Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12266 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 23/06/2020), n.12266

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16050/2019 proposto da:

I.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANIA RUSSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 2118/2019 del TRIBUNALE DI BRESCIA,

depositato il 28/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa IOFRIDA

GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia, con decreto n. 2118/2019, depositato il 28/4/2019, ha respinto ha respinto la richiesta di I.E., nato in Nigeria, di religione cristiana, a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria, rilevando che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il proprio Paese, per sottrarsi alle minacce di una società segreta, gli Ogboni, di cui era affiliato il padre, deceduto, i quali pretendevano che egli entrasse a far parte della setta) risultava non attendibile, non emergendo dai Report ufficiali aggiornati (Refworld.org) che l’iniziazione a società segrete in Nigeria fosse coattivamente imposta a pena di morte, nonchè per evidenti incongruenze che la rendevano non plausibile; non poteva essere accolta la richiesta di protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non essendo la regione di provenienza del richiedente (l’Edo State in Nigeria) interessata da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava da Report di ECOI-EASO); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive, con riguardo alla situazione nell’area di provenienza (atteso che, al più, la situazione della Nigeria presentava delle criticità, di per sè insufficienti), e soggettive, non essendo da solo sufficiente il percorso di integrazione avviato in Italia.

Avverso il suddetto decreto, I.E. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si è costituito al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: I) la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, contestando la valutazione di credibilità compiuta dal Tribunale, risultando al contrario del tutto coerente e plausibile il racconto del richiedente; II) la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non avere il Tribunale, ai fini della chiesta protezione sussidiaria, proceduto ad un accurato vaglio della situazione socio-politica in Nigeria, alla luce di fonti aggiornate.

2. La prima censura è inammissibile.

Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019). Sempre questa Corte peraltro, ha evidenziato che l’accertamento del giudice di merito deve avere anzitutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33139 del 2018). Peraltro, nella specie, l’accertamento officioso risulta essere stato puntualmente condotto dal Tribunale.

3. Il secondo motivo di ricorso, riguardante il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, cioè la valutazione del rischio di danno grave in caso di rimpatrio, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è del pari inammissibile.

Il Tribunale ha motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali consultate ed indicate – che la zona di provenienza del ricorrente sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. La doglianza in esame, a fronte del giudizio, espresso nel provvedimento impugnato, di esclusione del pericolo per il richiedente di un danno grave o individuale alla vita o alla persona derivante dal contesto di violenza indiscriminata nell’area di provenienza, sulla base di fonti informative individuate specificamente, mira nella sostanza a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2020.

Depositato in cancelleria il 23 giugno 2020

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