Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12278 del 15/06/2016

Cassazione civile sez. III, 15/06/2016, (ud. 11/02/2016, dep. 15/06/2016), n.12278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5521/2013 proposto da:

V.A.V., (OMISSIS), D.P.M.

L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEL SERAFICO, 65, presso lo studio dell’avvocato ANGELO ROSATI,

che li rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

V.B., V.A.M., V.F.,

V.A., V.M., V.M.

A. nella loro espressa qualità di eredi di P.G.

M.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUCIANO ANCORA giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 664/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 29/09/2012, R.G.N. 291/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ANGELO ROSATI;

udito l’Avvocato PINO LAURENZI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 29/9/2012 la Corte d’Appello di Lecce ha respinto il gravame interposto dai sigg.ri D.P.M.L. e V. A.V. in relazione alla pronunzia Trib. Lecce 20/10/2008, di parziale accoglimento della domanda nei loro confronti in origine monitoriamente azionata dai sigg.ri V.A.M. ed altri di pagamento di somma in base a ricognizioni di debito.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la D. P. e V.A.V. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i sigg.ri V.A.M. ed altri, che hanno presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 161, 287 e 288 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 320, 471, 489 e 490 c.c., artt. 101, 102, 156, 157, 354 e 633 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di “fatto decisivo per il giudizio”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 39, 40 e 295, c.p.c., artt. 713, 724, 725, 726, 728 e 751 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di “fatto decisivo per il giudizio”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare esso richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).

Risponde altresì a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimità che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., da ultimo, Cass., 2/4/2014, n. 7692).

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è tuttavia indispensabile che il ricorso offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dagli odierni ricorrenti.

Il ricorso risulta infatti formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti fanno riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito es., all'”atto 13 dicembre 1997″, al “decreto 25 ottobre 1997 n. 335” a “ricognizioni di debito del 9 marzo 1986 e del 28 maggio 1989”, alla comparsa di costituzione e risposta degli opposti, alla “produzione documentale” alla “CTU grafologica”, alla sentenza del giudice di prime cure, alla “causa di divisione ereditaria ex art. 713 c.c.”, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108. E già Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso –

apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va per altro verso sottolineato che il requisito di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non risulta invero soddisfatto mediante la trascrizione come nella specie di parte degli atti o documenti del giudizio di merito nel caso, l’impugnata sentenza.

E’ al riguardo invece necessario che dei medesimi vengano riportati gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità.

La violata disposizione è infatti volta ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), atteso che ai fini del rispetto del suindicato requisito ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v.

Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698; Cass., 14/6/2011, n. 12955;

Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628).

Il ricorrente è pertanto al riguardo tenuto non già ad un’attività compilativa di richiami ad atti processuali del giudizio di merito alla relativa allegazione o trascrizione bensì a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180), trovando a tale stregua ragione il tenore dell’art. 366 c.p.c., là dove impone di redigere il ricorso per cassazione esponendo sommariamente i fatti di causa, sintetizzando cioè i medesimi con selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, nonchè indicazione delle ragioni di critica nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c., in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Senza sottacersi che mediante la mera trascrizione dell’impugnata sentenza ai fini dell’assolvimento del requisito ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente si espone invero alla violazione dell’ulteriore requisito ex n. 6 del medesimo articolo.

Con particolare riferimento al 1^ motivo, va ulteriormente osservato che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’omessa, incompleta o inesatta indicazione, nell’epigrafe o nel dispositivo della sentenza, del nominativo di una delle parti in causa, non è motivo di nullità, ma costituisce mero errore, emendabile con la procedura prevista per la correzione degli errori materiali, qualora dalla stessa sentenza e dagli atti sia inequivocamente individuabile la parte pretermessa o inesattamente indicata (v. Cass., 6/3/2006, n. 4796; Cass., 24/3/2005, n. 6399;

Cass. 28/5/2001 n. 7242. E, da ultimo, Cass., 20/3/2015, n. 5660).

Orbene, nel caso la parte inesattamente indicata risulta invero inequivocamente individuabile ed individuata.

Quanto al 2^ motivo, atteso che in termini generali la mancanza di autorizzazione del giudice tutelare per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione riguardanti i minori di età non dà luogo ad inesistenza o nullità degli atti stessi, bensì alla loro annullabilità ai sensi dell’art. 322 c.c., la quale può essere fatta valere soltanto dal genitore (che abbia agito in rappresentanza del figlio) o dal figlio medesimo, e non anche dalla controparte del negozio (v. Cass., 23/12/1988, n. 7044), ovvero, in caso di accettazione dell’eredità devoluta a minori di età, dai coeredi allo scopo di accrescere la loro quota dell’asse ereditario v. Cass., 12/8/1996, n. 7495), laddove l’accettazione tacita – fatta con il compimento di uno degli atti previsti dall’art. 476 c.c. – non rientra nel potere del rappresentante legale e perciò non produce alcun effetto giuridico nei confronti dell’incapace, che resta nella posizione di chiamato all’eredità fino a quando egli stesso o il suo rappresentante eserciti il diritto di accettare o di rinunziare all’eredità entro il termine della prescrizione (v., con riferimento a divisione amichevole dei beni ereditari, Cass., 27/2/1995, n. 2276), deve sottolinearsi come l’autorizzazione del giudice tutelare a promuovere il giudizio in rappresentanza del minore costituisca condizione di efficacia, e non già requisito di validità, per la costituzione del rappresentante dell’incapace, e quando la condizione si verifica essa opera retroattivamente, sanando ogni vizio derivante dalla precedente sua mancanza v. Cass., 12/4/1965, n. 650).

Orbene, nella specie la corte di merito ha al riguardo posto in rilievo: “1) che il V., divenuto maggiorenne, non h contestò la qualità di erede, attribuitagli dagli opposti sin dal ricorso per decreto ingiuntivo; 2) che ex art. 489 c.c., non provvide alla formazione dell’inventario nel termine ivi previsto; 3) che, come emerge dalla documentazione, prodotta dagli stessi opponenti, il V., maggiorenne, è parte del giudizio di divisione ereditaria, instaurato nei suoi confronti (e della madre) da V.F. ed altri, e nel quale si è regolarmente costituito non opponendosi alla divisione “purchè essa venga operata secondo i criteri esplicitamente concordati per iscritto con i coeredi””; ed altresì che “per costante giurisprudenza, la prosecuzione del giudizio oltre il termine di cui all’art. 489 c.c., senza che il minore, divenuto maggiorenne, provveda alle formalità di legge per l’accettazione dell’eredità col beneficio d’inventario, comporta l’accettazione tacita dell’eredità stessa; dall’altro che la partecipazione – nella veste di attore o di convenuto – al giudizio di divisione ereditario comporta l’accettazione dell’eredità. Ne consegue che al V. va attribuita la qualità di erede puro e semplice e non quella di chiamato”.

Orbene, trattasi di rationes decidendi che non risultano dagli odierni ricorrenti idoneamente censurate.

In relazione al 3^ motivo va infine evidenziato, da un canto, che la mancata sospensione del giudizio, nei casi in cui se ne assume la necessarietà in ragione della indispensabile antecedenza logico-

giuridica della questione asseritamente pregiudicante che valga a condizionare – in tutto o in parte – l’esito della causa da sospendere, attesa l’esclusione della discrezionale facoltà di sospensione del processo da parte del giudice (cfr., da ultimo, Cass. 20/1/2015, n. 798) integra un vizio della decisione, astrattamente idoneo ad inficiare la successiva pronuncia di merito, che traducendosi nella violazione di una norma processuale ricade nella previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass., 22/04/2013, n. 9714; Cass., 01/08/2007, n. 16992); e, per altro verso, che la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione, sicchè, quando una sentenza sia impugnata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, è onere del ricorrente provare che la causa pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione, perchè nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso (v., da ultimo, Cass., 10/11/2015, n. 22878).

Orbene, non risulta dagli odierni ricorrenti invero nè mossa censura sotto il profilo dell’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nè data la prova dell’attualità della pendenza del procedimento asseritamente pregiudicante.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-

bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-

bis.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2016

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