Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12256 del 17/05/2017

Cassazione civile, sez. trib., 17/05/2017, (ud. 29/03/2017, dep.17/05/2017),  n. 12256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28442-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PANAMA 68,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PUOTI, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2327/2014 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 10/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che la controversia trae origine dall’impugnazione, da parte di S.G., del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla istanza di rimborso delle ritenute operate dal fondo (OMISSIS) (in precedenza denominato PIA), nel momento in cui, cessato il rapporto di lavoro come dirigente ENEL, il fondo previdenziale aveva corrisposto al contribuente una somma di denaro in luogo del trattamento di pensione integrativa;

che la somma in questione era frutto della trasformazione, avvenuta nel 1986, di un trattamento assicurativo in base a polizza attivata dall’azienda per i propri dirigenti in un rapporto previdenziale a capitalizzazione di versamenti, il quale prevedeva la corresponsione, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, di una rendita previdenziale o, in caso di opzione del dipendente (come era avvenuto nella specie), di un capitale;

che, ad avviso del contribuente, la somma percepita era assoggettabile solo ad una ritenuta del 12,50%, come per i redditi di capitale, la cui base imponibile è determinabile secondo le disposizioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, (nel testo vigente precedentemente alla riforma del 2004, ora art. 44);

che l’adita CTP accoglieva integralmente il ricorso ed affermava la tassabilità della somma dallo S. percepita (nell’anno 2003) con la ritenuta del 12,50%, ma la sentenza, a seguito dell’appello proposto dall’Ufficio, veniva riformata dalla CTR, la quale riteneva corretto l’assoggettamento dell’intera prestazione erogata al regime di tassazione separata;

che avverso tale sentenza, il contribuente proponeva ricorso per cassazione, cui resisteva l’Agenzia delle Entrate con controricorso, e con la sentenza n. 13665/2011 questa Corte a Sezioni Unite affermava, per quanto qui d’interesse, “per gli importi maturati entro il 31 dicembre 2000, l’applicazione della ritenuta del 12,50% sulle sole somme relative alla liquidazione del rendimento” e, in parziale accoglimento del ricorso originario del contribuente, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, dichiarava “il diritto di quest’ultimo al rimborso per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000 della differenza tra quanto versato all’erario dal sostituto d’imposta e quanto dovuto a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, alla sole somme liquidate per il rendimento”;

che lo S., lamentando la mancata erogazione del rimborso, quantificato in Euro 54.563,00, oltre accessori, stante l’inutile decorso del termine di trenta giorni previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, comma 2, ricorreva per l’ottemperanza del giudicato;

che la CTR del Lazio, quale giudice dell’ottemperanza, con sentenza n. 2327/02/2014, pronunciata il 25/3/2014 e depositata il 10/4/2011, accoglieva il ricorso del contribuente e nominava commissario ad acta il Direttore regionale delle Entrate per il Lazio, per l’esecuzione della decisione ed il pagamento della somma a credito ” da determinare a seguito dell’applicazione di quanto disposto dalla sentenza n. 13665/2011 della Cassazione, con gli interessi legali, nella misura prevista dalle norme relative ai rimborsi fiscali pro tempore vigenti per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data dei versamenti e quella di effettivo rimborso “; che per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidandosi ad un articolato motivo, illustrato con memoria, cui resiste il contribuente con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che l’Agenzia delle Entrate deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, artt. 546 e 115 c.p.c., essendo il giudice dell’ottemperanza tenuto a verificare ” se vi sia stato (e quale sia stato) l’impiego da parte del Fondo, sul mercato, del capitale accantonato, e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego”, dal momento che soltanto in relazione a siffatto rendimento si giustifica l’applicazione dell’aliquota del 12,50%;

che la ricorrente sostiene la decisività della circostanza, riconosciuta dallo stesso contribuente, che il fondo PIA non ha mai investito sul mercato i capitali in esso affluiti, stante l’apporto finanziario dell’ENEL, determinato secondo opportuni calcoli attuariali, essendo l’ammontare della prestazione erogata alla cessazione del rapporto di lavoro del dipendente, solitamente sotto forma dì rendita vitalizia, parametrato all’ultima retribuzione del dirigente, e destinato a garantire una integrazione del trattamento pensionistico INPDAI, così difettando in radice il presupposto dell’ottemperanza, rappresentato dall’esistenza di un “rendimento netto” imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato al quale ricollegare la debenza della somma indebitamente versata al fisco e da rimborsare;

che, in tema di giudizio di ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui ” il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato (cosiddetto “carattere chiuso” del giudizio di ottemperanza), sicchè può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato e rendendolo quindi effettivo, ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire, nè può essere negato il diritto riconosciuto dal dictum azionato” (Cass. n. 8830/2014);

che la CTR, nel dare attuazione alla sentenza con cui è stato riconosciuto, in via definitiva, all’ex dirigente dell’ENEL, il diritto al rimborso della maggiore IRPEF versata dal sostituto d’imposta sul trattamento liquidato dal Fondo, ha posto a base della propria decisione la “documentazione in atti”, essendo “l’esistenza del credito vantato dallo S…. coperta ex se dal giudicato” e dunque ha condannato l’Agenzia delle Entrate ad adempiere “senza alcun adempimento istruttorio ulteriore nè disamina della controversia, relativamente ai mezzi di prova, non potendosi tramutare il giudizio di ottemperanza in un quarto grado processuale ma dovendosi limitarlo all’adempimento del disposto della sentenza, secondo il giudicato e allo stato degli atti”;

che palese è l’infondatezza delle doglianze svolte dalla ricorrente in quanto la sentenza da eseguire non è priva di specifiche prescrizioni, il dictum azionato è ben individuato ed altrettanto chiara è l’affermazione circa l’applicabilità della tassazione con l’aliquota del 12,50% limitatamente alla parte relativa al rendimento di polizza;

che la impugnata pronuncia della CTR si pone esattamente nel solco della giurisprudenza di questa Corte, del tutto univoca dopo la sentenza n. 13642/2011 delle Sezioni Unite, appartenendo la quantificazione del rimborso alla fase propria dell’ottemperanza;

che, infatti, la CTR ha correttamente applicato il principio secondo cui, “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale agli iscritti, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette ad un differente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, si applica il regime di tassazione separata D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17, limitatamente alla “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e, pertanto, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento di polizza – e, cioè, del rendimento netto del capitale accantonato – si applica, a prescindere dell’effettivo investimento dei contributi sul mercato finanziario, la ritenuta del 12,50 per cento di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo se il capitale è versato dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto di assicurazione; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e 17″ (Cass. n. 11941/2016);

che, dunque, “il diverso trattamento tributario delle prestazioni erogate dal fondo si fonda sulla distinzione tra sorte capitale e rendimento di polizza “e, contrariamente a quanto sostenuto dalla odierna ricorrente, “la circostanza dell’effettivo investimento dei contributi sul mercato finanziario – indicata, incidenter tantum, nella menzionata sentenza delle Ss.Uu. e in alcune pronunce di questa Corte quale normale modalità di gestione da parte del fondo previdenziale – non costituisce condizione necessaria per l’equiparazione delle somme provenienti dal cd. rendimento di polizza a quelle derivanti da un contratto di assicurazione sulla vita “per cui “pure in assenza di investimento sul mercato finanziario, dunque, al c.d. rendimento della polizza, derivante dalla capitalizzazione dei versamenti, va applicata la disciplina della L. n. 482 del 1985, art. 6 vale a dire la ritenuta in misura del 12,5%, dovendo tenersi distinta tale componente dalla sorte capitale corrispondente ai contributi versati da lavoratore e ribadendo che il fondo PIA era “un fondo di previdenza complementare a capitalizzazione dei versamenti ed a causa previdenziale prevalente, interno all’ENEL, e privo della possibilità di effettuare operazioni sul mercato finanziario (come tutti i fondi pre-riforma) ” (Cass. n. 11941/2016, citata);

che il ricorso va, in conclusione, respinto, con ogni conseguenza anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità;

che non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, essendo soccombente una amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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