Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12249 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. III, 09/05/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 09/05/2019), n.12249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12309-2017 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO, 13,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA in persona del procuratore P.B.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15, presso

lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2881/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

13/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/02/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di precetto notificato il 22 dicembre 2010 l’avvocato T.G. intimava a Intesa San Paolo s.p.a. il pagamento di un importo stabilito da un’ordinanza di assegnazione depositata il 1 aprile 2003 all’esito di un processo di esecuzione in cui la banca era stata terza pignorata. L’ordinanza di assegnazione era notificata unitamente al precetto.

Avverso la procedura esecutiva successivamente incardinata nelle forme del pignoramento presso terzi, l’istituto di credito proponeva opposizione all’esecuzione deducendo, in particolare, di aver pagato l’intera sorte assegnata nell’ordinanza inviando, tramite posta, nei dieci giorni indicati nel precetto, un assegno circolare dapprima restituito ex art. 1181 c.c., e poi nuovamente inoltrato alla creditrice che, ciò nondimeno, aveva proceduto alle vie coattive.

Disposta la sospensione dell’esecuzione, la causa era riassunta nel merito dalla creditrice.

Il giudice di pace, davanti al quale si costituiva la banca, accoglieva l’opposizione.

Appellava T.G. deducendo la carenza di prova della tempestività del primo invio dell’assegno, con tardività del secondo invio, e l’insufficienza del pagamento in particolare quanto all’illegittima applicazione della ritenuta di acconto.

Il tribunale rigettava l’appello ritenendo quindi la condotta della banca conforme a buona fede e correttezza, e viceversa idoneo il pagamento complessivamente offerto con il primo invio dell’assegno circolare.

Avverso questa decisione ricorrè per cassazione T.G. affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso Intesa San Paolo.

In calce al ricorso la ricorrente ha formulato domanda di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, assumendo che le sezioni semplici abbiano deciso in modo difforme in ordine alla possibilità per l’esecutante di notificare l’ordinanza di assegnazione unitamente all’atto di precetto; con la medesima istanza, la parte ha chiesto la pronuncia delle Sezioni Unite in merito a una seconda questione in ordine alla quale ipotizza un contrasto giurisprudenziale, ovvero sulla possibilità di estendere analogicamente il termine dilatorio previsto dall’art. 477 c.p.c. alla fattispecie processuale della notifica al terzo pignorato di un’ordinanza di assegnazione unitamente al precetto, anche laddove il provvedimento ex art. 553 c.p.c., non contenga un termine dilatorio in favore del terzo pignorato di dieci o venti giorni.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Come già chiarito da questa Corte in fattispecie sovrapponibile (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754) è preliminare, e decisivo, il rilievo per cui la ricorrente non riporta in maniera comprensibile la sequenza dei fatti di causa rilevanti, in quanto il testo del ricorso, nella parte riservata alla esposizione sommaria del fatto, consta della parziale riproduzione scannerizzata di atti, oltre che di una laconica quanto del tutto incompleta esposizione del giudizio di primo e di secondo grado.

Il ricorso non riporta affatto, nè con completezza e neppure nella pur consentita formula riassuntiva, le ragioni della decisione di primo grado e, soprattutto, le ragioni della decisione di appello, limitandosi ad affermare che il proprio appello è stato respinto per poi passare direttamente alla esposizione e illustrazione dei propri motivi di ricorso per cassazione.

A loro volta, la lettura dei motivi, costruiti anch’essi con riproduzione scannerizzata di atti a tratti illeggibili (pag. 23 del ricorso), non consente la piena comprensione degli stessi, e attraverso di essi delle vicende processuali, senza attingere all’esterno del ricorso, ovvero alla sentenza d’appello o al controricorso.

L’intero ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il che esime dal dover esaminare, e perfino dal dover in questa sede riportare, o meglio ricostruire, il contenuto dei motivi di ricorso, in quanto a questo scopo si dovrebbe come detto attingere “aliunde”.

Il gravame non consente cioè alla Corte, violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’idonea comprensione della complessiva vicenda processuale (cfr. Cass., Sez. U., nn. 16628 del 2009 e 5698 del 2012).

Il requisito in parola consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. n. 11653 del 2006; per una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, v. recentemente Cass. n. 21396 del 2018).

In mancanza di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali, della sintetica quanto puntuale esposizione della soluzione accolta dai giudici di merito, nonchè, in questo quadro, di una chiara illustrazione dell’errore pretesamente commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, viene addossato a questa Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi sottoposti al suo esame con sovrapposizioni senza un ordine logico, quelli ritenuti rilevanti dallo stesso soggetto ricorrente ai fini del decidere (v. recentemente Cass. n. 13312 del 2018, che ha puntualizzato che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere un’esposizione dei fatti di causa tale da far chiaramente risultare le posizioni processuali spiegate dalle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente. Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado).

La valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sè stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dall’avvocato e come detto presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale e le ragioni dell’assistito, così come le questioni sottoposte all’attenzione della Corte nel ricorso per cassazione cui si sia giunti.

Neppure è possibile nel caso di specie, al fine di evitare una pronuncia d’inammissibilità del ricorso, recuperare in maniera sufficientemente chiara la necessaria esposizione dei fatti di causa attraverso la lettura dei motivi (Cass. n. 17036 del 2018 evidenzia come non sia necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso, essendo sufficiente che essa risulti, chiaramente, dal contesto dell’atto, anche attraverso lo svolgimento dei motivi).

Il ricorso odierno, come anticipato, presenta, pure all’interno della trattazione riservata all’esposizione dei motivi, l’inserimento non giustificato di svariate porzioni, scannerizzate e riprodotte, degli atti processuali del giudizio di merito, peraltro spesso non per esteso e privi d’intestazione e riproduzione integrale, nonchè di rielaborazione sintetica da parte della ricorrente e di una chiara individuazione della rilevanza dei passi riprodotti nell’economia delle tesi esposte di volta in volta dalla stessa, il che rende, nella sua integralità, non adeguatamente decifrabile il mezzo processuale.

Gli stessi motivi non sono autonomamente comprensibili, e non sarebbero stati neppure astrattamente riassumibili senza l’ausilio fornito dal testo della sentenza, al quale tuttavia non si può attingere per esaminare e decidere il ricorso se quest’ultimo non sia in grado di fornire autonomamente la chiave di comprensione del processo e della motivazione fatta propria dalla sentenza impugnata, per poi muovere alla stessa una critica ragionata ed ancorata ai motivi articolati.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti “ratione temporis” per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.100,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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