Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1228 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20520/2014 R.G., proposto da:

S.R., elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Borsi,

n. 4, presso lo studio dell’Avv. Federica Scafarelli, che lo

rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente all’Avv. Luca

Mazzeo e all’Avv. Barbara De Cristofaro;

– ricorrente –

CONTRO

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e

difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui

uffici è domiciliata, in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale condizionato –

avverso la sentenza n. 51/2013 della Commissione Tributaria Centrale

di Bolzano, pronunciata il 31 maggio 2013, depositata il 14/06/2013

e non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 19 novembre

2020 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Sig. S.R., in qualità di erede di V.H. e S.H., ricorre con due motivi di ricorso, per l’annullamento della sentenza n. 51/2013 della Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, pronunciata il 31 maggio 2013, depositata il 14/06/2013 e non notificata che, in controversia relativa alla normativa fiscale applicabile alle indennità di esproprio percepite negli anni 1989 e 1990 ed alla zona di inserimento del terreno oggetto di esproprio, ha rigettato il ricorso proposto da V.H. e S.R., confermando la sentenza, emessa dalla Commissione Tributaria di II grado di Bolzano favorevole all’amministrazione;

con la sentenza impugnata, la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, rilevato che le questioni di legittimità costituzionale della normativa in esame erano state superate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 315/1994, riteneva che la tesi della ricorrente, secondo la quale l’indennità di esproprio non debba essere assoggettata alla trattenuta del 20%, prevista a titolo di imposta dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, solo perchè riscossa prima del 31/12/1991, ossia la data di entrata in vigore della legge stessa, fosse smentita dalla disposizione letterale del comma 9 dello stesso articolo che ha esteso retroattivamente l’ambito oggettivo di applicazione del prelievo fiscale, limitandolo alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o di provvedimenti emessi successivamente al 31/12/1988;

per il giudice di merito, l’atto espropriativo ed il pagamento dell’indennità erano venuti in essere dopo la data di cui sopra, per cui, da un punto di vista temporale, la corresponsione dell’indennità rientrava appieno nel periodo di applicazione della Legge in questione;

per quanto riguardava, poi, la questione della zona di inserimento del terreno, oggetto di esproprio, la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano sosteneva che il fondo in oggetto rientrava nella zona D del D.M. 2 aprile 1968 e che, comunque, “era irrilevante la denominazione della zona usata dal P.R.G. comunale, rilevando unicamente la collocazione di fatto del terreno nelle zone omogenee indicate (Cass. n. 652/2012), laddove anche la realizzazione di insediamenti produttivi, ancorchè realizzati da privati, danno luogo ad espropriazioni per pubblica utilità (Cass. 30.6.2011 n. 14362);

a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale condizionato;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 19 novembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, con la sentenza impugnata, non avrebbe tenuto conto della circostanza, evidenziata dal ricorrente, che il terreno oggetto di espropriazione rientrava in una zona per impianti produttivi di interesse provinciale, destinata allo sfruttamento edilizio da parte dei privati, e non alla realizzazione di opere pubbliche, requisito richiesto, ai fini della tassazione, dalla normativa citata;

secondo il ricorrente il giudice di merito ha violato la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, che richiede, oltre alla inclusione dei terreni espropriati all’interno di una delle zone territoriali omogenee di tipo A, B, C, D, di cui al D.M. 2 aprile 1968, art. 2, anche la destinazione degli stessi terreni alla realizzazione di “opere pubbliche”, “infrastrutture urbane” ovvero “interventi di edilizia residenziale pubblica e popolare”;

a conclusione diversa non può giungersi nemmeno in base alla sentenza della Suprema Corte n. 14362/2011, secondo cui sarebbero suscettibili di essere tassate anche le indennità di esproprio, “qualunque sia la finalità concreta della medesima procedura espropriativa” e, quindi, a prescindere dal fatto che l’immobile, oggetto di espropriazione, venga destinato alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, rientrando in quest’ultima categoria anche gli insediamenti produttivi e gli impianti industriali, pur se realizzati da privati;

sostiene il ricorrente che la ratio della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe quella di colpire non già qualsiasi manifestazione di capacità contributiva, ma soltanto quelle derivanti da incrementi di valore dei terreni che siano svincolati da una corrispondente attività produttiva del privato;

in ragione di tale finalità, non a caso il legislatore avrebbe inteso circoscrivere la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla corresponsione di indennità di esproprio soltanto a quei terreni destinati alla realizzazione di “opere pubbliche”, “infrastrutture urbane”, ovvero “interventi di edilizia residenziale pubblica e popolare”;

ciò perchè solo nell’ambito delle procedure ablatorie, a tal fine destinate, sussiste l’esigenza dello Stato di reperire risorse finanziarie da devolvere a tale specifico utilizzo edificatorio;

con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

la Commissione Tributaria Centrale di Bolzano, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che il regime impositivo, di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, fosse, in ogni caso, applicabile, in virtù “del comma 9 dello stesso articolo che ha esteso retroattivamente l’ambito oggettivo di applicazione del prelievo fiscale, limitandolo alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o di provvedimenti emessi successivamente al 31/12/1988”;

secondo il ricorrente, sebbene la Legge sopra menzionata, art. 11, comma 9, preveda espressamente che il regime impositivo di cui all’art. 11, comma 5, si applichi anche a quelle somme che vengano corrisposte al privato in conseguenza di provvedimenti di esproprio emessi tra il 31/12/1988 e la data di entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 (31/12/1991),

la stessa norma non indica, però, altrettanto espressamente, che debba trattarsi di somme corrisposte al privato nel medesimo triennio;

inoltre, la scelta di rendere applicabile la norma impositrice anche a somme corrisposte al privato antecedentemente all’entrata in vigore della legge deve ritenersi limitata alla sola annualità 1991 e, quindi, a quelle somme corrisposte al privato in detto periodo di imposta;

secondo il ricorrente, in tale senso deporrebbe anche la sentenza n. 315/1994 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva della L. n. 413 del 1991, art. 11, in ragione della permanenza della capacità contributiva nel breve lasso di tempo previsto dalla normativa in esame;

ciò in quanto, a norma dell’art. 53 Cost., il tributo deve incidere su un indice di ricchezza prodotto dal privato, che sia effettivo ed attuale;

la Corte Costituzionale ha, anche, affermato che l’applicazione retroattiva di una legge d’imposta impone l’obbligo dell’interprete di verificare, di volta in volta, se tale applicazione interrompa, spezzandolo, il nesso che deve sussistere tra momento impositivo e capacità contributiva del privato (Corte Cost. sentenze nn. 44/1966 e 143/1982);

di conseguenza, ammettere che il regime impositivo, di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, sia applicabile anche alle indennità corrisposte al privato nel triennio 31/12/1988 – 31/12/1991, significherebbe applicare la legge d’imposta, violando, tanto il dettato normativo di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, quanto il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.;

dunque, secondo il ricorrente, traslando le predette argomentazioni al caso di specie, deve ammettersi l’assoluta illegittimità del prelievo eseguito, atteso che le indennità di esproprio sono state incassate prima dell’anno 1991;

infine il ricorrente propone eccezione di illegittimità costituzionale della normativa citata, in relazione agli artt. 24 e 53 Cost.;

secondo il ricorrente, se la Corte di Cassazione dovesse ritenere che il regime impositivo transitorio di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, si applichi anche alle indennità percepite ancor prima dell’anno 1991, si verificherebbe un caso di illegittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, nella parte in cui non prevede la possibilità del contribuente di dimostrare che il reddito prodotto con la percezione della indennità di esproprio non è più nella propria disponibilità;

ed infatti, in questo caso, l’articolo in esame si porrebbe in aperta violazione con l’art. 53 Cost, per difetto del requisito di attualità della capacità contributiva;

la stessa norma si porrebbe anche in violazione dell’art. 24 Cost, in quanto renderebbe preclusa al privato la possibilità di adire l’Autorità giudiziaria competente, al fine di far valere l’intangibilità di un proprio diritto sostanziale, concernente la titolarità del patrimonio;

nel caso di specie, infatti, secondo il ricorrente, non può tenersi conto, a differenza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 315/1994), che quell’indice di capacità contributiva, realizzatosi quando l’ordinamento tributario non lo disciplinava come presupposto impositivo, possa non essere più nella materiale disponibilità del privato il quale, peraltro, al momento della sua realizzazione, non era nemmeno a conoscenza di un correlato obbligo di contribuzione;

di conseguenza, quanto meno nell’ipotesi di tassazione retroattiva, la prova che venisse fornita dal contribuente, circa la non più presente disponibilità in concreto della somma realizzata, risponderebbe all’esigenza di verificare il requisito di attualità della capacità contributiva del soggetto obbligato;

al tempo stesso, il riconoscimento di un diritto di prova contraria consentirebbe, altresì, al privato di agire in giudizio, conformemente al dettato costituzionale di cui all’art. 24 Cost., per ottenere tutela di un proprio diritto soggettivo, intangibile, ai fini fiscali, perchè non più coerente con il principio di capacità contributiva;

il ricorrente, inoltre, fa presente che l’applicazione al caso di specie del regime impositivo di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, si porrebbe in contrasto con l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in tema di “Protezione della proprietà” dell’individuo e, quindi, anche con l’art. 117 Cost., comma 1, a norma del quale la potestà legislativa dello Stato è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali;

con tale norma gli Stati firmatari della Convenzione hanno voluto riconoscere l’inviolabilità del patrimonio dell’individuo privato, se non per ragioni di “pubblica utilità”;

la Corte Edu, sulla questione ha avuto più volte occasione di sottolineare la necessità che sussista un giusto equilibrio tra le ragioni di pubblica utilità e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo;

nella fattispecie in esame, secondo il ricorrente, tale giusto equilibrio non viene garantito dall’applicazione di una norma che impone al privato una decurtazione patrimoniale, a titolo di imposta retroattiva, che si aggiunge all’ulteriore pregiudizio che il privato stesso è costretto a subire a causa dell’esproprio immobiliare;

i motivi, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati e vanno rigettati;

deve rilevarsi che il primo motivo di ricorso appare inammissibile, in quanto, dalla lettura della sentenza impugnata, risulta avanzato per la prima volta in appello;

comunque, nel merito, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “ai fini dell’assoggettabilità a tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione di indennità di esproprio o di somme derivanti da cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi, nonchè di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva, conseguente ad un’occupazione d’urgenza divenuta illegittima, di terreni destinati ad opere pubbliche, ciò che conta è la collocazione dei suoli nelle zone omogenee (di tipo A, B, C, D) di cui alla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, non la loro vocazione edificatoria o agricola fondata sulle previsioni dello strumento urbanistico locale” (cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9228 del 03/04/2019);

si è anche detto che “in tema di imposte dirette sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, sono sottoposte a tassazione le plusvalenze realizzate mediante percezione della indennità di esproprio a seguito di una procedura di espropriazione per pubblica utilità o di cessione di terreni fabbricabili, quale che sia la finalità concreta realizzazione di un’opera pubblica o di un’opera di pubblica utilità, categoria quest’ultima nella quale rientrano gli insediamenti produttivi e gli impianti industriali, pur se realizzati da privati, previsti dagli strumenti urbanistici – a cui la medesima procedura sia preordinata. Pertanto, attesa la irrilevanza sia del titolo sia della finalità dell’opera che realizza il trasferimento, la plusvalenza è soggetta a tassazione tanto se il trasferimento avviene a seguito di cessione a titolo oneroso, riconducibile ad una scelta libera ed autonoma del cedente, quanto se il trasferimento avviene forzosamente a seguito di espropriazione, cessione volontaria od occupazione appropriativa per la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto applicabile l’art. 11 cit. con riferimento alle plusvalenze realizzate a seguito di procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione di un P.I.P., in cui solo una parte delle aree occupate era stata destinata a infrastrutture urbane, mentre la restante parte era stata destinata alla successiva assegnazione in lotti ad imprese private)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14362 del 30/06/2011; Sez. 5, Sentenza n. 8621 del 06/05/2004);

pertanto la sentenza impugnata appare conforme ai principi sopra richiamati;

passando all’esame del secondo motivo, la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, vigente ratione temporis, prevedeva che: ” Le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge se l’incremento di valore non è stato assoggettato all’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili. In tali casi le somme percepite devono essere indicate nella dichiarazione annuale dei redditi da presentarsi per l’anno 1991 e l’imposta deve essere corrisposta mediante versamento diretto nei modi previsti per il versamento delle imposte sui redditi in due rate uguali, con scadenza, la prima, entro il termine di presentazione della predetta dichiarazione e, la seconda, entro il quinto mese successivo. Nei confronti degli eredi del soggetto espropriato le suddette disposizioni si applicano limitatamente alle somme percepite dopo l’apertura della successione”;

secondo l’interpretazione letterale della norma, che trova l’avallo della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 315/1994, la disciplina transitoria di cui al comma 9 del cit art. 11 consente, con una parziale retroattività, la tassazione di plusvalenze percepite prima dell’entrata in vigore della legge, condizionandola, però, al fatto che nel triennio successivo al 31 dicembre 1988 siano intervenuti sia il titolo, fonte della plusvalenza, sia la percezione della somma;

una diversa interpretazione, che propugni la scissione tra il momento della percezione dell’indennità e quello dell’adozione del provvedimento ablativo, riferendo solo a quest’ultimo la portata retroattiva della norma, non terrebbe conto del fatto che, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza, al quale va ricollegato l’insorgere dell’obbligazione tributaria;

nè tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 53 Cost.,sul rilievo che essa determinerebbe una lesione del principio di capacità contributiva e del diritto di difesa del contribuente, impossibilitato a provare la mancata permanenza della disponibilità della somma, considerata dalla legge quale indice presuntivo di capacità contributiva;

invero, entrambe le questioni sono state affrontate e risolte dalla consulta, la quale, con la citata sentenza n. 315 del 1994, ha escluso l’illegittimità costituzionale della disciplina transitoria di cui al comma 9 dell’art. 11 cit.;

in particolare, la Consulta ha evidenziato che nella vicenda normativa in esame si rinviene “un elemento di prevedibilità dell’imposta che questa Corte, altre volte, ha reputato significativo sotto il profilo della permanenza della capacità contributiva e che, pertanto, è da considerarsi rilevante per giudicare della conformità all’art. 53 Cost. della retroattività conferita dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 9, alla norma sulla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione volontaria di terreni sottoposti ad espropriazione, specie se si tiene conto del breve lasso di tempo entro il quale tale retroattività è destinata ad operare”;

inoltre, la Corte Costituzionale ha chiarito che “il principio sancito nell’art. 53 Cost., comma 1, ha carattere oggettivo, perchè si riferisce ad indici rivelatori di ricchezza e non già a stati soggettivi del contribuente (sentenza n. 143 del 1982). Ne consegue che, se la capacità contributiva è da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata, non può non essere indifferente la sorte che possano aver subito medio tempore i ricavi conseguiti. Difatti, la prova che eventualmente venisse fornita dal contribuente circa la non più presente disponibilità in concreto della somma realizzata, a causa dell’avvenuto consumo o del reimpiego, non servirebbe certo a dimostrare la mancanza di quella capacità contributiva che è legittimamente presunta in relazione al fatto in sè della percezione della somma”;

si deve, quindi, concludere nel senso che il legislatore è libero di sottoporre ad imposizione fiscale manifestazioni di capacità contributiva, come la plusvalenza in questione, che in precedenza non ne erano colpite e che la percezione della plusvalenza concretizza un indice di ricchezza e capacità contributiva, la cui individuazione è rimessa, così come la nozione di reddito, alla discrezionalità del legislatore, senza che tale disciplina si ponga in contrasto sia con i citati artt. 24 e 53 Cost., sia con l’art. 1, comma 1, Prot. add. CEDU, che concerne soltanto il profilo della tutela del diritto di proprietà, ma non gli aspetti fiscali della vicenda espropriativa” (Cass. 24261/2011; conf. Cass. 2184/2012 e 12512/2013);

in tal senso si è espressa anche una recente pronuncia di questa Corte, secondo cui “è’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, in relazione all’art. 117 Cost., con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nella parte in cui prevede la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio, in quanto, per un verso, non attiene al contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, bensì al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, e, per un altro, la stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario, in quanto la somma da corrispondere non è tale da rendere il pagamento equiparabile ad una confisca” (Sez. 5, Sentenza n. 26417 del 19/10/2018);

in particolare, a stessa Corte di Strasburgo ha stabilito, con due decisioni del 16 gennaio 2018 (ricorsi n. 60633/16 Cacciato v. Italy e n. 50821/06, Guiso and Consiglio v. Italy), che l’imposta del 20% sull’indennità da esproprio non è una violazione del diritto di proprietà,garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ribadendo il principio secondo cui gli Stati, nelle scelte in materia di politica fiscale, hanno un ampio margine di apprezzamento, perchè devono adottare decisioni sulla base di valutazioni politiche, economiche e sociali, perseguendo un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali;

inoltre, la CEDU, con la decisione Belmonte c./Italia, resa sul ricorso n. 72638/2011 (richiamata da Cass. sent. n. 1429/2013), pur ribadendo la validità del principio di cassa (da intendersi nel senso che è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, ed in particolare prima del 1 gennaio 1989), ha ritenuto che, qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 per ingiustificato ritardo della P.A., la plusvalenza non fosse imponibile;

per quanto fin qui esposto, atteso il rigetto del ricorso principale, non deve esaminarsi il ricorso incidentale, avanzato dall’Agenzia delle entrate solo in via condizionata all’accoglimento di quello del contribuente;

il ricorrente principale va condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e condanna il contribuente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente principale il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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