Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12268 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 23/06/2020), n.12268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16265/2019 proposto da:

A.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO BARONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. cronol. 4189/2019 del TRIBUNALE DI NAPOLI,

depositato il 10/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, con decreto n. 4189/2019, ha respinto la richiesta di A.M.P., cittadino del Ghana, a seguito di diniego da parte della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, i giudici del Tribunale hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per timore di ritorsioni da parte dei giocatori di una squadra di calcio, avendo egli ferito con una pietra un calciatore, durante una partita, che lo aveva accusato di avere, come arbitro, provocato la sconfitta della squadra) presentava diverse lacune e contraddizioni e risultava non credibile; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la zona di provenienza, verosimile, del richiedente, il Ghana, non era interessata da violenza indiscriminata o conflitti interni (secondo i report di Human Rights, del 2017, e COI, sempre del 2017). Non ricorrevano neppure le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, alla luce di quanto sopra detto.

Avverso il suddetto decreto, A.M.P. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva),

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.II ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 27, comma 1 bis, per avere il Tribunale omesso ogni attività istruttoria, al fine di verificare la veridicità dei fatti esposti dal richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale; 2) con il secondo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7,8 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, laddove il Tribunale ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, malgrado vi fosse un fondato timore di subire, in caso di rimpatrio, atti di persecuzione sufficientemente gravi, in difetto di elementi di segno contrario o di contraddizioni con le informazioni generali provenienti dal paese; 3) con il terzo motivo, si lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo il Tribunale ritenuto erroneamente, ai fini della chiesta protezione sussidiaria, la zona di provenienza del richiedente non di particolare pericolosità, senza considerare la situazione politico-sociale del Ghana e le gravi violazioni dei diritti umani, positivamente vagliata da altra giurisprudenza di merito ai fini della chiesta protezione sussidiaria; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al rigetto della protezione umanitaria, senza alcuna motivazione.

2. La prima censura è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto del tutto generico il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine.

Vero che nella materia in oggetto il giudice ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Inoltre, da ultimo si è ulteriormente chiarito (Cass. 27593/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (cfr.Cass. 27503/2018 e Cass.29358/2018).

In sostanza, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la cooperazione istruttoria consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, dovendo, anzi, l’allegazione essere adeguatamente circostanziata, cosicchè solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (si parla, genericamente, del rischio di subire persecuzioni).

3. La seconda e la terza censura sono inammissibili.

I motivi contengono una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

Il Tribunale infatti ha ritenuto che doveva escludersi l’esistenza dei presupposti per accordare la protezione dello status di rifugiato, in difetto di qualunque allegazione di una forma di persecuzione, nel senso delineato dalla normativa in materia.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, il Tribunale ha correttamente ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escluda il diritto alla protezione invocato. Il Tribunale invero ha escluso, sulla scorta di fonti ufficiali di conoscenza appositamente menzionate, che la situazione interna fosse in quello Stato caratterizzata da violenza indiscriminata in condizione di conflitto armato.

Si tratta di una valutazione in fatto, della quale il ricorrente si limita a sollecitare un diverso apprezzamento.

4. Il quarto motivo è del pari inammissibile, per assoluta genericità

Orbene, il ricorrente non ha dedotto alcunchè quanto alla specifica lesione della sfera dei propri diritti personalissimi, limitandosi ad un riferimento generico alla situazione del Ghana ed ad un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove violenze (profilo, quest’ultimo, rispetto al quale risulterebbe comunque insuperabile l’accertamento dei giudici di merito, i quali hanno motivatamente escluso la credibilità della narrazione del richiedente).

Il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (cfr. Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Inoltre, l’accertata – da parte del Giudice di merito – situazione sostanzialmente stabile, dal punto di vista della violenza e degli scontri armati, nella regione di provenienza dell’istante, ha indotto il Tribunale a denegare anche la protezione sussidiaria; nè in questa sede il ricorrente ha fornito elementi che consentano una diversa valutazione.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 23 giugno 2020

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