Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1226 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20964/2013 R.G. proposto da:

A.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Giuseppe Sirgiovanni (c.f. (OMISSIS)), con studio in Roma, Via A.

Bafile, n. 2, presso il quale è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

CONTRO

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata,

ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza,

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma,

in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

E

Equitalia Sud S.p.A., quale Agente della Riscossione per la Provincia

di Roma, con sede in Roma, Lungotevere Flaminio, 18;

– intimati –

avverso la sentenza n.93/2/13 della Commissione tributaria regionale

del Lazio, pronunciata in data 11.03.2013, depositata in data

05.04.2013 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 novembre

2020 dal consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

A.A. ricorre con tre motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n.93/2/13 della Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito C.t.r.), pronunciata in data 11.03.2013, depositata in data 05.04.2013 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’intimazione di pagamento della cartella n. (OMISSIS), relativa ad Iva ed Irap per l’anno di imposta 1999, ha accolto l’appello dell’Ufficio, averso la sentenza della C.t.p. di Roma favorevole al contribuente;

con la sentenza impugnata, la C.t.r riteneva che fosse facoltà delle parti produrre nuovi documenti in appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2;

tale facoltà, secondo la Commissione, poteva essere esercitata anche al di fuori degli stretti limiti fissati dall’art. 345 c.p.c., ma, comunque, entro il termine perentorio sancito dal suddetto decreto, art. 32, comma 1 (e cioè fino a venti giorni prima della data di trattazione, come avvenuto nel caso di specie);

la C.t.r. riteneva, dunque, che l’Agenzia delle entrate, con i nuovi documenti prodotti in appello, avesse dimostrato l’avvenuto ricevimento, da parte dell’addetto alla ricezione atti della società Romana Service 98 di C.M.V. & C. s.a.s., della raccomandata n. (OMISSIS) in merito alla cartella n. (OMISSIS), rilevando che tale cartella si riferiva alle somme dovute in base all’accertamento (OMISSIS), ritualmente notificato alla società e divenuto definitivo a seguito della sentenza n. 128/28/07, che aveva respinto l’appello del contribuente;

la Commissione rilevava, inoltre, che la cartella esattoriale, priva dell’indicazione del responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 1 giugno 2008, non era affetta nè da nullità, nè da annullabilità, perchè, essendo la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, della priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti costituzionali del destinatario, trovava applicazione la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, prevedeva la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;

pertanto, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, il giudice di secondo grado riteneva legittima tanto l’intimazione di pagamento, quanto la cartella presupposta;

a seguito di rituale notifica del ricorso, l’Agenzia delle entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza ed Equitalia Sud S.p.A. è rimasta intimata;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 19 novembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio (mancata individuazione dell’atto presupposto rispetto all’intimazione di pagamento impugnata, asseritamente notificata il 4.7.2005), nonchè mancata valutazione del destinatario della notifica della cartella quale atto presupposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

il motivo è inammissibile ed infondato;

nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5., in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva al 10 settembre 2012 sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, invece oggetto della contestazione del ricorrente, ammissibile solo secondo la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

per quanto riguarda la doglianza contenuta nell’illustrazione del motivo e relativa al “travisamento di fatto”, anch’essa risulta inammissibile, perchè non fornisce elementi specifici di giudizio;

secondo il ricorrente, la C.t.r. avrebbe errato nel considerare la cartella di pagamento notificata alla società quale atto prodromico dell’intimazione di pagamento notificata al ricorrente, che, invece, avrebbe fatto riferimento ad una cartella, notificata in data diversa direttamente al socio per il debito della società;

la censura non riporta il contenuto dell’intimazione di pagamento al fine di consentire alla Corte le necessarie verifiche in ordine alla cartella di pagamento in essa richiamata;

comunque, anche a voler prescindere dalla genericità della censura, deve rilevarsi che il numero della cartella presupposta indicato dal contribuente coincide con quello indicato nella sentenza impugnata, nonchè con quello menzionato nella sentenza del giudice di primo grado;

la C.t.r. ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate, con i nuovi documenti prodotti in appello, avesse dimostrato l’avvenuto ricevimento, da parte dell’addetto alla ricezione atti della società Romana Service 98 di C.M.V. & C. s.a.s., della raccomandata n. (OMISSIS) in merito alla cartella n. (OMISSIS), rilevando che tale cartella, presupposta rispetto all’intimazione di pagamento notificata al socio, si riferiva alle somme dovute in base all’accertamento (OMISSIS), ritualmente notificato alla società e divenuto definitivo a seguito della sentenza n. 128/28/07, che aveva respinto l’appello del contribuente;

inoltre, giusta la previsione dell’art. 2313 c.c., il socio accomandatario è responsabile solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali (ed anche per quelle tributarie, limitatamente ad IVA-IRAP);

nel caso di specie non è contestato che il ricorrente fosse socio accomandatario della società nell’anno di imposta in contestazione;

pertanto, ove al ricorrente sia stata notificata un’intimazione di pagamento per IVA-IRAP-addizionali-interessi-sanzioni dovute dalla società, la rituale notifica della cartella di pagamento presupposta alla società, come accertato dal giudice di appello, è idonea a giustificare la notifica dell’intimazione di pagamento direttamente al socio accomandatario;

la censura, sotto tale profilo, quindi, è anche infondata;

con il secondo motivo di ricorso il ricorrente censura l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio, nonchè violazione di legge – D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, conv. in L. n. 31 del 2008 (mancata individuazione dell’atto in relazione al quale era stata contestata l’omessa indicazione del responsabile del procedimento), – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

il motivo è inammissibile con riferimento al dedotto vizio motivazionale per le ragioni sopra illustrate, mentre è infondato in relazione alla violazione di legge;

come è stato detto, “l’obbligo imposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, al concessionario della riscossione, soggetto privato cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento “ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97 Cost., comma 1, (si veda, ora, la L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1, come modificato dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, recante “Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”)” (cfr. Corte Cost. ord. n. 377/2007);

questa Corte ha avuto modo di precisare che “la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 10 giugno 2008, non è affetta da nullità, atteso che il D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4-ter (convertito dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31), ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, riferite ai ruoli consegnati a decorrere dalla predetta data, norma ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 58 del 28 gennaio 2009” (tra le altre, Cass. n. 13747/2013);

nella giurisprudenza di questa Corte “emerge in modo inequivoco il carattere innovativo della previsione sanzionatoria contenuta nella legge del 2007, nel senso che, precedentemente alla introduzione del vizio di nullità della cartella, l’inosservanza della norma dello Statuto del contribuente (che prevedeva la indicazione nell’atto del responsabile del procedimento), determinava una mera irregolarità e non anche la invalidità dell’atto tributario” (Cass. n. 15221/2012);

la nuova disposizione conferma che, prima della sua entrata in vigore, l’irregolarità di cui si tratta non comportava la nullità della cartella di pagamento, conclusione rinvenibile nella giurisprudenza amministrativa, oltre che in quella di legittimità, che si era già espressa più volte nel senso che la mancata indicazione del responsabile del procedimento non si configura come vizio invalidante dell’atto, dato che “la mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento al soggetto interessato rappresenta una mera irregolarità, insuscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto, alla quale peraltro è possibile supplire considerando responsabile del procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente” (TAR del Lazio n. 6998/2007, TAR della Campania n. 6137/2007, Consiglio di Stato n. 974/2006, Cass. n. 22197/2004, Cass. n. 9263/2002);

nel caso di specie, la C.t.r si è attenuta a tale orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato;

ove mai il contribuente avesse inteso riferire il vizio, non già alla cartella di pagamento, bensì all’intimazione ad adempiere (circostanza che non risulta dalla sentenza impugnata, nè emerge chiaramente dal ricorso), comunque, non troverebbe alcuna base giuridica la proposta estensione dell’obbligo in questione all’intimazione di pagamento, atto funzionalmente distinto dalla cartella di pagamento, disciplinata dal D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25 e 26, destinata a portare a conoscenza del contribuente il ruolo, limitatamente alla partita iscritta a suo carico, e con il quale si avanza la pretesa impositiva (cfr. Cass. n. 23672/2018);

con il terzo motivo di ricorso il ricorrente censura la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla estraneità e al difetto di soggettività passiva del contribuente rispetto all’IVA e all’IRAP afferenti ad una s.a.s. (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17 e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3), in relazione alla intervenuta decadenza (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57,D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 30, comma 6, nonchè D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43), difetto di motivazione dell’intimazione di pagamento (L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17), nullità dell’intimazione perchè non preceduta dalla notifica di avviso bonario o comunicazione di irregolarità (L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16) – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

il motivo è inammissibile, perchè non viene sviluppato, al di là della mera enunciazione teorica delle norme violate;

comunque, con riferimento alle censure espresse nei precedenti gradi di giudizio, richiamate nella parte introduttiva del ricorso, lo stesso ricorrente le richiama, ritenendole fondate sul presupposto che l’intimazione di pagamento non sia stata preceduta da una valida notifica della cartella presupposta, circostanza esclusa dalla C.t.r. per le ragioni precedentemente esposte, condivise da questo collegio;

dunque, ove il ricorrente avesse denunziato un’omessa pronunzia, la censura sarebbe comunque infondata, perchè vi sarebbe un rigetto implicito delle questioni non specificamente affrontate dal giudice di appello, ma logicamente incompatibili con la decisione adottata;

in conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato;

nulla deve disporsi in ordine alle spese, in quanto Equitalia Sud S.p.A. non si è costituita e l’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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