Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12242 del 14/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/06/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3930-2015 proposto da:

L.Q., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C.

MIRABELLO 11, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO MASSA, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.F.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 391/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 04/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCO DE STEFANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – E’ stata depositata in cancelleria relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., datata 2.12.15 e regolarmente notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 391 del 4.6.14, del seguente letterale tenore:

“1. – L.Q. ricorre, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui è stato rigettato anche il suo appello avverso la reiezione della sua domanda di ingiustificato arricchimento proposta, nella qualità di debitrice già esecutata in una espropriazione immobiliare già conclusa, nei confronti di D.F.F., aggiudicatario dell’immobile staggito, dispiegata per un importo pari al valore delle opere di completamento di questo, di cui non era stato, a suo dire, tenuto conto nella determinazione del prezzo base e di quello di vendita.

L’intimato non notifica controricorso.

2. – Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio – ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., essendo oltretutto soggetto alla disciplina dell’art. 360-bis c.p.c. (inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. a) – parendo dovervi essere rigettato.

3. – I due motivi (di “violazione e falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c.” e di “erronea e falsa applicazione della norma di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c.”), congiuntamente esaminati, sono manifestamente infondati.

Il processo esecutivo è articolato, a garanzia della stabilità e della legalità dei suoi atti e quindi della tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, su di un sistema chiuso di rimedi, al di fuori dei quali non è ammessa alcuna autonoma azione tendente a farne valere l’illegittimità o altri tipi di vizi (per tutte: Cass. 2 aprile 2014, n. 7708).

Pertanto, neppure una presunta inadeguatezza del prezzo rispetto a quello giusto, se non fatta valere (oltretutto, nei ben circoscritti limiti di cui a Cass. 21 settembre 2015, n. 18451, che parrebbero valicati nella fattispecie per la prevedibilità della situazione fin da prima della vendita) entro i termini fissati per l’impugnazione degli atti del processo esecutivo che la rendono definitiva (e, cioè, entro i venti giorni dalla comunicazione del decreto di trasferimento per quel prezzo, o, in mancanza, dalla comunicazione del primo atto della procedura esecutiva che quello presuppone), può fondare alcuna pretesa in capo al soggetto di quel processo che abbia rinunciato a tale tutela.

Inoltre, è evidente che l’inammissibilità, dovuta alla non residualità, dell’azione di indebito arricchimento non è certo esclusa – ed anzi è confermata – dalla circostanza che chi aveva a sua disposizione l’azione tipica abbia volontariamente perduto la possibilità di esperirla.

E tutto questo senza considerare che il debitore il quale, in pendenza del processo esecutivo, apporti addizioni all’immobile pignorato o addirittura lo modifichi o lo ampli, lo fa, in virtù di principi fondamentali del processo stesso e di diritto sostanziale, a proprio esclusivo rischio e pericolo e comunque nella piena consapevolezza dell’esito potenziale del processo, il quale si estende all’immobile per come viene a trovarsi nel corso di esso.

4. – Del ricorso non può che proporsi, pertanto, il rigetto”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Non sono state presentate conclusioni scritte, ma la ricorrente ha depositato memoria, pur non essendo alcuno comparso in camera di consiglio per essere ascoltato.

3. – A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla parte ricorrente.

Infatti:

– da un lato, tutte le doglianze circa l’inadeguatezza del prezzo di vendita, che oltretutto andavano fatte valere tempestivamente coi rimedi propri del processo esecutivo, comunque sono precluse dalla conclamata volontarietà degli interventi su immobili oggetto del processo stesso, mai previamente autorizzati e quindi non solo estranei alle finalità della procedura, ma pure al di fuori del controllo del giudice: al riguardo, la gestione e l’amministrazione della cosa pignorata deve rimettersi alla supervisione di quest’ultimo a mezzo del custode (sia esso o meno sostituito al debitore), in forza della generale previsione dell’art. 560 c.p.c. (u.c., secondo periodo); questa, a sua volta, è espressione di un principio generalizzabile per ogni processo espropriativo e corrisponde se non altro all’altro ancor più generale dell’accessione (in forza del quale ogni modifica aggiuntiva all’immobile accede al medesimo), pure dovendo escludersi la buona fede dell’agente, bene a conoscenza della pendenza del processo e dell’onere di non modificare lo stato dei luoghi;

– dall’altro lato, è principio generale che l’azione di ingiustificato arricchimento resta preclusa dall’infondatezza o dall’inammissibilità (anche solo per violazione dei relativi termini di proposizione) dell’azione tipica in origine spettante al preteso impoverito (dovendo poi la valutazione di sussidiarietà compiersi in astratto e quindi a prescindere dalle concrete circostanze per le quali quegli non abbia potuto trovare soddisfacimento delle sue pretese mediante quella: Cass. 3 ottobre 2007, n. 20747; Cass. Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28042; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25461;

Cass. Sez. Un., 28 aprile 2011, n. 9441; Cass. 9 gennaio 2014, n. 307; Cass. 18 dicembre 2015, n. 25449): principio che, applicato alla fattispecie, avrebbe comportato solo l’onere di impugnare, per i vizi relativi, i provvedimenti del giudice investito dell’eventuale opposizione agli atti esecutivi tempestivamente proposta, ma non avrebbe appunto mai consentito la trasmutazione dell’azione nell’inammissibile azione di indebito arricchimento.

Non possono così qualificarsi senza causa nè possono dar luogo all’azione sussidiaria prevista dall’art. 2041 c.c. e segg. le diminuzioni patrimoniali del debitore dovute alla sue volontarie condotte di modificazione del bene già oggetto di pignoramento e in pendenza del processo esecutivo, se non fatte valere tempestivamente con gli strumenti propri del processo medesimo, comunque perchè precluse al di fuori del controllo del giudice ed estranee alle finalità del processo in questione.

4. – Pertanto, ai sensi degli artt. 380 bis e 385 c.p.c., il ricorso va rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendovi svolto attività difensiva l’intimato.

5. – Deve, infine, trovare applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali –

della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante integralmente soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del cit.

art. 13, comma 1 bis; sicchè, poichè ella ne è legittimamente stata esentata fin dalla proposizione del ricorso, non sarà tenuta a pagare alcunchè d’altro.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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