Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12268 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 10/05/2021), n.12268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2061/2017 R.G. proposto da;

DHL HOLDING (ITALY) S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Sergio

Sottocasa Biani e dall’Avv. Giuseppe Persico, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo, in Roma, via Caroncini, n.

51;

– ricorrente –

DHL SUPPLY CHAIN (ITALY) S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avv.

Sergio Sottocasa Biani e dall’Avv. Giuseppe Persico, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo, in Roma, via Caroncini, n.

51;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

e sul ricorso iscritto al n. 3140/2017, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

DHL HOLDING (ITALY) S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Sergio

Sottocasa Biani e dall’Avv. Giuseppe Persico, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo, in Roma, via Caroncini, n.

51;

DHL SUPPLY CHAIN (ITALY) S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avv.

Sergio Sottocasa Biani e dall’Avv. Giuseppe Persico, elettivamente

domiciliata nello studio di quest’ultimo, in Roma, via Caroncini, n.

51;

– controricorrenti –

Entrambi i ricorsi sono proposti avverso la sentenza della

Commissione Tributaria Regionale della Calabria n. 3748/2016,

depositata il 23 giugno 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con riferimento al proc. N. 2061/2017 R.G., mette in conto rilevare che, con due distinti ricorsi di identico tenore, articolati su sei motivi e proposti in rapida successione, la DHL HOLDING prima e la DHL SUPPLY subito dopo, hanno invocato la cassazione della sentenza d’appello in epigrafe, che ha accolto il gravame di merito erariale, confermando la fondatezza della pretesa fiscale.

Le due odierne ricorrenti avevano impugnato gli avvisi di accertamento mediante i quali erano state effettuate riprese fiscali per IRES, IRAP e IVA, avuto riguardo all’anno 2008, adducendo l’indeducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette e l’indetraibilità dei relativi importi ai fini dell’IVA per difetto di inerenza con l’attività d’impresa.

La CTP di Milano aveva accolto i ricorsi delle contribuenti.

Nella specie, la Guardia di Finanza di (OMISSIS) aveva effettuato una verifica fiscale nei confronti della DHL DUPPLY CHAIN in relazione ai costi correlati a prestazioni di servizi “infragruppo” nei confronti di consociate inglesi che venivano reputati privi del requisito di inerenza. In seguito alla società anzidetta veniva notificato avviso di accertamento relativamente all’IRAP e all’IVA 2008. Il predetto ente aderiva al regime del consolidato fiscale domestico (la cui consolidante era la DHL Holding) e per l’effetto veniva resa destinataria anche di un avviso di accertamento riguardante l’IRES.

I ricorsi per cassazione delle contribuenti sono affidati a sei motivi (identici) di censura.

Con separato ricorso N. 3140/2017 R.G., la medesima sentenza in epigrafe è stata impugnata per cassazione anche dall’Agenzia delle Entrate, con ricorso incentrato su un solo motivo, che contesta l’applicazione erronea dell’istituto del c.d. “cumulo giuridico” alle sanzioni irrogate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con riferimento ai ricorsi acclusi nel procedimento n. 2061/2017, le censure adombrate sono quelle di seguito esposte.

Con il primo motivo le contribuenti hanno censurato la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 112 c.p.c., per avere essersi limitata la CTR a ritenere legittimo l’accertamento non essendosi a suo dire l’Ufficio limitato ad un rinvio formale al PVC in precedenza redatto. Ad avviso delle contribuenti, invero, il collegio regionale si sarebbe soffermato su una questione estranea al thema decidendum, sorvolando sulle contestazioni reiteratamente espresse in ordine all’avvenuta violazione delle norme sul contraddittorio procedimentale per mancata considerazione nella cornice dell’accertamento fiscale delle osservazioni da esse rese.

Con il secondo motivo le contribuenti contestano l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del fatto decisivo per il giudizio rappresentato dall’omessa considerazione, da parte della CTR, delle contestazioni reiteratamente espresse in ordine all’avvenuta violazione delle norme sul contraddittorio procedimentale per mancata considerazione nella cornice dell’accertamento fiscale delle osservazioni da esse rese.

Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, le contribuenti le ricorrenti censurano la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per avere la CTR esaurito la motivazione nella lapidaria statuizione secondo cui non sussiste la prova della deducibilità, pur a fronte delle argomentazioni esposte dalla odierna ricorrente e dei documenti prodotti a supporto delle stesse.

Con il quarto motivo, le contribuenti adducono l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio già oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere la CTR lapidariamente escluso l’inerenza dei costi, trascurando di esaminare le argomentazioni rese dalla parte contribuente e i molteplici documenti versati a supporto di esse.

Con il quinto mezzo, le contribuenti adducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere la CTR fatto malgoverno degli oneri probatori trascurando l’avvenuto deposito di due relazioni redatte da distinte società di revisione che confermavano l’inerenza dei costi.

Con il sesto ed ultimo motivo, le contribuenti contestano la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 7, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere la CTR incrementato il minimo edittale della sanzione facendo riferimento all’entità del tributo evaso, ossia ad una circostanza che le norme in rubrica affatto contemplano.

Con il distinto ricorso n. 3140/2017, l’Agenzia, dal canto suo, lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40-bis, e dell’art. 917 del 1986, per avere la CTR incongruamente incluso nella base di computo del c.d. “cumulo giuridico” anche la sanzione correlata al mancato versamento dell’IRES.

Ciò premesso, deve essere preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., la riunione al procedimento n. 2061/2017 del più recente procedimento n. 3140/2017.

Sussiste, invero, un’evidente connessione fra i due giudizi, pendenti fra le stesse parti, aventi ad oggetto l’impugnazione a monte dei medesimi atti e a valle della stessa sentenza, correlati ad un’unica vicenda complessiva e postulanti il medesimo nucleo decisorio.

Questa Corte ha di recente ribadito il principio – mutuabile nel caso di specie secondo il quale la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero appaiano configura bili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. n. 27550 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 18050 del 2010; Cass., sez. Un., n. 1521 del 2013). Su queste basi – e venendo all’esame dei motivi dei singoli ricorsi riunici – va rilevato quanto segue.

Per quanto concerne i ricorsi ab origine affluiti con censure identiche nel procedimento n. 2061/2017 R.G. valgono le seguenti argomentazioni.

I primi due motivi di ricorso sono intimamente connessi adombrando ambedue, sia pure sotto i distinti profili dell’art. 360, comma 1, n. 4 e del successivo n. 5, una motivazione eccentrica rispetto al thema decidendum delineato dalla doglianza in appello formulata dalla parte contribuente, relativa alla violazione della norma che impone all’Ufficio di tener conto delle osservazioni al PVC.

Detti mezzi sono inammissibili e vanno disattesi.

Essi analogamente riproducono – riarticolandolo – il motivo d’originaria impugnazione avverso l’accertamento accolto dal giudice di primo grado. Nei ricorsi per cassazione omologhi si osserva che la CTR si sarebbe erroneamente soffermata sulla legittimità dell’atto impositivo motivato per relationem al PVC. Entrambe le doglianze in disamina mirano, pertanto, a contraddire l’intervenuta valutazione da parte dell’Amministrazione delle osservazioni, negando un presupposto che la CTR ha, per converso, accertato. In tal senso, i motivi di ricorso finiscono per esondare in una pretesa rivalutazione del materiale istruttorio, ancillare ad una ricostruzione alternativa dei fatti, preclusa in sede di legittimità.

Invero, il disallineamento riscontrato dalla parte contribuente non è evincibile dalla sentenza impugnata, che reca argomentazioni asciutte, eppure sufficienti a far cogliere la propria ratio decidendi, tesa a negare la coessenzialità della menzione di osservazioni rese nella fase del contraddittorio procedimentale, che assume essere state, nondimeno, valutate. La sentenza, infatti, evidenzia in narrativa come l’Agenzia avesse impugnato la pronuncia di primo grado assumendo l’avvenuto svolgimento di “ampia e puntuale valutazione da parte dell’Ufficio sia della memoria prodotta dalla società in fase di verifica sia delle osservazioni al p.v.c.”. Nella motivazione della decisione d’appello, la CTR riprende il motivo in questione ritenendone la fondatezza e assumendo al riguardo che dall’esame degli atti l’amministrazione non si sarebbe affatto limitata ad un rinvio “formale e recettizio ai soli atti espressi nel p.v.c.”. Corretto risulta, poi, il rilievo immediatamente susseguente secondo cui, non essendosi l’amministrazione limitata a mutuare acriticamente il PVC, essa comunque non era tenuta a “ulteriormente motivare in merito”. Detta sottolineatura è pienamente rispondente all’orientamento espresso da questa Corte, cui si intende dare continuità, secondo il quale “In tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo” (Cass. n. 3583 del 2016; Cass. n. 8378 del 2017).

In effetti, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) prevede, al comma 7), prima parte, che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”. La seconda parte prosegue chiarendo che “l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Come emerge dalla stessa lettura della prima parte del comma 7 – e dal raffronto con il tenore più perentorio della seconda parte, per la quale invece, all’esito di tanto complessa quanto nota evoluzione giurisprudenziale, si è pervenuti a conclusione opposta – all’obbligo dell’amministrazione finanziaria di “valutare” le osservazioni del contribuente (cui l’imposizione del termine dilatorio, questa sì a pena di nullità, è strumentale) non si aggiunge l’ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo, a pena di nullità. Non ricorrendo nella fattispecie in esame nè il presupposto formale, nè quello sostanziale per la comminatoria della sanzione di nullità, deve concludersi che la sentenza impugnata non abbia violato le disposizioni di legge suddette nel rigettare la corrispondente eccezione, ritenendo implicitamente respinte le osservazioni che la parte era stata abilitata a svolgere, nel termine dilatorio pacificamente rispettato dall’amministrazione.

Il terzo motivo appare fondato e va accolto.

La censura adombra un deficit motivazionale della sentenza a sostegno della ritenuta indeducibilità dei costi, assumendo trascurate le deduzioni e le produzioni documentali effettuate dalla parte contribuente.

In effetti, la CTR si è limitata ad evidenziare che i costi non sono deducibili in quanto attinenti ad operazioni funzionali, non a “soddisfare precisi interessi economici dell’impresa”, bensì a “ridurre la tassazione”. Il giudice regionale ha poi reputato utile soggiungere assertivamente che i costi in parola “sebbene connessi a precise pattuizioni contrattuali” non erano “rispondenti ad effettivi interessi economici riguardanti l’attività della società”, perlomeno secondo quelli che genericamente indica come “i canoni della libertà delle scelte imprenditoriali”.

Le ricorrenti hanno riportato nei rispettivi ricorsi stralci degli atti difensivi del procedimento d’appello dai quali si evince il riferimento a servizi di c.d. “information technology”, a servizi di “management” e, infine, a “servizi assicurativi” in favore delle società consociate, ripartite nell’ambito del gruppo. Per contrastare la contestata mancanza di inerenza statuita in appello, le contribuenti indicano una serie di documenti prodotti nel corso del giudizio tra cui relazioni di due società di revisione, corrispondenza mezzo mail, agenda meeting, elenco richieste di intervento, libro cespiti, schermate computer idonei, a loro parere, a dimostrare la stretta inerenza tra le attività svolte da una consociata e i ricavi realizzati dalla società verificata.

Orbene, a fronte di una difesa ampia e circostanziata, oltre che documentata, come si evince da quanto trascritto nei ricorsi per autosufficienza, la CTR si è espressa in maniera apodittica ed incerta, limitandosi a formulare asserzioni prive di contenuto argomentativo che non si confrontano assolutamente con il tema dei servizi di “information technology”, di “management” e assicurativi. Come già affermato da questa Corte con condiviso principio, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973 e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del D.P.R. n. 917 del 1986, incombe sul contribuente, il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, ove sia contestata dall’Amministrazione finanziaria anche la congruità dei dati relativi a costi e ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, in difetto di tale prova essendo legittima la negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass., n. 2935 del 2015, Cass. n. 7701 del 2013).

Inoltre, con specifico riguardo alla materia dei costi c.d. infragruppo (ovvero laddove una società del gruppo d’imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle altre consociate, ripartendone i costi fra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala), costituisce ius receptum il principio per cui l’onere della prova in ordine all’esistenza ed all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinchè il corrispettivo da essa versato sia deducibile ai fini delle imposte dirette e l’IVA contestualmente assolta sia detraibile, che questa abbia tratto dal servizio remunerato un’effettiva utilità, obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (v. Cass. n. 23027 del 2015; Cass. n. 8808 del 2013). Segnatamente, ai fini della dimostrazione del reale vantaggio connesso al costo sostenuto non è sufficiente nè l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi fornite dalla controllante alle controllate, nè la fatturazione dei corrispettivi, piuttosto richiedendosi la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass. n. 16480 del 2014; Cass. n. 23164 del 2017).

La CTR non ha dato corretta applicazione a questi principi, poichè, avendo correttamente ravvisato a carico della società l’onere probatorio in merito ai presupposti di deducibilità dei costi, non ha tuttavia vagliato gli elementi e le deduzioni fornite dalla contribuente a dimostrazione della inerenza e della utilità economica dei costi in contestazione, limitandosi alla considerazione, del tutto sganciata dai complessi criteri di valutazione che le contestazioni sui costi dei su riferiti servizi e l’articolato apparato probatorio documentale necessariamente involgono, che non sussisteva la prova della rispondenza ad effettivi interessi economici.

Con tale statuizione la CTR, pur sulla premessa di un richiamo formale di principi condivisibili, ne ha reso erronea applicazione.

Il quarto e il quinto motivo rimangono assorbiti, al pari del sesto che afferisce specificamente la determinazione delle sanzioni.

Il motivo unico del ricorso erariale resta a sua volta assorbito concernendo l’asserita inapplicabilità del c.d. “cumulo giuridico” ai fini del calcolo delle sanzioni in ipotesi di “consolidato fiscale”.

In conclusione, il ricorso n. 2061/2017 R.G. va accolto con riferimento al terzo motivo, rigettati il primo e il secondo e assorbiti gli altri; va dichiarato assorbito anche il ricorso n. 3140/2017; la sentenza impugnata va cassata e la controversia, non potendo essere decisa nel merito, va rinviata alla CTR della Lombardia in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi e per la statuizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, previa riunione del ricorso iscritto al n. 3140/2017, rigettati il primo e il secondo motivo, accoglie il terzo motivo del ricorso n. 2061/2017 del R.G., assorbiti i restanti motivi e il ricorso riunito, proposto dall’Agenzia delle Entrate; cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Lpmbardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

 

 

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