Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12280 del 07/06/2011

Cassazione civile sez. III, 07/06/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 07/06/2011), n.12280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7847/2009 proposto da:

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CLITUNNO 51, presso lo studio dell’avvocato ONGARO Franco,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TONETTO

GIANCARLO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.O., D.M.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA VALDAGNO 27, presso lo studio dell’avvocato BASSO Tommaso,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEI ROSSI LAURA

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 642/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione Terza Civile, emessa il 20/11/2007, depositata il 24/04/2008,

R.G.N. 236/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato TOMMASO BASSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 24/4/2008 la Corte d’Appello di Venezia respingeva il gravame interposto dal sig. S.G. nei confronti della pronunzia Trib. Venezia 12/9/2003 di rigetto, con revoca del precedentemente concesso decreto ingiuntivo, della domanda spiegata nei confronti dei sigg.ri D.M.L. e B.O., soci della Cooperativa Lago d’Elio, di restituzione della residua somma versata a titolo di mutuo di L. 100.000.000 loro concesso per l’acquisto di immobile sito in (OMISSIS), successivamente acquistato dalla Cooperativa. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito lo S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso il D.M. e la B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 180 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa e contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto tempestiva l’eccezione di prescrizione, laddove la medesima è stata da controparte sollevata solamente “con la memoria ex art. 180 c.p.c., e non già nell’atto di opposizione”, primo “atto di difesa avverso il decreto opposto”. Con il 2^ ed il 3^ motivo denunzia “violazione e falsa applicazione di norma di diritto”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa e contraddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che nell’impugnata sentenza la corte di merito abbia affermato che “l’eccezione di prescrizione ordinaria è compatibile con l’eccezione di adempimento”, in contrasto con “la giurisprudenza formatasi sul punto”. Lamenta che erroneamente i giudici di merito non hanno tenuto conto di “due precisi momenti interruttivi della prescrizione, l’una proveniente dalla confessione del D.M., che va collocata in un’epoca successiva al dicembre 90 … e precisamente nell’ottobre- novembre 97 (cfr. verbale; d’udienza del 10.4.02) come ha ricordato il teste V., epoca in cui il D.M. ha promesso il pagamento del debito, riconosciutogli. L’altro è dato dalla diffida di adempimento (ns. doc. 3) nel quale si richiede il pagamento dell’importo per cui è causa”. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati. Va anzitutto osservato che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130). Una. formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti c.d. avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto. Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v. Cass., 17/7/2007, n. 15949). Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649). Orbene, nel caso risultano formulati quesiti del seguente testuale tenore. Relativamente al 1^ motivo: “Dica la Suprema Corte di Cassazione se l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte opponente nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, per la prima volta nel giudizio, con la memoria di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2, sia stata tardivamente sollevata perchè la regola dell’art. 180 c.p.c. a proposito delle eccezioni non rilevabili d’ufficio è posta a favore del solo convenuto opposto”. Con riferimento al 2^ motivo: “Dica la Corte di Cassazione se in relazione ai principi di diritto prima ricordati l’eccezione di prescrizione ordinaria, sia compatibile con l’eccezione di adempimento”. Quanto al 3^ motivo: “Dica la Corte di Cassazione se sia contraddittoria la motivazione sul punto offerta dalla Corte d’Appello di Venezia, tenuto conto del combinato esito istruttorio rappresentato dalla confessione resa dal D.M. in causa e la testimonianza di V.V., che consente di collocare l’atto interruttivo del termine prescrizionale nel periodo compreso tra il dicembre 90 e l’ottobre-novembre 91”. Emerge invero evidente che i suddetti quesiti non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione. Essi si sostanziano invero nella richiesta di espressione di generici principi di diritto (in particolare il 1^ e 2^ quesito), privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività tali da consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258). L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr.r da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444). La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258). Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., alla “memoria ex art. 180 c.p.c.”; all'”atto di opposizione”; alla deposizione del teste V.; alla “confessione del D.M.”, alla “diffida di adempimento (ns. doc. 3) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso. Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bus c.p.c.). Al riguardo, si è precisato che, rispetto alla mera illustrazione del motivo, l’art. 366 bis c.p.c., impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). Orbene, nel caso i motivi con i quali si denunzia vizio di motivazione non recano invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione, come detto, nella specie pure carente di autosufficienza. Va per altro verso ribadito che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito. Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998). E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492). Il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ancora sottolineato, si configura invero solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire 1’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803). Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322). La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718). Orbene, i suindicati principi risultano non osservati dall’odierno ricorrente. Va al riguardo in particolare posto in rilievo che, nel lamentare la mancata considerazione “della deposizione del teste V. V.” nonchè della “diffida di adempimento”, esso si limita invero a lamentare “omessa e contraddittoria” motivazione, laddove in realtà deduce una censura circa l’asseritamente erronea valutazione da parte dei giudici di merito delle complessive emergenze dal delineato quadro probatorio, che avrebbe dovuto propriamente far valere mediante denunzia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A tale stregua, oltre a non essere -in violazione del principio di autosufficienza – la suddetta “diffida di adempimento” riprodotta nel ricorso, non risulta invero nemmeno dato desumere e valutare i profili di rilevanza e decisività delle evocate emergenze probatorie, la cui valutazione avrebbe nel caso consentito alla corte di merito di pervenire a diversa decisione. In ordine all’eccezione di prescrizione, che nell’impugnata sentenza si afferma essere quella ordinaria, deve infine sottolinearsi come, nell’allegare (solamente) che l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza secondo cui “l’eccezione di prescrizione ordinaria è compatibile con l’eccezione di adempimento” “contrasta con la giurisprudenza che si è formata sul punto”; il ricorrente non spenda invero argomento alcuno a sostegno dell’enunziata doglianza, limitandosi a riportare non meglio precisate massime, tra l’altro concernenti la diversa ipotesi della prescrizione presuntiva. Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della gravata decisione, rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realtà nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932). Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443). All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3,700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 24 marzo 2011. Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2011

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