Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12270 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 23/06/2020), n.12270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31517-2018 proposto da:

O.Y.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA SEZIONE DI

PADOVA, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2542/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/9/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/3/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI

ALBERTO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Venezia, con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. del 28 gennaio 2017, rigettava il ricorso presentato da O.Y.D., cittadino del Burkina Faso, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria prevista del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

2. la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 10 settembre 2018, respingeva l’impugnazione proposta dal richiedente asilo, dopo aver da un lato condiviso il giudizio di non credibilità già espresso dal primo giudice, dall’altro escluso un’effettiva integrazione del migrante in Italia e una compromissione del nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost. in caso di rimpatrio;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Ouoba Yempabou Dieudonne prospettando tre motivi di doglianza; l’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa;

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e art. 5) in relazione al principio dell’onere probatorio attenuato così come a fermato dalle S. U. con la sentenza n. 27310 del 2008”, assume che la Corte territoriale si sarebbe limitata a ribadire i rilievi del Tribunale in punto di non credibilità senza tener conto delle osservazioni offerte nell’atto di appello ed astenendosi dal compiere una valutazione della situazione esistente nel Burkina Faso;

4.2 la censura trascura di considerare per intero gli argomenti addotti dalla Corte di merito, con specifico riferimento alle osservazioni del primo giudice non contestate, alle contestazioni sollevate in maniera non condivisibile e ai profili di contraddittorietà del racconto rilevati, appuntandosi su una parte di essi e ribadendo al riguardo le critiche già sollevate in sede di merito;

una simile doglianza è inammissibile, poichè nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata senza considerare le ragioni offerte da quest’ ultima (Cass. 11098/2000);

d’altra parte la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito censurabile in questa sede solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;

si deve invece escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal migrante, nel senso proposto in ricorso, trattandosi di censura attinente al merito;

censure di questo tipo si riducono infatti all’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che però è estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisce invece alla tipica valutazione del giudice di merito, la quale è sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 3340/2019);

il mezzo, infine, lamenta la mancata applicazione del principio dell’onere probatorio attenuato malgrado la Corte (svolgendo peraltro un compito a cui non era tenuta, posto che, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere a un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria personale nel paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; Cass. 16925/2018) abbia comunque assunto informazioni in tema di corruzione giudiziaria e sovraffollamento delle carceri;

sul punto la critica non incontra il contenuto del provvedimento impugnato e se ne astrae, malgrado il ricorso per cassazione debba caratterizzarsi per la sua riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007);

5.1 il secondo motivo, sotto la rubrica “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 3, comma 3) per contraddittoria motivazione in merito alla valutazione della situazione del Paese di origine del richiedente (Burkina Fuso) e la negazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”, assume che la corte territoriale, benchè la protezione umanitaria debba essere riconosciuta nei casi in cui esista una situazione di insicurezza nel paese di origine o possa sussistere il rischio di violazione dei diritti fondamentali, abbia violato il proprio dovere di collaborazione, non indagando il reale pericolo che il ricorrente avrebbe corso ove fosse stato detenuto in carcere e limitandosi al riguardo a constatare una condizione di sovraffollamento;

il diniego della protezione umanitaria sarebbe così irragionevole o immotivato, in quanto non terrebbe conto della generale situazione esistente nel Burkina Faso;

5.2 il motivo è inammissibile;

la Corte di merito ha ribadito il giudizio di non credibilità delle dichiarazioni del migrante già espresso dal primo giudice; il che comportava che il racconto del migrante non assumesse alcun rilievo ai fini della valutazione delle domande di protezione richieste; ne discende che le modalità con cui è stata compiuta l’indagine sulle condizioni delle carceri in Burkina Faso sono prive di decisività, non risultando dimostrato il rischio che il migrante potesse subire una simile restrizione in caso di rimpatrio;

i rilievi in merito alle condizioni generali del Burkina Faso si riducono invece a deduzioni astratte e di principio, che non scalfiscono la ratio decidendi addotta dal Tribunale – il quale, sulla base delle COI consultate, ha escluso che in caso di rientro sarebbe stato compromesso il nucleo fondamentale dei diritti di cui all’art. 2 Cost. – e si limitano a sollecitare una nuova valutazione, nel merito, di queste circostanze;

6.1 il terzo motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione di legge art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in punto di inclusione sociale dell’odierno ricorrente – errata valutazione documentazione prodotta”, assume che la Corte territoriale avrebbe negato la protezione umanitaria malgrado sussistessero entrambi i requisiti necessari per la sua concessione, tenuto conto del percorso integrativo compiuto dal migrante in Italia, valutato senza considerare la documentazione lavorativa prodotta, e del rischio di subire una violazione dei diritti umani in caso di rimpatrio;

6.2 il motivo è inammissibile;

vero è che il giudice di merito era chiamato a operare, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria secondo il regime applicabile tallone temporis, la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che assumesse autonomo rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., Sez. U., 29459/2019);

una simile attività comparativa tuttavia è proprio quanto ha fatto il giudice del merito, il quale, una volta esclusa la veridicità del racconto del migrante, da una parte ha constatato come questi non potesse ritenersi integrato nel tessuto socio-culturale del paese ospitante sulla base di “.poradiche prestazioni lavorative retribuite”, risultando così esaminata la documentazione all’uopo prodotta, dall’altra ha reputato che le condizioni del paese d’origine non consentissero di ritenere che un eventuale rimpatrio avrebbe compromesso la titolarità e l’esercizio dei diritti umani al di sotto del loro nucleo ineliminabile;

a fronte di tale giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, il mezzo intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

7. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 23 giugno 2020

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