Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12258 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 10/05/2021), n.12258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15853/2013 R.G. proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in Roma, via G.G. Belli

n. 27, presso lo studio dell’avv. Paolo Mereu, che lo rappresenta e

difende, unitamente all’avv. Enrico Allegro, giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Livorno, in persona

del Direttore pro tempore, e Ministero delle Finanze, in persona del

Ministro pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana – Sezione staccata di Livorno n. 28/14/13, depositata il 13

marzo 2013 e notificata il 15/04/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 novembre

2020 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 28/14/13 del 13/03/2013 la Commissione tributaria regionale della Toscana – Sezione staccata di Livorno (di seguito CTR) ha respinto l’appello proposto da F.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Livorno (di seguito CTP) n. 178/03/11, la quale aveva a sua volta respinto il ricorso del contribuente avverso un avviso di accertamento a fini IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2006;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’avviso di accertamento era stato emesso in ragione di un prezzo di vendita di alcuni immobili ritenuto incongruo rispetto ai prezzi di mercato, con conseguente rettifica della dichiarazione fiscale presentata;

1.2. la CTR motivava il rigetto dell’appello di F.G. evidenziando che: a) l’accesso presso il domicilio del contribuente, laddove aveva anche sede l’impresa, era stato legittimamente eseguito previa autorizzazione del procuratore della Repubblica; b) il prezzo realizzato dal contribuente a seguito della vendita degli immobili non era del tutto coincidente con il prezzo dichiarato, tenuto conto del valore del complesso immobiliare risultante dalla perizia redatta in sede penale; c) i valori OMI non risultavano “essere stati utilizzati come presunzione legale ma bensì come presunzione semplice nel quadro delle presunzioni gravi, precise e concordanti”;

2. avverso la sentenza della CTR F.G. proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

3. L’Agenzia delle entrate resisteva in giudizio depositando due separati controricorsi e depositava, altresì, memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. va pregiudizialmente dichiarata la carenza di legittimazione passiva a resistere nel presente giudizio del Ministero delle finanze, cui erroneamente è stato notificato il ricorso, essendo legittimata passivamente unicamente l’Agenzia delle entrate;

2. con il primo motivo di ricorso F.G. deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza e del procedimento per falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, evidenziando che l’autorizzazione concessa dal procuratore della Repubblica ai fini dell’accesso presso il domicilio del contribuente sarebbe del tutto generica;

3. il motivo è infondato;

3.1. secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiamata anche dalla difesa erariale, “l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 1 e 2, ai fini dell’accesso del personale dell’Amministrazione finanziaria (o della Guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli Uffici finanziari ad essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente ovvero esclusivamente ad abitazione, è subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni soltanto in quest’ultima ipotesi e non anche quando si tratti di locali ad uso promiscuo; destinazione, quest’ultima, che ricorre non soltanto ove i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi” (così, da ultimo, Cass. n. 21411 del 06/10/2020; conf. Cass. n. 7723 del 28/03/2018; Cass. n. 28068 del 16/12/2013; Cass. n. 2444 del 05/02/2007);

3.2. nel caso di specie è pacifico che: a) i locali dove è stato effettuato l’accesso sono adibiti ad uso promiscuo (sede dell’impresa ed abitazione del contribuente); b) l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso è stata regolarmente rilasciata;

3.3. posto, che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, è richiamato, ai fini delle tassazione sul reddito, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, deve pertanto dedursi la legittimità dell’accesso e dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, con conseguente rigetto del motivo proposto;

4. con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione apparente e/o insufficiente della sentenza di appello;

5. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

5.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);

5.2. inoltre, va ricordato che la motivazione è solo apparente “quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019);

5.3. nel caso di specie, la CTR ha ritenuto l’incongruità dei prezzi di vendita dichiarati dal contribuente sulla base della relazione di stima eseguita in sede penale e, a fronte di tale emergenza istruttoria, ha ritenuto infondate tutte le contestazioni formulate dal contribuente con riferimento agli elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria (la quale, peraltro, secondo il giudice di appello, non ha mai utilizzato i valori OMI se non come indizio del più ampio quadro probatorio fornito);

5.4. trattasi di motivazione senz’altro concisa, ma idonea a rendere evidente l’iter logico-giuridico seguito dalla sentenza impugnata, sicchè non può affatto ritenersi l’apparenza della motivazione, con conseguente rigetto del motivo in parte qua;

5.5. nella parte in cui si contesta, invece, l’insufficienza della motivazione, invero soprattutto con riferimento all’avviso di accertamento e non alla sentenza impugnata, il motivo è inammissibile alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis al presente giudizio;

6. con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni in materia di prova presuntiva, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi l’insussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti;

7. il motivo è inammissibile e, comunque, infondato;

7.1. il motivo è inammissibile perchè, benchè la censura sia formulata in termini di violazione di legge, si chiede un sostanziale esame del merito della controversia, precluso in sede di legittimità;

7.2. il motivo è, comunque, infondato perchè non è dato comprendere in cosa consista il difetto del ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di appello e più sopra descritto con riferimento al secondo motivo di ricorso;

7.2.1. deve, infatti, evidenziarsi che il giudice di merito può fondare il proprio convincimento anche su di un unico elemento presuntivo semplice (nella specie, la relazione di consulenza espletata nel procedimento penale), purchè grave e preciso (nel senso di elevata valenza probabilistica) e non costituito dai semplici valori OMI (Cass. n. 2155 del 25/01/2019; Cass. n. 31243 del 29/11/2019; Cass. n. 3276 del 12/02/2018; Cass. n. 30803 del 22/12/2017);

8. in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di Euro 937.549,00;

8.1. poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudiziose, che liquida in complessivi Euro 13.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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