non tenuti in considerazione dai giudici di merito, come dedotto a pag. 39 dell’originario ricorso in Cassazione;

9. ha sostenuto come i citati documenti fossero fondamentali per l’individuazione del momento di acquisizione della consapevolezza dell’esposizione ad amianto; in particolare, il doc. 2 è rappresentato dalla risposta dell’Inail in data 4.12.2000 che esclude l’esistenza di un’esposizione superiore a 0,1 ff/cc, con rigetto dell’istanza presentata dal G.; il doc. n. 6 comprende numerose lettere Inail del 2005 di riconoscimento dell’esposizione qualificata nei confronti di colleghi di lavoro del G.;

10. secondo quanto dedotto nel ricorso in Cassazione, tali documenti dimostravano come il G. nel 2000 avesse consapevolezza, in ragione del rigetto della sua domanda da parte dell’Inail, di non essere stato esposto all’amianto e che solo a partire dal 2005 avesse invece maturato la consapevolezza dell’avvenuta esposizione qualificata;

11. il ricorrente in revocazione ha aggiunto che nel giudizio di primo e secondo grado la questione del dies a quo di decorrenza della prescrizione era stata oggetto di discussione tra le parti e di avere sempre fatto riferimento ai documenti sopra richiamati; ha sottolineato come l’errore revocatorio fosse di immediata rilevabilità e decisivo;

12. il ricorso è inammissibile;

13. l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di sussunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; in altri termini, l’errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., Sez. un., 11/04/2018, n. 8984; Cass. Sez. Un. 27/12/2017, n. 30994; Cass. 28/7/2017, n. 18899; Cass. Sez. Un., 23/12/2009, n. 27218); si è precisato che l’errore revocatorio è configurabile rispetto alle sentenze della Corte di Cassazione solo nelle ipotesi in cui essa sia giudice del fatto ed incorra in errore meramente percettivo (Cass. n. 3760/18; n. 3365/09; n. 5076/08);

14. questi presupposti non ricorrono nella fattispecie in esame;

15. anzitutto, l’errore che il ricorrente in revocazione attribuisce all’ordinanza n. 1098/19 di questa Corte non investe la percezione di un fatto, sia pure veicolato dai documenti prodotti, bensì l’accertamento compiuto dai giudici di merito sul momento in cui si sarebbe realizzata la consapevolezza da parte del G. dell’esposizione ad amianto, momento rilevante ai fini del decorso del termine di prescrizione decennale; tale dies a quo, individuato dalla Corte d’appello in conformità ai precedenti di legittimità, è stato ricostruito in concreto sulla base di valutazioni di merito che questa Corte di legittimità ha ritenuto non sindacabili, in quanto estranei ai limiti del nuovo vizio motivazionale (art. 360 c.p.c., n. 5);

16. l’errore denunciato col ricorso in esame veicola, in sostanza, una critica all’accertamento compiuto dai giudici di appello sul dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione, individuato nella data della domanda all’Inail sul rilievo che tale domanda “presuppone(sse) appunto la consapevolezza” della esposizione; si censura la valutazione compiuta dalla Corte d’appello per sollecitarne una diversa, desunta dai documenti sopra citati ed implicitamente considerati non rilevanti dai giudici di secondo grado; peraltro il ricorrente sembra confondere la consapevolezza (soggettiva) dell’esposizione ad amianto con la probabile fondatezza della domanda;

17. non solo, l’errore revocatorio così come prospettato dall’attuale ricorrente appare logicamente riferibile non alla pronuncia di questa Corte, che ha ritenuto insindacabile il giudizio di fatto sul dies a quo di consapevolezza dell’esposizione, bensì alla sentenza d’appello, per omessa valutazione dei documenti sopra citati;

18. da tali considerazioni discende l’inammissibilità del ricorso;

19. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;

20. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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