Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12274 del 14/06/2016


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Cassazione civile sez. I, 14/06/2016, (ud. 31/05/2016, dep. 14/06/2016), n.12274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23419/2010 proposto da:

G.M.F. GRANDI MAGAZZINI F. S.P.A., (C.F./P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12, presso

l’avvocato MARIA BEATRICE D’IPPOLITO, rappresentata e difesa dagli

avvocati CLAUDIO FRANCESCHINI, LUCA TAMBURELLI, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SUPERMARKET T. DI T.Q. & C. S.N.C.,

(C.F. (OMISSIS)), in persona del Curatore Dott. S.

M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XXIV MAGGIO 43,

presso l’avvocato VINCENZO GOLINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCO LUCIO CAMPIANI, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 175/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 12/04/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato LUCA TAMBURELLI, anche in

sostituzione dell’avv. FRANCESCHINI, che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato MARCO LUCIO CAMPIANI che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La Corte d’appello di Perugia ha respinto l’appello proposto da GMF Grandi Magazzini F. SpA, avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città con la quale era stata accolta la domanda revocatoria proposta, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, dal curatore del Fallimento Supermarket Tacchi di T.Q. & C. snc, perchè quest’ultima, nell’anno anteriore all’apertura della procedura, aveva acquistato merci per circa 993 milioni di Lire, con pagamento contestuale alla consegna, con la conseguente condanna dell’appellante al pagamento della somma di 513.193,80 Euro.

2. Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora rileva, l’eventus damni era in re ipsa e, ove anche esso fosse ritenuto tale in virtù di una presunzione iuris tantum, sarebbe comunque mancata, da parte dell’appellante, l’allegazione degli elementi atti a vincere tale presunzione, non potendo essa essere esclusa dalla sola considerazione che il pagamento era avvenuto contestualmente alla consegna della merce.

2.1. Infatti, l’attrice avrebbe dovuto dimostrare che lo stesso trattamento (ossia il pagamento contestuale alla consegna della merce) era stato praticato a tutti i creditori della società in bonis e senza che gli atti solutori si fossero resi possibili in ragione del finanziamento o dell’omesso pagamento di altri creditori.

3. Avverso tale decisione GMF ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati anche con memoria.

4. La Curatela fallimentare resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo mezzo di ricorso (Violazione dell’art. 1336 c.c., non avendo la Corte d’Appello qualificato correttamente la fattispecie concreta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) la società ricorrente lamenta che i giudici di merito (anche di primo grado) non abbiano analizzato l’esatta qualificazione del fatto (e cioè che gli acquisti da parte della società in bonis erano stati eseguiti, da soggetti muniti della partita Iva, nel proprio centro ingrosso, con il prelevamento diretto delle merci agli scaffali e previa collocazione delle stesse sui carrelli di trasporto; infine, con il pagamento in contanti eseguito presso le casse dell’esercizio commerciale).

1.1. Insomma, una volta risoltosi il rapporto contrattuale di somministrazione inter partes, gli acquisti della società debitrice erano avvenuti con le dette modalità, ossia con singole compravendite, eseguite con il prelievo della merce e la sua collocazione nel “carrello per la spesa”, senza che il creditore potesse rifiutare il pagamento, in presenza di un acquisto già perfezionatosi con quelle modalità, in locali aperti al pubblico, nel corso dei trentasei mesi impiegati dal Tribunale per pervenire alla dichiarazione di fallimento della società debitrice.

2.Con il secondo mezzo (Insufficiente e contraddittoria motivazione circa le modalità di esecuzione dei rapporti contrattuali nel periodo antecedente il fallimento e circa la sussistenza del pregiudizio alla massa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente ha censurato la decisione della Corte d’Appello perchè l’avrebbe privata del diritto di difesa impedendo di dare ingresso alla prova liberatoria circa l’inesistenza del pregiudizio e circa le modalità di svolgimento dei rapporti contrattuali tra la fallita ed essa ricorrente.

3. Il ricorso, che è infondato, deve essere respinto.

4. Il primo mezzo, con il quale si chiede di escludere la revocabilità dei pagamenti eseguiti nell’ambito di singole compravendite di merci è in netto contrasto con il diritto vivente (per tutte, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1376 del 1983) e con l’affermazione del principio di diritto secondo cui “ai fini della revocatoria fallimentare, la L. Fall., art. 67, comma 2, non distingue tra pagamenti contestuali, cioè simultanei alla controprestazione, ed anche alla stessa conclusione del contratto, e pagamenti precedenti o successivi alla stessa; pertanto, perchè possa, nel concorso della scientia decotionis, pronunciarsi la revoca del pagamento, sufficiente che lo stesso si riferisca ad un debito liquido ed esigibile”, senza che tale revocabilità possa impingere in un dubbio di legittimità costituzionale della disposizione in esame, atteso che “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. Fall., art. 67 – per violazione degli artt. 3, 35 e 41 Cost. – nella parte in cui non distingue, ai fini della revocabilità, tra pagamento contestuale alla controprestazione del venditore e pagamento non contestuale (nella specie, effettuato prima della consegna della merce). Invero, la revocabilità del pagamento del prezzo, quale debito liquido ed esigibile, indipendentemente dal rapporto con la consegna della cosa venduta, deriva dalla stessa disciplina della compravendita, che, quale contratto consensuale, implica che l’obbligazione dell’acquirente sorge sempre al momento della conclusione del contratto e non già a quello della consegna della cosa venduta.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13086 del 2015).

4.1. Del resto, è del tutto indifferente l’esatta qualificazione del rapporto contrattuale (peraltro non messo in discussione dalla Corte territoriale), così come rivendicato dall’odierna ricorrente, nel senso che l’originario rapporto di somministrazione era cessato per essere sostituito da singoli acquisti di merce, eseguiti con pagamenti contestuali, considerato che la motivazione posta a base del rigetto dell’impugnazione è pienamente conforme al richiamato orientamento affermato da questa Corte, con le decisioni appena richiamate e che, neppure ricorre in un caso siffatto la posizione del legalmonopolista (cfr., sul pagamento alla posizione generale del monopolista legale Sez. U, Sentenza n. 1232 del 2004, e sulle fattispecie particolari: Cass. sez. 1, sentt. nn. 8418 del 2013, per il pagamento al venditore di carburanti, e 18833 del 2008, per il pagamento al farmacista).

5. Il secondo mezzo ricorso, appare in parte inammissibile ed in parte infondato.

5.1. Inammissibile, per la parte non confutata dal ragionamento appena svolto, laddove si duole del mancato ingresso della prova liberatoria circa l’inesistenza del pregiudizio e circa le modalità di svolgimento dei rapporti contrattuali tra la fallita ed essa ricorrente, atteso che di tali istanze istruttorie non è allegata nè l’indicazione, pur generica, nè – a fortiori, come prescritto dalla giurisprudenza di questa Corte – il “se, come, quando e dove”, tali richieste siano state formulate e quale sia stato il loro tenore.

5.2. Infondato, nella parte in cui contesta la presunzione del danno nascente dal pagamento eseguito dal debitore in bonis nel periodo sospetto, alla luce del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 403 del 2001), secondo cui “In tema di fallimento, il legislatore, nel dettare le norme di cui alla L. Fall., art. 67, commi 1 e 2, non soltanto ha inteso differenziare le ipotesi di azione revocatoria fallimentare da quella di revocatoria ordinaria “sub specie” del differente presupposto del danno per i creditori, ma ha altresì ipotizzato, all’interno della stessa revocatoria fallimentare, due diverse fattispecie, sul presupposto che il concetto di danno possa assumere, rispetto agli atti a titolo oneroso, una portata diversa, sancendo così, con l’art. 67, comma 2, il principio di una più incisiva indisponibilità (relativa) del patrimonio nell’imminenza della dichiarazione del fallimento del suo titolare, sicchè il concetto di “eventus damni” va, in tal caso, ravvisato nell’assoluta (e legale) presunzione di pregiudizio dei creditori conseguente all’atto di disposizione del patrimonio, vietato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.” e, più di recente, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23430 del 2012: ” il danno riconducibile agli atti negoziali e solutori, compiuti nel concorso dei presupposti di cui all’art. 67 legge fall., è “in re ipsa”, consistendo nella lesione della “par condicio creditorum”, ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all’uscita del bene dalla massa (a nulla rilevando che il prezzo sia poi utilizzato, eventualmente, dall’imprenditore fallito per pagare un creditore privilegiato), in aderenza alla funzione distributiva (antindennitaria) propria dell’azione revocatoria”.

5.3 Questa Corte, ancora una volta, ribadisce tale orientamento, per le ragioni già espresse nelle richiamate sentenze, costituenti la base del riferito diritto vivente, non essendo stati addotti argomenti decisivi in senso contrario.

6. In conclusione, il ricorso del tutto infondato, deve essere respinto con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 31 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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