Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12242 del 23/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 23/06/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 23/06/2020), n.12242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23710-2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LIVIO NERI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS) SEZIONE

DI (OMISSIS) E DELLA (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto n. cronol. 2810/2018, depositato il 26/6/2018, ha respinto la richiesta di C.M., cittadino del Mali, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria. In particolare, i giudici di merito, a seguito di udienza di comparizione delle parti, hanno rilevato che: la vicenda personale narrata dal medesimo (essere di religione mussulmana ed orfano dei genitori ed essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per il timore di essere arrestato, avendo, insieme ad un amico, rubato dei soldi che erano stati affidati al padre di quest’ultimo) presentava diverse lacune ed incongruenze e risultava poco credibile e comunque non era neppure astrattamente riconducibile ai requisiti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, il Mali, Paese di provenienza dello straniero, non era interessato da violenza indiscriminata, come emergeva dai Rapporti annuali si Amnesty International ed (OMISSIS) 2018; non ricorrevano i presupposti richiesti per la protezione per ragioni umanitarie, malgrado il documentato inserimento socio-lavorativo del ricorrente (avendo questi svolto dal 2017 alcune attività lavorative temporalmente determinate), in quanto, in difetto di ulteriori ragioni di vulnerabilità, diverse da quelle già poste a fondamento delle altre richieste di protezione, sulle quali il Tribunale già aveva espresso la propria valutazione di inattendibilità, alla stregua del necessario giudizio comparativo, non emergeva un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali, che costituiscono presupposto di una vita dignitosa.

Avverso il suddetto decreto C.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso),

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla frequentazione, con successo, di lezioni scolastiche con conseguimento della licenza media, di corsi di lingua, di formazione professionale, nonchè dallo svolgimento di attività di volontariato e lavorativa, ininterrottamente dal luglio 2017; con il secondo motivo, si lamenta poi, sempre in riferimento al rigetto della richiesta di protezione umanitaria, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, art. 10 Cost., comma 3, e della CEDU, art. 8, in quanto si sarebbe dovuto dare il giusto rilievo al percorso di integrazione che il richiedente ha svolto in Italia, anche in considerazione dell'”allegato e non contestato contesto di gravi privazioni e violazioni dei fondamentali diritti umani perpetrate in Mali”.

2. Le due censure, da esaminare congiuntamente, in quanto comunque correlate al rigetto della richiesta di protezione per ragioni umanitarie, sono infondate.

Il ricorrente denuncia che il Tribunale avrebbe dovuto comparare nel giudizio la situazione lasciata nel paese di provenienza, anche alla luce delle prospettive di integrazione sociale e lavorativa; la tesi, che fa leva sul precedente costituito dalla sentenza di questa Corte n. 4455-18, è del tutto astratta e avulsa dall’accertamento dei fatti, e non incrina la valutazione del giudice a quo.

Il Tribunale infatti ha operato un giudizio di fatto correttamente attestato proprio sugli elementi della comparazione che si richiede; e di tale giudizio di fatto surrettiziamente si tenta di sovvertire l’esito.

Invero nell’ottica di Cass. n. 4455-18 la valutazione comparativa costituisce presidio del discernimento di vulnerabilità personale per la riscontrata esistenza, innanzi tutto, di una “significativa ed effettiva compromissione dei (..) diritti fondamentali” a fronte del parametro dell’altrettanto effettivo “inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia”; il che il Tribunale ha motivatamente escluso, avendo evidenziato che le ragioni di vulnerabilità personali dedotte, correlate alla situazione del Paese di provenienza, erano risultate non meritevoli di tutela, per inattendibilità del racconto e per insussistenza di una situazione di conflitto interno o violenza indiscriminata nel Mali.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità (cfr. Cass. 4455/2018) in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria “.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Sussistono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della vicenda, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2020

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