Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12244 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. I, 06/06/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 06/06/2011), n.12244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)), in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

G.G., L.F., F.P., M.

D.;

– intimati –

avverso il decreto nei procedimenti iscritti ai nn. 60055 –

60058/2006 RGAD della CORTE D’APPELLO di ROMA del 3/11/08, depositato

il 18/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p. 1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore: “1.- Con decreto depositato il 18.12.2008 la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 proposta contro il Ministero della Giustizia da M.D., G.G., L. F. e F.P. in relazione alla durata irragionevole di una procedura fallimentare, aperta il 25.1.1995 dal Tribunale di Napoli, nella quale si erano insinuati, ancora pendente. La Corte di merito ha determinato in sei anni la durata ragionevole della procedura e, per il ritardo di cinque anni, ha liquidato a titolo di indennizzo per danno non patrimoniale, la somma di Euro 6.000,00 in favore di ciascun ricorrente.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il Ministero della Giustizia, affidato a dieci motivi.

Gli intimati non hanno svolto difese.

2.- Va preliminarmente evidenziata l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, con il quale è denunciato vizio di motivazione in relazione all’entità del danno non patrimoniale riconosciuto dalla Corte di merito. Infatti, va ricordato che, quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (v. S.U. sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonchè le sentenze delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008): per questo il relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (ord., sez. 3, n. 16002/2007; ord., sez. 3, nn. 4309/2008, 4311/2008 e 8897/2008, cit., nonchè sent. S.U. n. 11652/2008). In altri termini, si richiede che l’illustrazione del motivo venga corredata da un momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura (v.

sentenza, S.U., n. 16528/2008).

Requisito che, nella concreta fattispecie, manca del tutto e ciò rende inammissibili le censure concernenti la motivazione del decreto impugnato.

Ciò premesso, va rilevato che le censure sub 2, 3 e 4, con le quali il Ministero denuncia violazione di legge lamentando la mancata dichiarazione dell’estinzione per prescrizione del diritto vantato dai ricorrenti e assumendo la compatibilità tra prescrizione e decadenza comminata dalla L. n. 89 del 2001 appaiono infondate alla luce del principio per il quale la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Sez. 1, Sentenza n. 27719 del 30/12/2009).

La censura sub 5, con la quale il ricorrente denuncia violazione di legge deducendo l’applicabilità ai processi in corso della L. n. 89 del 2001 con conseguente applicabilità della disciplina interna in materia di prescrizione, appare manifestamente infondata per le medesime ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi.

Del pari manifestamente infondata è la censura sub 9 con la quale è denunciata violazione di legge per non essere stata dichiarata la decadenza in relazione al momento in cui è divenuta definitiva la decisione sull’opposizione allo stato passivo: infatti, i ricorrenti lamentavano l’irragionevole durata della procedura fallimentare ai fini del soddisfacimento del proprio credito e non solo del giudizio di accertamento di esso.

Con i motivi sub 6, 7, 8 e 10 il Ministero ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito non abbia tenuto conto del disinteresse dei ricorrenti alla procedura, non avendo richiesto l’intervento del fondo di garanzia dell’INPS e non avendo notificato la sentenza resa sull’opposizione allo stato passivo.

Erroneamente, poi, la Corte di merito avrebbe attribuito rilievo alla mancanza di piani di riparto parziali che, invece, vi furono.

Tutte le censure sono manifestamente infondate là dove non sono inammissibili perchè la Corte di merito ha già evidenziato l’irrilevanza del rapporto con l’INPS mentre il ricorrente non ne spiega il rilievo. La provvisoria esecutività della sentenza resa L. Fall., ex art. 99 (nel testo previgente) e la previsione della sua affissione entro otto giorni dalla pubblicazione, poi, fanno sì che il curatore non avrebbe potuto ignorarla in ipotesi di deposito di piani di riparto.

Il decreto impugnato, infine, fa riferimento al piano di riparto finale, non ancora predisposto al momento della proposizione del ricorso Pinto. Non assume valore decisivo, dunque, il fatto relativo ai piani parziali di riparto.

Il ricorso, quindi, può essere deciso in camera di consiglio”.

p. 2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

Le spese processuali – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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