Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1224 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8916/2014 R.G. proposto da:

D.B., rappresentata e difesa dall’Avv. Conti Maurizio, con

domicilio eletto in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 38, presso

lo studio Grez e Associati;

– ricorrente-

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Friuli-Venezia Giulia, n. 93/7/13 depositata il 16 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle entrate notificò a D.B. tre avvisi di accertamento con i quali determinò sinteticamente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4, 5 e 6, (cosiddetto redditometro), il reddito complessivo della stessa contribuente per i periodi d’imposta, rispettivamente, 2005 (Euro 107.806,00), 2006 (Euro 78.984,00) e 2007 (Euro 87.339,00), in relazione al contenuto induttivo della disponibilità di diversi cavalli da corsa, di un’autovettura e di un’abitazione (quest’ultima insieme ai genitori e, perciò, attribuita per la quota di un terzo);

gli avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Udine che, riuniti i ricorsi della contribuente, li accolse;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia (hinc anche: “CTR”) che lo accolse, confermando gli avvisi di accertamento impugnati, con la motivazione che: a) quanto al contenuto induttivo della disponibilità dell’autovettura e dell’abitazione, “il Giudice di prime cure ha incentrato la decisione esclusivamente sui cavalli: gli altri beni indice utilizzati dall’Ufficio (…) ovvero l’autovettura e l’immobile non sono stati oggetto di analisi”; b) quanto al contenuto induttivo della disponibilità dei cavalli da corsa: b.1) mentre “(i)l contribuente dichiarava che per pura passione (…) ha mantenuto i cavalli”, “dagli atti di causa si evince che l’attività è gestita dall’appellata in forma professionale piuttosto che amatoriale”, atteso che, premesso che “(è) fatto notorio che ordinariamente l’allevamento amatoriale di animali è limitato ad un numero ristretto di capi”, “(l)a partecipazione alle competizioni, confessata dalla contribuiste, esclude la configurazione di un hobby” atteso che “dal questionario emerge (che) la parte riferisce di aver partecipato nel 2005 a 56 corse in 4 ippodromi diversi con 8 cavalli: anche a voler considerare una partecipazione a settimana (…) risulta che nell’anno 2005 ogni settimana l’appellata ha partecipato ad almeno una gara in ippodromi fuori regione (considerando che in Friuli l’unico ippodromo è quello di Trieste), sostenendo spese ma altresì incamerando premi. Similmente per l’anno 2006 (15 corse, 2 ippodromi, 5 cavalli) e 2007 (11 corse, 1 ippodromo e 3 cavalli)”, sicchè “(e)merge chiaramente che non si tratta di un hobby quanto, piuttosto, di un’attività continuativa”; b.2) “(l)’appellata ha quindi confermato l’utilizzo di prodotti specifici per il nutrimento dei cavalli, acquistati da terzi”; b.3) “(i) cavalli, poi, sono ferrati, iscritti all’UNIRE, e probabilmente, dotati di micrichip: necessitano di particolari cure, di integrare l’alimentazione con mangimi particolari (soprattutto in vista delle competizioni settimanali, di cure veterinarie e continue)” e, “(i)n aggiunta, esprimono una particolare capacità contributiva proprio perchè partecipano ad attività agonistica ed a corse in ippodromo (con risultati evidenti (…), come provato dai premi vinti (…))”; c) “(l)a Suprema Corte di Cassazione ha più volte ribadito il principio della presunzione legale per cui la disponibilità di autoveicoli o residenze, o degli altri beni previsti dalla norma, costituisce una presunzione di capacità contributiva da qualificare “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c.. Il Giudice Tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti all’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta a imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni. In buona sostanza il ricorso a parametri contenuti nel “redditometro” esonera l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova e le consente di emettere un valido avviso di accertamento, ricorrendo a un mero calcolo matematico. Resta onere del contribuente fornire in sede giudiziaria la prova contraria a quanto dedotto attraverso il “redditometro””; d) tale “prova (…) nel caso de quo non è stata fornita

La signora D., per esempio, non ha mai indicato quale familiare partecipasse alle spese di sostentamento dei cavalli ed in che misura”; e) “(b)isogna quindi concludere che il contribuente non ha assolto all’onere della prova ad esso spettante per vincere la presunzione legale alla base dell’accertamento sintetico fondato sul “redditometro””;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 16 dicembre 2013 e notificata il 22/27 gennaio 2014 – ricorre per cassazione D.B., che affida il proprio ricorso, notificato il 28 marzo/8 aprile 2014, a due motivi;

l’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso, spedito il 19 maggio 2014;

D.B. ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

preliminarmente, va rilevato che l’Agenzia delle entrate non ha depositato la ricevuta di ritorno della raccomandata, spedita il 19 maggio 2014, a mezzo della quale provvedette alla notificazione del controricorso;

pertanto, in mancanza della prova che tale atto sia stato effettivamente portato a conoscenza della controparte, di esso non si può tenere conto e l’Agenzia delle entrate si deve considerare rimasta intimata;

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e degli artt. 2697,2727,2728 e 2729 c.c. per l’erroneità dell’asserzione della CTR secondo cui “(i)l Giudice Tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti all’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale (…) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni”, in quanto: a) tale asserzione contrasta con il principio affermato da Cass., Sez. U, 18/12/2009, n. 26635, in tema di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, applicabile, per analogia, anche all’accertamento sintetico mediante il cosiddetto redditometro; b) “appare non corretta l’enfatizzazione rigida del ruolo della “effettività fattuale” degli elementi indicatori di capacità contributiva (…) e la sua supremazia rispetto agli elementi di prova forniti dal contribuente”, giacchè è in contrasto con quanto affermato da Cass., 31/03/2011, n. 7408 – secondo cui “la disponibilità d’immobili, come degli altri beni previsti dal D.P.R. n. 600, art. 2, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” ai sensi dell’art. 2728 c.c.. Il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio deve però valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale dei beni indicati dalla norma” -attesa “la profonda differenza concettuale (…) tra l’assunto della Commissione Regionale, secondo cui il Giudice tributario “può soltanto” valutare la prova offerta dal contribuente e l’insegnamento nomofilattico in forza del quale il medesimo Giudice “deve però” valutare quella prova”;

il motivo non è fondato;

quanto al suo primo profilo (indicato sub a), è sufficiente osservare che il ricorso al criterio interpetativo dell’analogia (nella specie invocata con riferimento alle disposizioni in materia di accertamenti fondati sui parametri o sugli studi di settore, come interpretate dalla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 26635 del 2009) è consentito dall’art. 12 preleggi solo quando manchi nell’ordinamento una specifica disposizione che regoli la fattispecie e si renda, quindi, necessario rimediare a un vuoto normativo altrimenti non colmabile (Cass., 06/07/2002, n. 9852, 11/02/2015, n. 2656), mentre nella materia che viene qui in considerazione non si riscontra alcuna lacuna normativa, essendo gli accertamenti sintetici mediante il cosiddetto redditometro specificamente e compiutamente disciplinati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6;

quanto al secondo profilo del motivo (indicato sub b), secondo la ricorrente, il contrasto tra l’asserzione della CTR secondo cui, nel caso di accertamento sintetico mediante il cosiddetto redditometro, il giudice tributario “non ha il potere di togliere a(gli) elementi (indicativi di capacità contributiva addotti dall’Ufficio) la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova contraria che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale (…) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni” e le disposizioni da essa invocate, come interpretate da Cass., n. 7408 del 2011 – là dove afferma che lo stesso giudice tributario, “una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’ufficio deve però valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale dei beni indicati dalla norma” deriverebbe dalla “profonda differenza concettuale (…) tra l’assunto della Commissione Regionale, secondo cui il Giudice tributario “può soltanto” valutare la prova offerta dal contribuente e l’insegnamento nomofilattico in forza del quale il medesimo Giudice “deve però” valutare quella prova”;

in proposito, si deve osservare che, dalla complessiva lettura della contestata asserzione, risulta evidente come l’uso, da parte della CTR, della locuzione “può soltanto” (e, quindi, del verbo “potere”) trovi spiegazione nella contrapposizione con quanto, secondo la stessa CTR, la legge non le consentiva di fare – e, quindi, con quanto essa non poteva, a suo avviso, fare (“non ha il potere di togliere”) – e non debba, perciò, intendersi, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, come affermazione dell’esistenza di una mera facoltà, invece che di un obbligo, del giudice tributario di valutare le prove contrarie offerte dal contribuente;

la locuzione “può soltanto” è del resto utilizzata, con la stessa portata, anche dalla giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito di un principio di diritto, da essa statuito, che è pienamente (e, per la gran parte, anche letteralmente) corrispondente alla contestata asserzione della CTR, in particolare, il principio secondo cui, “((i)n tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi del citato D.P.R., art. 2, nella versione “ratione temporis” vigente, una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicchè il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni” (Cass., 01/09/2016, n. 17487; in termini analoghi, Cass., 23/07/2007, n. 16284);

da ciò l’infondatezza del secondo profilo in esame;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e degli artt. 2697,2727,2728 e 2729 c.c., e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “illogicità della motivazione e omessa valutazione di fatti decisivi” in quanto la CTR: a) in modo “giuridicamente errato” “attribuisce valore probatorio pieno agli elementi indicatori della capacità reddituale della odierna ricorrente, accertandone Imeffettività fattuale””, atteso che, posto che l’art. 2729 cod. cov. ammette le presunzioni semplici solo se gravi, precise e concordanti, “la decisione si fonda su affermazioni apodittiche (“la partecipazione alle competizioni esclude la configurazione di un hobby”)”, del tutto indimostrate (i cavalli “necessitano (…) di integrare l’alimentazione con mangimi particolari, soprattutto in vista delle competizioni settimanali”), addirittura congetturali (i cavalli sono… probabilmente dotati di microchip”; b) ha omesso di confrontarsi con “(I)a realtà della ricorrente (…) che pure apparteneva al processo, e che qui riproponiamo (…) onde consentire (…) l’apprezzamento diretto della assenza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni offerte dall’Agenzia delle entrate, l’assenza di motivazione sulla rilevanza delle prove documentali e presuntive offerte dalla contribuente e l’omessa considerazione di fatti decisivi”, in particolare, non avendo considerato: b.1) “nessuno degli elementi fattuali offerti dalla contribuente” di cui al “deposito documenti e memoria relativa alle istanze di accertamento con adesione (…) di data 4 febbraio 2011” (memoria che è testualmente riportata alle pagine 9 e 10 del ricorso); b.2) che negli avvisi di accertamento impugnati si evidenziava che i cavalli di cui la contribuente era proprietaria furono venduti nel 2005 per Euro 500,00, Euro 1000,00 ed Euro 1.500,00 (cavalli, rispettivamente, Dinocchio, Nebelwind e Glen River) e in molti casi ceduti gratuitamente; b.3) che “(l)a ricorrente ha spiegato e documentato che il mantenimento di un cavallo comporta un costo di Euro 1.500,00 annuo, costo ampiamente giustificato dai premi incassati dall’UNIRE”; b.4) “quanto dedotto dalla ricorrente in sede di ricorso avverso gli avvisi di accertamento, (..) completamente privo di esame” (ricorso che è testualmente riportato nella parte in cui, tra l’altro, è rappresentata la circostanza che “più componenti del nucleo familiare “allargato” (…) si occupano della conduzione della “campagna” e della “stalla”. Questo rende possibile, evidentemente, il mantenimento degli animali ospitati nella azienda zootecnica (…) con ridottissima spesa limitata alle razioni alimentari”); b.5) “ancor meno (la) “effettività fattuale” derivante dal possesso di un’autovetura utilitaria immatricolata nel 1995 (qui sì soccorre il “fatto notorio” del suo valore irrisorio e del suo costo di esercizio minima/e) e dalla “disponibilità” (non della proprietà, si badi) di una casa di abitazione ove l’insegnante cinquantenne D.B. vive con i propri genitori pensionati”; b.6) che l’Agenzia delle entrate aveva verificato le sue disponibilità bancarie, “senza rinvenire traccia dei redditi “presunti””;

il motivo è in parte non fondato (in relazione al suo primo profilo, indicato sub a) e in parte inammissibile (in relazione al suo secondo profilo, indicato sub b);

quanto al primo profilo, va premesso che le contestate affermazioni della sentenza impugnata (precisamente, quelle che “la partecipazione alle competizioni (…) esclude la configurazione di un hobby” e che

cavalli “necessitano (…) di integrare l’alimentazione con mangimi particolari (soprattutto in vista delle competizioni settimanali (…))” e “sono (…) probabilmente dotati di microchip”) riguardano la valutazione della prova contraria offerta dalla contribuente – la quale aveva allegato che, “per pura passione, utilizzando la (…) stalla di famiglia, ha mantenuto i cavalli” – in esito alla quale la CTR ha reputato che le riscontrate modalità di svolgimento “in forma professionale” dell’attività di partecipazione alle gare ippiche e la correlata entità delle conseguenti spese escludevano che queste potessero essere sostenute con i redditi di insegnante dichiarati dalla contribuente;

nel compiere tale valutazione, la CTR non ha tuttavia utilizzato alcun meccanismo di prova di tipo presuntivo, con la conseguenza che la denunciata violazione e falsa applicazione della normativa in materia di presunzioni (peraltro argomentata solo in relazione all’art. 2729 c.c.) risulta inconferente;

in ogni caso, le censure della ricorrente non hanno fondamento, atteso che: a) l’affermazione che “la partecipazione alle competizioni (…) esclude la configurazione di un hobby” non è anapodittica ma è ampiamente motivata dalla CTR, in particolare, là dove essa afferma che “dal questionario emerge (che) la parte riferisce di aver partecipato nel 2005 a 56 corse in 4 ippodromi diversi con 8 cavalli: anche a voler considerare una partecipazione a settimana (…) risulta che nell’anno 2005 ogni settimana l’appellata ha partecipato ad almeno una gara in ippodromi fuori regione (considerando che in Friuli l’unico ippodromo è quello di Trieste), sostenendo spese ma altresì incamerando premi. Similmente per l’anno 2006 (15 corse, 2 ippodromi, 5 cavalli) e 2007 (11 corse, 1 ippodromo e 3 cavalli)”; b) l’affermazione che i cavalli “necessitano (…) di integrare l’alimentazione con mangimi particolari (soprattutto in vista delle competizioni settimanali (…))” non è indimostrata, avendo la CTR esposto che “N’appellata ha (…) confermato l’utilizzo di prodotti specifici per il nutrimento dei cavalli, acquistati da terzi”; c) l’affermazione che i cavalli “sono (…) probabilmente dotati di microchip” costituisce un’argomentazione sostanzialmente ultronea, trovando la valutazione negativa della prova contraria offerta dalla contribuente adeguato sostegno nelle altre numerose ragioni esposte dalla CTR;

quanto al secondo profilo del motivo, questa Corte ha affermato che, “(i)n materia di ricorso per cassazione, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse” (Cass., 23/10/2018, n. 26790; in senso analogo, Cass., 17/03/2017, n. 7009);

nel caso di specie, nell’ambito del profilo in esame sono cumulativamente articolate doglianze sia di violazione e falsa applicazione di legge sia relative a vizi di motivazione, finalizzate, secondo la stessa ricorrente, a consentire a questa Corte “l’apprezzamento diretto della assenza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni offerte dall’Agenzia delle entrate, l’assenza di motivazione sulla rilevanza delle prove documentali e presuntive offerte dalla contribuente e l’omessa considerazione di fatti decisivi”;

dette doglianze sono formulate in modo indistinto e inestricabilmente combinato, senza che sia possibile collegare, in modo chiaro, i diversi vizi cumulativamente denunciati ai singoli tassativi motivi di impugnazione per cassazione previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, così attribuendo, inammissibilmente, a questa Corte il compito di enucleare, dalla mescolanza delle doglianze, le parti concernenti ciascun motivo, per poi – dopo avergli dato forma e contenuto – decidere su di esso;

con riferimento a quelle parti delle doglianze della ricorrente che paiono prevalentemente riferirsi a vizi di motivazione, occorre aggiungere che, a seguito della sostituzione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134: a) è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali e tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053); b) non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa integrare il vizio di cui al predetto n. 5), le argomentazioni

o le deduzioni difensive (Cass., 14/06/2017, n. 14802, 18/10/2018, n. 26305), gli elementi istruttori, qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 10/02/2015, n. 2498, 08/11/2019, n. 28887), una moltitudine di fatti

o circostanze, di cui si solleciti, in realtà, un esame o una valutazione nuova o “il vario insieme dei materiali di causa” (Cass., 21/10/2015, n. 21439); b) il ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso (Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014);

da ciò l’inammissibilità del profilo in esame;

da quanto precede consegue il rigetto del ricorso;

non si fa luogo alla condanna della ricorrente alle spese atteso che, mancando, come si è già rilevato, la prova che il controricorso sia stato effettivamente portato a conoscenza della ricorrente, di tale atto non si può tenere conto e l’Agenzia delle entrate si deve considerare rimasta intimata.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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