Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12271 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 23/06/2020), n.12271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33411-2018 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO NOVELLINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 20329/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 2/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/3/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con decreto in data 2 ottobre 2018 il Tribunale di Brescia rigettava il ricorso proposto da M.C., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale, dopo aver espresso un giudizio di totale inattendibilità del racconto del migrante (il quale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio paese per sfuggire alle minacce del gruppo criminale denominato Vikings), escludeva che allo stesso potesse essere riconosciuta la protezione sussidiaria, da un lato perchè la non credibilità delle dichiarazioni rese privava di fondamento la domanda presentata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), dall’altro perchè nella zona sud della Nigeria, da dove il ricorrente proveniva, non era in corso un conflitto armato interno e le autorità governative mantenevano il controllo del territorio;

nel contempo il Tribunale reputava che non potesse essere riconosciuta neppure la protezione umanitaria, in mancanza dell’allegazione di credibili fattori soggettivi e tenuto conto che le criticità esistenti in Nigeria non davano comunque luogo a un’emergenza umanitaria generalizzata;

2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia M.C. al fine di far valere tre motivi di impugnazione;

il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, in quanto il Tribunale, malgrado il ricorrente avesse spiegato quali gravi persecuzioni avesse dovuto subire ad opera della setta dei Viking, avrebbe omesso di accertare se le autorità nigeriane fossero effettivamente in grado di offrirgli adeguata protezione;

3.2 il motivo è inammissibile, per mancanza di decisività;

l’indagine omessa sarebbe stata infatti inutile, atteso che lo stesso migrante ha dichiarato “di non aver denunciato i fatti alla polizia per paura di subire ritorsioni” (pag. 2 del decreto impugnato), ammettendo così la mancanza del presupposto in fatto necessario ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. c);

4.1 il secondo motivo assume che il provvedimento impugnato conterrebbe argomentazioni contraddittorie, in quanto il Tribunale, dopo aver sostenuto che i fatti narrati erano astrattamente riconducibili al disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), aveva però constatato che il ricorrente non aveva soddisfatto l’onere probatorio che su di lui incombeva, dimenticando peraltro di dare corso al proprio dovere di cooperazione istruttoria officiosa;

4.2 il collegio di merito ha riconosciuto che i fatti narrati, in astratto (vale a dire se credibili), sarebbero stati riconducibili alle forme di protezione previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

la totale inattendibilità del racconto tuttavia esentava – a dire del collegio di merito – dall’obbligo di approfondimento istruttorio officioso previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 (dato che qualora le dichiarazioni del migrante siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; Cass. 16925/2018) e impediva, nel merito, di ritenere dimostrata una simile versione dei fatti;

il motivo risulta così inammissibile, poichè, nel predicare la contraddittorietà del decreto impugnato, non coglie la ratio posta dal Tribunale a base della propria decisione, come il ricorso per cassazione deve necessariamente fare (Cass. 19989/2017);

5.1 il terzo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e falsa applica pione di norme di diritto denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione al rigetto della domanda proposta in via subordinata in ordine alla richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari”, sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto verificare se le allegazioni e le acquisizioni istruttorie potessero condurre all’accertamento di una posizione qualificata di vulnerabilità in presenza di gravi motivi umanitari e fattori impeditivi al rimpatrio, quali la sistematica violazione dei diritti umani fondamentali, l’assenza di qualsivoglia efficace protezione da parte degli organi statuali e il clima di terrore provocato dai continui attacchi di Boko Haram;

5.2 il motivo è inammissibile;

è ben vero che in materia di protezione umanitaria, nel regime previgente applicabile alla fattispecie concreta, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva cd oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass., Sez. U., 29459/2019, Cass. 4455/2018);

una simile valutazione presupponeva tuttavia l’allegazione della realizzazione di un grado adeguato di integrazione sociale in Italia e del fatto che l’eventuale rimpatrio fosse in grado dideterminare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello standard minimo costitutivo dello statuto della dignità personale; allegazione che competeva al richiedente asilo, in quanto la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

nel caso di specie il collegio di merito, all’esito del giudizio di non credibilità, ha ritenuto che il richiedente asilo non fosse meritevole di qualsiasi forma di protezione, in mancanza dell’allegazione di fattori soggettivi differenti da quelli giudicati inverosimili e non sussistendo oggettive criticità tali da dare luogo a una emergenza umanitaria generalizzata per chi provenga dalla zona in cui abitava il richiedente asilo;

a fronte di tali accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la censura intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa (onde trarne la dimostrazione dell’esistenza di verosimili allegazioni utili ad effettuare

una comparazione in termini dimostrativi dell’esistenza di una effettiva vulnerabilità) e si traduce in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c. e al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 23 giugno 2020

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