Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12252 del 10/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/05/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 10/05/2021), n.12252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10100-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F., con domicilio eletto in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato NICOLA DE PRISCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 29/02/2012;

udito la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza n. 45/02/2012, depositata il 29.02.2012 dalla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, che, in riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, ha accolto parzialmente il ricorso introdotto da C.F. avverso l’avviso di accertamento, notificatogli dall’Ufficio per i maggiori ricavi conseguiti nell’anno d’imposta 2004, rideterminando l’Iva, l’Irap e l’Irpef del contribuente.

Con il contenzioso instaurato avverso l’atto impositivo il C., esercente attività di ristorazione, aveva contestato le risultanze dell’accertamento analitico-induttivo, fondato sui ricavi desumibili dal consumo di pane. Aveva in particolare affermato l’erroneità delle determinazioni dell’Ufficio, oltre che per la realtà territoriale e per il tipo di clientela, per l’inidoneità dei risultati emersi dalla quantificazione dei pasti serviti giornalmente sulla base del consumo del pane.

La Commissione tributaria provinciale di Salerno aveva rigettato il ricorso con sentenza n. 142/10/2009. L’appello era stato invece accolto parzialmente dalla Commissione tributaria regionale, con la pronuncia ora oggetto di impugnazione, che aveva ridotto il maggior reddito determinato dall’Agenzia delle entrate.

La ricorrente ha censurato la sentenza con due motivi:

con il primo per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2697 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, a fronte dell’irregolare tenuta della contabilità e dell’elemento presuntivo assunto dall’Amministrazione finanziaria, il giudice d’appello aveva deciso la controversia su una valutazione del tutto generica e arbitraria;

con il secondo per insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver correttamente applicato il principio del fatto notorio.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente statuizione.

Si è costituito il C., eccependo l’inammissibilità del ricorso per violazione delle prescrizioni previste dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e nel merito contestando i suoi motivi.

Nell’adunanza camerale del 4 novembre 2020 la causa è stata trattata e decisa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Deve preliminarmente esaminarsi l’eccepita inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, perchè carente, secondo la prospettazione della difesa del controricorrente, dell’allegazione dell’avviso di accertamento. E’ pur vero che nel processo tributario di cassazione il ricorrente, sebbene non sia tenuto a produrre nuovamente i documenti, deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso onere di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (cfr. Cass., 15.01.2019, n. 777). Ciò tuttavia riguarda la documentazione su cui il ricorso si fonda, e nel caso specifico la critica dell’Agenzia delle entrate è diretta alla sentenza in riferimento a contenuti decisori che non toccano l’atto impositivo. E’ nelle fattispecie in cui il contribuente insiste su censure che afferiscono l’avviso d’accertamento – la sua motivazione ad esempio rispetto ad una diversa ricostruzione dei fatti allegata e documentata dal contribuente medesimo – che s’impone la produzione documentale nel rispetto del principio di autosufficienza (cfr. ad es. Cass., 13/11/2018, n. 29093). Nel caso concreto la critica dell’Ufficio ricorrente riguarda solo il procedimento logico-argomentativo della decisione impugnata, che si assume viziato sotto il profilo dell’errore di diritto e del vizio motivazionale, critica rispetto alla quale non è necessario analizzare l’avviso d’accertamento, il cui contenuto infatti non è in discussione. Risulta pertanto infondata l’eccezione sollevata.

Esaminando ora il merito, deve premettersi che la contestazione dei maggiori ricavi attribuiti all’attività di ristorazione svolta dal C., in assenza di una contabilità esaustiva, è stata fondata dall’Amministrazione finanziaria sul solo elemento evincibile, ossia il consumo annuale di pane. A tal fine l’Agenzia delle entrate ha stimato il quantitativo di pane per ogni avventore del ristorante, ha diviso quella stima per i chili di pane acquistato nell’anno, ha così identificato il numero di avventori giornalieri, determinando poi i ricavi per un prezzo medio (Euro 20,00 a persona). A fronte di questa ricostruzione, fondata su un unico elemento noto, il contribuente ha proposto un diverso calcolo, consistito nell’aumento dello sfrido giornaliero, nella quantificazione del consumo per cliente doppio rispetto a quello indicato dall’Amministrazione (gr. 200 anzichè 100), nella indicazione di un prezzo medio inferiore (Euro 15,00). Il giudice d’appello ha sostanzialmente aderito alla prospettazione del contribuente ed ha ritenuto inattendibile la ricostruzione dell’Ufficio, basata sul consumo del pane, sull’assunto secondo il quale “La determinazione fatta su queste basi appare del tutto arbitraria in quanto a ciascun avventore di un ristorante risulta che quasi sempre prima dei pasti vengono servite bruschette per ingannare l’attesa e spesso l’avventore, in mancanza di bruschette, consuma del pane specialmente se fresco di giornata e di una particolare preparazione…”, così giungendo a ritenere inadeguata la quantità di pane consumato per cliente, come determinata nell’atto impositivo.

Al di là delle amene osservazioni della commissione regionale sulle abitudini dei clienti di ristoranti e in particolare sul rapporto tra avventore, attesa delle portate ordinate e consumo di pane, anche bruschettato, va rammentato che l’Agenzia delle entrate si è doluta del malgoverno delle prove presuntive da parte del giudice d’appello nel determinare minori ricavi dal diverso calcolo del consumo dell’unico alimento sul quale, in base alla documentazione fiscale, era stato possibile ricostruire il reddito del contribuente, nonchè dei vizi motivazionali nell’utilizzo di conoscenze prospettate come fatti notori.

Deve ribadirsi che, in ordine alla corretta applicazione delle regole sulla prova presuntiva, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c., alla fattispecie concreta, poichè se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007).

Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, qualora anche unica, può ritenersi sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertati dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Quanto all’ipotesi dell’unico indizio, si è affermato che in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Sez. 5, ord. n. 30803 del 2017).

Infine, circa la concreta possibilità di utilizzo di fatti notori, al fine di evitare la confusione con conoscenze, o peggio con considerazioni personali, va rammentato che per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile (ex multis, Cass., 5/10/2012, n. 16959; 19/03/2014, n. 6299; 16/12/2019, n. 33154).

Ebbene, tenendo conto dei principi enunciati, la sentenza non ha fatto applicazione di essi. La decisione del giudice regionale è stata focalizzata su valutazioni del tutto estemporanee, lontane sia dal ricorso a nozioni di comune esperienza, sia da un buon governo dell’unico dato presuntivo acquisito dalla lacunosa documentazione contabile del contribuente. Ne emerge un procedimento argomentativo non controllabile nella sua correttezza e logicità, per essere del tutto avulso dal riferimento ad elementi più obiettivi, in grado di inficiare o almeno di insinuare dubbi sulla ricostruzione analitico-induttiva elaborata dall’Amministrazione finanziaria per la determinazione del reddito del contribuente, ricostruzione che poteva anche essere messa in dubbio nella sua interezza dal giudice d’appello, ma di certo non con una ricostruzione fondata su considerazioni personali, del tutto prive di agganci a conoscenze della collettività che possano apparire indubitabili e incontestabili.

I motivi vanno dunque accolti e la sentenza va cassata, dovendosi disporre il rinvio del processo alla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, che in diversa composizione provvederà, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, al riesame della controversia tenendo conto dei principi enunciati.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021

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