Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12255 del 14/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/06/2016, (ud. 02/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. Conti Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21172-2013 proposto da:

D.N.L. (OMISSIS), SGI SOCIETA’ GESTIONE

IMMOBILIARE SRL 0., in persona del suo amministratore

unico e rappresentante legale, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ARIODANTE FABRETTI 8, presso lo studio dell’avvocato DESIDERIA

BOGGETTI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ALESSANDRA RICCIARDI, ANTONIO LERICI, ALESSANDRO LEPROUX,

GIUSEPPE CARRETTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE TORINO, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 9824/2012 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA del 18/04/2012, depositata il 14/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO CIGNA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE CARRETTO, difensore del controricorrente,

che si riporta agli scritti e chiede l’accoglimento.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La società S.G.I. Gestione Immobiliare srl ricorre contro l’Agenzia delle entrate per la revocazione dell’ordinanza di questa Corte n. 9824/12 con la quale è stato rigettato il ricorso della stessa contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 57/31/2009, che a propria volta aveva respinto (riformando la sentenza di primo grado) l’impugnativa di un avviso di accertamento Iva Irpeg Irap per l’anno di imposta 1998; in detto avviso l’Ufficio aveva individuato la prova dei maggiori ricavi della società nella movimentazione dei conti bancari intestati ai soci e ai loro familiari, ritenuta rappresentativa di prelievi e versamenti non giustificabili se non come relativi all’attività imprenditoriale della società.

La Corte, nella su indicata ordinanza 9824/12, ha disatteso l’unico mezzo del ricorso per cassazione del contribuente (promiscuamente riferito tanto al vizio di violazione di legge quanto al vizio di motivazione), argomentando che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale aveva accertato in fatto la riferibilità alla società dei conti intestati ai soci ed ai loro familiari.

Ad avviso della Corte, detto accertamento di fatto sarebbe individuabile dal seguente inciso della sentenza di merito: “è inverosimile che questa disponibilità di denaro non derivi da attività di impresa soprattutto analizzando anche i vari conti correnti gli utilizzi effettuati in denaro a disposizione che non denunciano una necessità di somme che presuppongano una richiesta di prestiti”; d’altra parte, sempre ad avviso della Corte, la valutazione del giudice di merito “risulta resa all’esito dell’esame dei versamenti eseguiti sui singoli conti, in tal senso potendosi considerare sufficiente a esprimere la ratio decidendi laddove il motivo non indica, rispetto al fatto controverso, quali diverse risultanze, partitamente evidenziate, avrebbe dovuto essere considerate dal giudice di merito in vista di una distinta valutazione”.

La ricorrente assume che l’ordinanza qui impugnata sarebbe viziata da errore revocatorio consistente nella supposizione di un fatto (la riferibilità alla società dei conti bancari intestati ai soci ed ai loro familiari) incontrastabilmente esclusa dagli atti e documenti descritti ed evidenziati alle pagine 20 21 e 22 del ricorso per Cassazione.

Il ricorso è inammissibile perchè la doglianza proposta si sostanza nella riproposizione di passi del ricorso per cassazione rigettato con la sentenza qui impugnata con i quali, secondo la contribuente, sarebbe stato dimostrato “in modo specifico … che in base agli atti di causa non esiste alcun elemento (neppure indiziario) e, comunque, altro documento che possa, in qualche modo, comprovare la fittizietà dell’intestazione dei conti o, comunque, la riconducibilità degli stessi all’attività di impresa” (p ag. 32, capoverso, del ricorso per revocazione).

Tale doglianza quindi, per un verso, si risolve nella contestazione di un errore nell’apprezzamento del materiale istruttorio che, di per se stesso, non è riconducibile al paradigma dell’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, il quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. 4456/15) deve presentare i caratteri dell’evidenza ed obiettività, così da non richiedere lo sviluppo di indagini o di argomentazioni induttive; per altro verso, equivoca sulla portata dell’ordinanza n. 9824/12, la quale non contiene (nè, per le note caratteristiche del giudizio di legittimità, potrebbe contenere) alcun accertamento di fatto in ordine alla riferibilità alla società dei conti bancari intestati ai soci ed ai loro familiari (e quindi non contiene alcuna supposizione in ordine alla fittizietà di tali intestazioni) ma si limita a rilevare che tale accertamento era stato fatto dal giudice di merito. E’ dunque evidente che un ipotetico errore revocatorio del Collegio che pronunciò l’ordinanza n. 9824/12 sarebbe astrattamente ipotizzabile nella percezione dell’esatto significato della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ma nemmeno astrattamente sarebbe ipotizzabile con riferimento alla valutazione del materiale istruttorio acquisito nel giudizio di merito. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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