Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12260 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 10/05/2021), n.12260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9259 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente principale –

contro

Givi 87 s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa dagli Avv.ti Marco Miccinesi e Francesco Pistolesi per

procura speciale a margine del controricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Cola di Rienzo, n. 180, presso lo studio

dell’Avv. Paolo Fiorilli;

– controricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 214/1/11, depositata in data 1 maggio

2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 25

novembre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata nonchè dagli atti difensivi delle parti si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Givi 87 s.r.l. tre avvisi di rettifica della dichiarazione Iva, relativamente agli anni di imposta 1987, 1988 e 1989; la società aveva proposto ricorso e, dopo i giudizi di merito, si era definitivamente pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 17710/2009, che aveva confermato la sentenza del giudice di appello che aveva riconosciuto la legittimità degli avvisi di rettifica; a seguito della pronuncia della Suprema Corte, l’amministrazione finanziaria aveva notificato un avviso di liquidazione con le quali era stato chiesto alla società il pagamento di quanto dovuto per effetto dell’accertamento definitivo della legittimità della pretesa; la società aveva proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione e lo stesso era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Pisa, che aveva quantificato il debito della contribuente in misura ridotta rispetto a quella riportata nell’avviso di liquidazione; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello; nelle more del processo la società aveva presentato domanda di condono, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, che era stato respinto dall’amministrazione finanziaria, quindi la società aveva proposto ricorso avverso il diniego di condono; la Commissione tributaria regionale della Toscana, riunito il giudizio relativo alla legittimità dell’avviso di liquidazione con quello relativo al diniego di condono, aveva dichiarato efficace il condono, senza pronunciarsi nel merito; avverso la pronuncia del giudice del gravame l’amministrazione finanziaria aveva proposto ricorso per cassazione; la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17710/09, ha cassato con rinvio la pronuncia del giudice di secondo grado, rilevando la contraddittorietà della pronuncia e evidenziando, al fine della corretta applicabilità del condono, la necessità che fosse distinto il contenuto dell’avviso di liquidazione avente natura accertativa da quello consistente nella mera liquidazione di quanto dovuto;

a seguito della cassazione con rinvio e della conseguente riassunzione della causa, la Commissione tributaria regionale della Toscana ha ritenuto che: la pretesa tributaria era stata definita dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 45170/2000; dovendo pronunciare nel rispetto della pronuncia della Corte di cassazione a seguito di rinvio, la misura in relazione alla quale era applicabile la definizione agevolata corrispondeva a quella accertata dalla Commissione tributaria provinciale;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a quattro motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito la società depositando controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi di censura.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 136, e dell’art. 132 c.p.c., per essere priva dell’esposizione dei fatti, non essendo ricavabili dal contenuto della motivazione, peraltro sintetica e contraddittoria;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame ha esposto che la pretesa dell’amministrazione finanziaria era scaturita dalla notifica di tre avvisi di rettifica Iva per gli anni di imposta 1987-1989 e che, a seguito di impugnazione, la Corte di cassazione, con sentenza n. 45170/2000, aveva definitivo la questione ritenendo legittima la pretesa, sicchè, emessi i conseguenti avvisi di liquidazione, era successivamente sorto il contenzioso in ordine alla effettiva portata del debito accertato; ha quindi precisato che il giudizio era conseguente alla riassunzione del giudizio successivo alla pronuncia della Corte di cassazione n. 17710/2009, di cui ha riportato specificamente il passaggio motivazionale di fondo, evidenziando che, a seguito della suddetta pronuncia, era stato richiesto di accertare la misura dell’importo, contenuto negli atti di liquidazione, suscettibile di rientrare nella domanda di condono proposto dalla contribuente ai sensi della L. n. 289 del 2000, art. 16; risulta, in tal modo, rispettato l’obbligo della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti di causa, necessariamente da intendersi nel senso della sua funzione di rendere intellegibile la decisione e la comprensione della ragione posta a suo fondamento;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi conformata a quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 17710/2009, in quanto con la pronuncia di cassazione era stato richiesto al giudice del rinvio di accertare la misura entro cui gli avvisi di liquidazione potessero essere condonabili e, quindi, una volta compiuto questo accertamento, decidere per la restante parte nel merito;

secondo parte ricorrente, il giudice del gravame si è limitato unicamente ad individuare il debito condonabile “nella parte eccedente Euro 8.749,00”, emettendo quindi una decisione fondata sul presupposto dell’intera condonabilità della lite, senza peraltro dichiarare il processo estinto per cessata materia del contendere;

il motivo è infondato;

va preliminarmente evidenziato che è pacifico tra le parti l’errore materiale, compiuto dal giudice del gravame, nell’indicare l’importo di Euro 8.749,00, essendo lo stesso, pacificamente, di lire 8.749.000, sicchè tale circostanza non incide sul profilo della conformità della decisione alla statuizione della Corte di cassazione;

va quindi osservato che la Corte di cassazione, con la pronuncia n. 17710/2009, dopo avere considerato che il giudice del gravame aveva riconosciuto implicitamente che la pretesa complessiva si componeva di una parte meramente liquidatoria e di una parte accertativa e, considerato che solo quest’ultima avrebbe potuto esser riconosciuta come oggetto di condono ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 16, mentre la parte liquidatoria avrebbe dovuto esser sottratta al condono, ha censurato la sentenza per non avere compiuto quel pieno accertamento dei fatti che sarebbe stato necessario per verificare la misura entro la quale gli atti, denominati avvisi di liquidazione, fossero sottoponibili al condono;

la pronuncia di cassazione, quindi, ha richiesto di compiere un accertamento al fine di distinguere se l’avviso di liquidazione avesse sia un contenuto meramente liquidatorio che impositivo, disponendo che solo nel caso di contenuto impositivo avrebbe potuto trovare applicazione l’effetto della domanda di condono proposta dalla contribuente ai sensi della L. n. 289 del 2000, art. 16; la sentenza censurata risulta conforme ai criteri direttivi stabilita dalla pronuncia di cassazione, in quanto ha accertato che, rispetto all’intera pretesa contenuta negli avvisi di liquidazione, rientrava nella sanatoria di cui alla L. n. 289 del 2000, art. 16, l’importo eccedente la somma di Euro 8.749,00 (recte: Lire 8.749.000), sicchè, correlativamente, ha implicitamente accertato che fosse fuori dagli effetti della domanda di condono l’importo sopra indicato;

pertanto, se da un lato, pronunciandosi nel merito, ha quantificato che il debito effettivamente a carico della società era di Euro 8.749,00 (recte: Lire 8.749.000), d’altro lato ha dichiarato suscettibile di sanatoria la pretesa eccedente il suddetto importo, implicitamente riconoscendo, sotto tale profilo, che, relativamente ad esso, poichè era applicabile la sanatoria, sussisteva una cessata materia del contendere;

con il terzo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa e insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo accertato che la misura del debito per la quale era applicabile la sanatoria doveva essere indicata nella parte eccedente l’importo di Euro 8.749,00, (recte: Lire 8.749.000), senza spiegare le ragioni;

il motivo è fondato;

al fine di accertare, secondo quanto richiesto dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 17710/2009, entro quale misura l’importo riportato negli avvisi di liquidazione potesse essere oggetto di sanatoria, in quanto conseguente ad una autonoma attività di accertamento, rispetto a quello determinato sulla base di una mera liquidazione di quanto dovuto, quindi non rientrante negli effetti di cui alla L. n. 289 del 2000, art. 16, il giudice del gravame ha statuito che “in proposito il punto di riferimento più sicuro è costituito dalla indicazione della CTP”, senza tuttavia specificare nè argomentare sulle ragioni per le quali l’importo indicato dal giudice di primo grado potesse essere preso effettivamente a riferimento ai fini dell’accertamento che la Corte di cassazione aveva richiesto di compiere in sede di rinvio;

si tratta, invero, di un profilo rilevante ai fini della decisione, posto che tra le parti era insorta controversia proprio in relazione alla corretta determinazione dell’importo del debito dovuto dalla contribuente per effetto della pronuncia della Corte di Cassazione n. 45170 del 2000, che aveva ritenuto legittimi gli avvisi di terrifica delle dichiarazioni Iva per gli anni 1987-1989;

nè possono valere le considerazioni espresse dalla controricorrente in ordine al fatto che doveva essere pacifica e non contestata tra le parti la quantificazione dell’effettivo debito tributario in conseguenza della suddetta pronuncia, in quanto si tratta di un profilo estraneo al contenuto in sè della decisione in esame, non avendo la stessa, invero, in nessun modo specificato che, appunto, la misura contenuta nella pronuncia del giudice di primo grado veniva presa a riferimento proprio in quanto si trattava di un fatto pacifico e, quindi, in applicazione del principio di non contestazione, ma avendo solo fatto richiamo alla statuizione del giudice di primo grado;

nè, inoltre, può essere accolta la tesi difensiva di parte controricorrente relativa alla sussistenza, nel caso di specie, di una motivazione per relationem alla statuizione del giudice di primo grado, posto che la stessa presuppone che sia comunque ripreso, peraltro criticamente, il procedimento logico seguito dalla pronuncia richiamata, mentre nella fattispecie, il giudice del gravame, dopo avere affermato che “proprio sulla liquidazione è nato un contenzioso e la Commissione Tributaria Provinciale di Pisa ha quantificato il debito della contribuente in Euro 8.749,00”, si è, successivamente, limitato ad affermare che “in proposito il punto di riferimento più sicuro è costituito dalla indicazione della CTP”, senza compiere alcuna specifica esposizione delle ragioni per le quali il suddetto importo doveva essere considerato corretto;

con il quarto motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato su una specifica eccezione formulata nell’atto di costituzione nel giudizio di rinvio consistente, in particolare relativa alla inconsistenza, sul piano logico prima che giuridico, della natura impositiva degli avvisi di liquidazione;

il motivo è inammissibile;

in realtà, il giudice del gravame si è conformato alla decisione della Corte di Cassazione n. 17710/2009, con la quale, come visto, era stato demandato al giudice del rinvio di accertare se l’amministrazione finanziaria, in sede di liquidazione, avesse o meno formulato una pretesa composta sia di una parte meramente liquidatoria che di una parte accertativa, al fine di limitare gli effetti del condono solo alla parte con contenuto impositivo;

l’eccezione in esame, dunque, cui comunque il giudice del gravame ha dato risposta precisando che “La Cassazione ha però accertato con efficacia di giudicato che vi era un contenzioso suscettibile di applicazione delle procedure di cui alla L. n. 289 del 2000, art. 16”, non tiene conto proprio del contenuto della decisione rescindente di questa Corte e del vincolo da essa imposto al giudice del rinvio, sicchè, in realtà, si pone in contrasto proprio con il

contenuto dispositivo della medesima pronuncia;

con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in merito alla non applicabilità delle sanzioni con riferimento all’effettivo debito tributario accertato;

il motivo è fondato;

risulta dal controricorso che la società aveva prospettato al giudice del rinvio la questione della non applicabilità della sanzione per la sussistenza, al caso di specie, delle obiettive condizioni di incertezza sulla applicazione della portata del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, anche con riferimento alle sanzioni riportate negli avvisi di liquidazione successivi alla decisione della Corte di cassazione n. 45170 del 2000 e, su tale questione, il giudice non si è pronunciato, con conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.;

con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, per non avere ritenuto che, nella fattispecie, sussistevano condizioni di obiettiva incertezza normativa che dovevano escludere l’applicabilità delle sanzioni;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale comporta l’assorbimento del presente motivo;

in conclusione, è fondato il terzo motivo di ricorso principale, infondati il primo e secondo, inammissibile il quarto, è fondato il primo motivo di ricorso incidentale, assorbito il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo motivo di ricorso principale, infondati il primo e secondo, inammissibile il quarto, accoglie il primo motivo di ricorso incidentale, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

 

 

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