Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12250 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. III, 09/05/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 09/05/2019), n.12250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22241/2016 proposto da:

L.F., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

ALBERTO COLITTI, GIOIA VACCARI giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MALFA, 27,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SORDI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUCA CRIPPA giusta procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.A., S.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1836/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato COLITTI ALBERTO;

udito l’Avvocato CRIPPA LUCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La EU.ST.SV. s.r.l., in persona dell’amministratore unico L.G., convenne in giudizio P.A. e A.M., deducendo di avere appaltato alla ditta individuale P.A. i lavori di ristrutturazione di un appartamento e di avere corrisposto acconti per 92.500,00 Euro (a fronte del complessivo compenso pattuito di 101.000,00 Euro); aggiunse che il contratto era stato sottoscritto anche dall’ A., che si era fatto garante della buona esecuzione dei lavori, e che, contestati al P. difetti nell’esecuzione delle opere, l’appaltatore aveva abbandonato l’immobile, senza portare a termine i lavori commissionati.

Tanto premesso e dato atto di avere richiesto un accertamento tecnico preventivo per verificare lo stato dell’appartamento, l’attrice chiese la condanna solidale dei convenuti al pagamento della somma di 230.000,00 Euro a titolo di risarcimento danni.

Il P. resistette alla domanda e richiese, in via riconvenzionale, il pagamento di 26.600,00 Euro; anche l’ A. si costituì in giudizio eccependo il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e, altresì, il proprio difetto di legittimazione passiva.

In corso di causa intervenne in giudizio L.F., dichiarando di essere succeduta alla EU.ST.SV. s.r.l. nella proprietà dell’immobile e facendo proprie le richieste della dante causa.

Il Tribunale di Roma accolse la domanda attorea e condannò il P. e l’ A., in solido, a pagare alla L. la somma di 32.748,57 Euro, oltre accessori; rigettò, invece, la riconvenzionale del P..

Pronunciando sul gravame principale dell’ A. e su quello incidentale del P., la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza, rigettando le domande della parte attrice sulla base del seguente percorso argomentativo:

il contratto di appalto era stato stipulato, “nell’interesse e per conto della EU.ST.SV. s.r.l.” dal notaio S.V. che, nell’atto, non veniva indicato come legale rappresentante della società nè risultava avere sottoscritto il contratto in nome della medesima: ne conseguiva che non ricorrevano “gli estremi per l’applicabilità degli artt. 1388 e 1704 c.c.”, in quanto – valutato il “contesto” contrattuale, secondo le indicazioni di Cass., S.U. n. 22234/2009- non emergevano elementi o circostanze che consentissero di “ritenere, concludentemente ed univocamente, che vi (fosse) stata la determinazione dello S. a sottoscrivere il contratto in nome della EU.ST.SV. s.r.l.” o “di sperderne il nome”;

mancando altresì la prova che l’EU.ST.SV. s.r.l. avesse conferito allo S. procura a rappresentarla, i rapporti tra la società attrice e lo S. dovevano “intendersi di mandato senza rappresentanza disciplinato ai sensi e per gli effetti dell’art. 1705 c.c.”, senza che fosse rilevante che le altre parti avessero conoscenza che lo S. aveva avuto incarico dalla società proprietaria dell’immobile, trattandosi di elemento non “sufficiente a ritenere l’esistenza della rappresentanza della mandante e (a) ritenere gli effetti diretti del contratto nei confronti dell’EU.ST.SV. s.r.l.”;

la società attrice non aveva pertanto “legittimazione attiva nè titolo per proporre l’azione risarcitoria per inadempimento nei confronti dei convenuti-appellanti con i quali non (aveva) diretti rapporti contrattuali”; nè tale legittimazione poteva essere affermata “alla luce di un’interpretazione estensiva dell’art. 1705 c.c., comma 2”, in quanto – come ritenuto da Cass., S.U. n. 24772/2008 – “l’espressione “diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato” (art. 1705 c.c., comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta all’esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, restando escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno)”.

Ha proposto ricorso per cassazione L.F., affidandosi a otto motivi; ha resistito con controricorso il solo A.M.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo che la Corte territoriale aveva configurato il rapporto intercorso tra il notaio S. e il P. come mandato senza rappresentanza pronunciando “oltre i motivi di censura della sentenza di primo grado sollevati dagli appellanti”; trascritti ampi stralci dell’appello principale e di quello incidentale, la ricorrente evidenzia che “gli appellanti hanno dunque censurato la sentenza di primo grado, per aver agito il notaio, come legale rappresentante senza averne il potere, assumendo inoltre che, ove vi fosse stato un mandato, questo avrebbe dovuto essere conferito con atto scritto e comunque che il mandato necessitava di ratifica, mai avvenuta”; ciò premesso, rileva che la sentenza di appello aveva affermato che il notaio S., che ben conosceva la differenza fra le espressioni “per conto e nell’interesse” e “in nome e per conto”, “non aveva agito, scientemente, come rappresentante della società”, così accogliendo un motivo che non era stato dedotto dagli appellanti, “essendo anzi pacifico per essi, che il notaio, stipulando il contratto, avesse agito come rappresentante della società, lamentando gli appellanti solo che questi non ne avesse i poteri”.

1.1. Il motivo è infondato: la questione della legittimazione attiva dell’attrice è stata riproposta al giudice di appello anche sotto il profilo del difetto della spendita del nome della EU.ST.SV. s.r.l. e con specifico riferimento all’ipotesi che il rapporto intercorso fra la società e il notaio S. fosse configurabile in termini di mandato senza rappresentanza, come è dato evincere dalla illustrazione dell’ipotesi “C” prospettata dall’appellante A. (rispetto alla quale risulta espressamente richiamata la norma dell’art. 1705 c.c.) e dai passaggi dell’appello del P. che evidenziano l’insussistenza di un mandato che consentisse allo S. “lo svolgimento di attività in nome altrui” (implicante necessariamente la possibilità di inquadrare l’attività svolta nell’ambito del mandato senza rappresentanza, con ogni conseguenza in punto di carenza di legittimazione attiva della mandataria).

2. Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 1388,1704 e 1705 c.c.: la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere affermato che il rapporto fra la società attrice e lo S. doveva qualificarsi come mandato senza rappresentanza, disciplinato dall’art. 1705 c.c.; al riguardo, assume che l’art. 1388 c.c., non impone che il rappresentante utilizzi l’espressione “in nome di”, vigendo nel nostro ordinamento il principio di libertà delle forme, e richiama il principio (affermato da Cass., S.U. n. 22234/2009) secondo cui la “esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza l’espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato”.

2.1 Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la complessiva ratio della decisione, che non si è limitata a considerare il dato della non espressa spendita del nome, ma – in linea con Cass., S.U. n. 22234/2009 – ha proceduto, “per completezza”, alla valutazione del contesto in cui vennero rese le dichiarazioni contrattuali, pervenendo alla conclusione che difettavano elementi idonei a superare l’interpretazione letterale (nel senso che l’attività era stata svolta dal notaio in veste di mandatario senza rappresentanza).

3. Il terzo motivo è svolto anch’esso con richiamo a Cass., S.U. n. 22234/2009 (nella parte in cui richiede che, in difetto di espressa spendita del nome, il comportamento del mandatario, “per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti dell’attività svolta sono destinati a prodursi direttamente”) e denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevando che la Corte aveva proceduto alla valutazione del “contesto” in cui si era collocata l’attività del notaio senza che una siffatta valutazione fosse stata oggetto dei motivi di impugnazione, atteso che nessuno degli appellanti aveva censurato la sentenza di primo grado nel capo in cui aveva affermato che “i convenuti erano pienamente consapevoli di impegnarsi con la società attrice, essendone venuti a conoscenza in modo esplicito ed univoco”.

3.1. Il motivo è infondato poichè, una volta riproposto al Giudice di appello (per quanto ritenuto in relazione al primo motivo) il tema della carenza di legittimazione attiva della società EU.ST.SV. s.r.l., anche sotto il profilo della mancata spendita di poteri rappresentativi da parte del mandatario, la Corte ha correttamente proceduto alla verifica del “contesto” in cui era stato concluso il contratto (secondo le indicazioni di Cass., S.U. n. 22234/2009) proprio al fine di valutare se, nonostante la mancanza di un’espressa indicazione in tal senso, il notaio avesse inteso concludere il contratto in nome della società.

4. Col quarto motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 1388,1704,1705,1708 c.c.”), la ricorrente censura la sentenza per avere escluso che la spendita del nome del rappresentato fosse avvenuta nel contesto dei lavori di ristrutturazione: assume che la circostanza (riportata nella stessa sentenza impugnata) che il P., costituendosi in giudizio, avesse dedotto che ogni rapporto era stato intrattenuto col notaio S. e che aveva ritenuto che lo stesso fosse il legale rappresentante della società attrice evidenziava l’erroneità della conclusione della Corte.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non denuncia effettivamente alcun errore di diritto riconducibile alle norme indicate in rubrica, ma è volto a sollecitare una (diversa) valutazione di merito in punto di rilevanza della circostanza dedotta ai fini dell’affermazione della spendita del nome; valutazione che tuttavia non è consentita a questa Corte, trattandosi di accertamento “devoluto al giudice del merito” ed “incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori di diritto” (Cass., S.U. n. 22234/2009; cfr. anche n. Cass. n. 13978/2005 e Cass., S.U. n. 9980/1996).

5. Col quinto motivo, viene dedotto l'”omesso esame di un fatto decisivo per la controversia su cui le parti hanno discusso”, censurandosi la Corte per non aver valutato la fattura n. (OMISSIS), che era stata emessa dalla ditta P. nei confronti della EU.ST.SV. s.r.l., dalla quale il Giudice di appello avrebbe dovuto desumere che il notaio S. aveva tenuto un “comportamento univoco e concludente”, portando “a conoscenza dell’altro contraente la circostanza di agire per un soggetto diverso”.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto la ricorrente si limita a lamentare la mancata valutazione di una fattura senza dedurre se e come la rilevanza di tale documento abbia formato oggetto di discussione fra le parti (cfr. Cass. n. 19987/2017) e senza evidenziarne la decisività in rapporto agli altri elementi valutati dalla Corte.

6. Il sesto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1387,1392 e 1399 c.c.: la ricorrente lamenta che la Corte di Appello ha omesso di considerare che, non essendo il contratto di appalto a forma vincolata, la prova del potere rappresentativo avrebbe potuto essere desunta dal fatto che le altri parti erano a conoscenza che il notaio S. era stato incaricato dalla società proprietaria dell’immobile e dalla circostanza che la società avesse agito personalmente sia nel ricorso per accertamento tecnico che nel giudizio ordinario; aggiunge che non era stato considerato, per l’ipotesi che il notaio avesse agito come falsus procurator, che il contratto poteva essere stato ratificato dalla EU.ST.SV. s.r.l..

6.1. Il motivo è inammissibile in quanto non deduce errori di diritto riferiti alle norme richiamate in rubrica, ma si limita a ipotizzare letture alternative della vicenda che consentano di riferire la condotta del notaio alla società, il tutto sulla base di considerazioni che investono evidentemente considerazioni di merito e che sono pertanto precluse nella presente sede di legittimità.

7. Il settimo motivo sviluppa il tema introdotto dal motivo precedente e lamenta, sotto il profilo dell’esame di un fatto decisivo, il mancato accertamento diretto a verificare se la condotta della EU.ST.SV. s.r.l. avesse comportato la ratifica del contratto.

7.1. Anche questo motivo è inammissibile, poichè mira – al pari del precedente – ad introdurre il tema della ratifica (del tutto estraneo all’economia della sentenza impugnata, basata sull’assunto che il notaio S. non aveva speso poteri di rappresentanza, nè in forza di procura nè in veste di falsus procurator) e quindi a sollecitare apprezzamenti di merito ulteriori rispetto a quelli svolti dalla Corte territoriale.

8. Con l’ottavo motivo (“violazione e falsa applicazione degli artt. 1705,1708 e 1711 c.c.”), la ricorrente assume che il Giudice di appello ha richiamato acriticamente il principio – espresso da Cass., S.U. n. 24772/2008 – secondo cui l’art. 1705 c.c., comma 2, esclude che, in caso di mandato senza rappresentanza, il mandante possa agire per l’annullamento, la risoluzione, la rescissione del contratto e il risarcimento del danno; evidenzia che costituisce eccezione a tale principio l’ipotesi in cui l’inadempimento del terzo contraente abbia recato danni diretti al mandante, ipotesi ricorrente nel caso di specie, in cui il danno era stato subito interamente dal mandante; conclude che, “riguardo al danno emergente subito dal mandante per l’inadempimento del terzo contraente, deve pertanto ammettersi la legittimazione del mandante ad agire in giudizio nei confronti del terzo contraente per ottenere il risarcimento”.

8.1. Il motivo è infondato, dovendosi escludere che il dictum delle Sezioni Unite del 2008 – dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare – consenta una deroga al principio per cui “l’espressione “diritti di credito” di cui all’art. 1705 c.c., comma 2, va (…) rigorosamente circoscritta all’esercizio (fisiologico) dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento): invero, ove si riconoscesse al mandante la possibilità di agire per il risarcimento dei danni nei confronti della controparte del contratto concluso dal mandatario senza rappresentanza si finirebbe per riconoscere un diritto di azione nei confronti del terzo che esula dall’ambito (di stretta interpretazione) dei “diritti acquistati dal mandatario”.

9. Le spese di lite seguono la soccombenza.

10. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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