Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12239 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. II, 06/06/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 06/06/2011), n.12239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Presidente –

Dott. Bursese Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.M. C.F. (OMISSIS) NELLA QUALITA’ DI SOCIO

ACCOMANDATARIO, FAMA IMMOBILI DI MAURA FABRIZI SAS IN LIQ IN PERSONA

DEL LIQUIDATORE E LEGALE RAPPRESENTANTE SIG. F.M. P.I.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.G. BELLI 36,

presso lo studio dell’avvocato FACCIOTTI LEOPOLDO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrenti –

e contro

B.A.;

– intimata –

sul ricorso 31229-2005 proposto da:

B.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE B. BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato D’ALESSIO

ANTONIO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

F.M., FAMA IMM DI MAURA FABRIZI SAS IN LIQ;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3912/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Presidente Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.A. citò al giudizio del Tribunale di Roma, con atto notificato l’11 e 14 dicembre 1992, la società Fa.Ma Immobiliare s.a.s. e la sua socia accomandataria F.M. al fine di sentir dichiarare risolto il contratto verbale di appalto stipulato nel maggio 1992, ad oggetto della ristrutturazione di un appartamento dell’istante in Roma, per inadempimento delle convenute e condannarsi le medesime alla restituzione dell’acconto di L. 23.800.000,oltre al risarcimento dei danni. Esponeva l’attrice che i lavori,che avrebbero dovuto iniziare il 13 luglio e completati entro il mese di agosto,durante la prevista assenza della committente da Roma,che aveva provveduto a sgomberare l’immobile, non erano stati avviati nonostante le sollecitazioni e che, pertanto, con lettera del 3.8.92, aveva dichiarato all’appaltatrice di sciogliersi dal contratto e chiesto la restituzione dell’anticipo. Costituitasi le convenute, contestarono il fondamento della domanda, eccependo che la somma ricevuta era servita per l’acquisto di materiali ed elettrodomestici da installare nella casa, che la committente, modificando le disposizioni date in un primo momento, aveva manifestato la propria intenzione di sovrapporre il nuovo pavimento a quello preesistente, ricevendo una missiva contenente l’invito, per l’ipotesi in cui avesse inteso recedere, a ritirare i materiali e pagare un equo indennizzo, cui aveva fatto riscontro la sopra citata lettera del 3.8.92; in via riconvenzionale chiesero pronunziarsi la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, con condanna della medesima al risarcimento dei danni.

Espletate le prove testimoniali,con sentenza pubblicata l’11.1.01 il tribunale,dichiarato legittimo il recesso della B. e disattesa la domanda riconvenzionale, pronunziò la risoluzione del contratto per inadempimento della società, che condannò, in solido con la accomandataria, alla restituzione della somma di L. 23.800.000, oltre agli interessi, nonchè al rimborso delle spese.

All’esito del gravame proposto dalle soccombenti, cui aveva resistito l’appellata. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 14.7- 16.9.04, in parziale accoglimento dell’impugnazione, rigettava la domanda attrice di risoluzione, riduceva la somma dovuta in restituzione alla B. ad Euro 10.742,30, oltre interessi, confermava nel resto la sentenza impugnata e compensava per 1/3 le spese del doppio grado di giudizio, per il resto poste a carico della società e della F..

Tali per quanto ancora rileva in questa sede, le essenziali ragioni della suddetta decisione:

a) il giudice di primo grado,nonostante un improprio riferimento all’essenzialità del termine, aveva in realtà pronunziato l’inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c.,ritenendo ingiustificato il ritardo dell’appaltatrice nell’inizio dei lavori e, correlativamente, giustificato il rifiuto, manifestato il 3.8.92 dalla committente, di ricevere la prestazione;

b) tuttavia tale rifiuto,tenuto conto del ritardo di soli venti giorni circa e della circostanza che il 9.7 erano stati sollecitamente acquistati i materiali utilizzando una parte non irrilevante del corrispettivo appena ricevuto, non era stato in alcun modo giustificato, nè plausibili ragioni al riguardo erano rilevabili dalla lettera del 3.8, nella quale si contestava “pretestuosamente” un ritardo ancora maggiore di quello assunto nell’atto di citazione, facendo risalire la stipula al febbraio e la data concordata per l’inizio dei lavori a “qualche settimana” successiva, nè era stata infine,addotta alcuna prova, scritta o orale, di eventuali sollecitazioni al rispetto della data d’inizio,significative del particolare interesse della committente al riguardo;

c) conseguentemente, esclusa la sussistenza di un inadempimento di non scarsa importanza, il recesso epistolare citato era da considerare ad nutum, ex art. 1671 c.c., come tale determinante l’obbligazione della committente di tenere indenne l’appaltatore dalle spese, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno;

d) a tal ultimo proposito,essendo pacifico che i lavori non fossero stati iniziati, e in mancanza di pretese per lucro cessante, all’appaltatrice andava riconosciuto il solo rimborso delle spese per l’acquisto di materiali, documentato nella limitata misura di un acconto di L. 3.000.000 versato ad una ditta fornitrice,senza anche provare di aver dovuto saldare il resto della fornitura, somma che andava pertanto detratta da quella dovuta in restituzione all’attrice.

Contro l’anzidetta sentenza hanno proposto ricorso principale, deducente due motivi, la FAMA Immobili s.as. e la F., cui ha resistito la B. con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c., va esaminato con precedenza quello incidentale, per ragioni di priorità logica – giuridica. Nell’unico motivo d’impugnazione la B. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455 e 1457 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, dolendosi del rigetto della propria domanda di risoluzione dell’appalto per inadempimento della controparte, che si sarebbe in particolare resa inosservante del termine essenziale; questo avrebbe dovuto nella specie ravvisarsi, come correttamente lo era stato dal primo giudice, tenuto conto delle risultanze istruttorie, inadeguatamente valutate da quelli appello, e del pregnante interesse della committente ad ottenere la prestazione nei tempi previsti, obbligazione della quale l’appaltatrice si sarebbe resa inosservante, limitandosi a chiedere, pur a fronte dei reiterati inviti della deducente ad iniziare i lavori, dei differimenti. L’impugnazione va respinta, poichè si limita ad esporre, sulla base di una propria versione dei fatti, censure di puro merito, che seppur corredate, in via astratta e teorica, dalla citazione di correnti principi giurisprudenziali in tema di inadempimento ed essenzialità del termine, tuttavia non evidenziano concreti profili di inosservanza degli stessi o di malgoverno delle richiamate nome civilistiche, nè vizi testuali dell’apparato argomentativo della decisione impugnata si risolvono nel palese tentativo di accreditare una diversa valutazione delle risultanze processuali, testimoniali e documentali, il cui richiamo risulta, oltretutto, anche inosservante all’onere dell’autosufficienza, non riportandone i testuali contenuti. Non oggetto di specifiche censure, peraltro, risultano le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, con le quali, da una parte, si stigmatizza la pretestuosità delle ragioni del rifiuto di ricevere la prestazione esposte nella lettera del 3.8.93, dall’altra si osserva come un particolare interesse della committente al rispetto della data di inizio delle opere avrebbe dato luogo a diffide scritte o sollecitazioni verbali da parte della committente, delle quali, tuttavia, nessuna prova era stata fornita; ed a tale ultimo proposito la ricorrente si limita, come si è già rilevato, a mere affermazioni, prive di riscontro probatorio.

Passando al ricorso principale,ne vanno congiuntamente esaminati, per la stretta connessione, i due motivi, rispettivamente deducenti violazione degli artt. 1671, 1218, 1223, 1226, 2056 c.c., degli art. 112, 115 c.p.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con entrambi i quali si lamenta il contenimento del ristoro economico accordato alla società appaltatrice, in conseguenza del recesso della committente ex art. 1617 c.c., nella somma di L. 3.000.000) ritenuta riduttiva e non corrispondente agli effettivi pregiudizi economici subiti per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto.

Premesso che le conseguenze,sul piano della responsabilità indennitaria ex art. 1671 c.c. farebbero per il committente recedente equivalenti a quelle per inadempimento, comportanti il completo ristoro di tutti i pregiudizi economici subiti sia per danno emergente, sia per lucro cessante le ricorrenti si dolgono, in particolare, che la corte di merito avrebbe anzitutto omesso di riconoscere all’appaltatrice, oltre alla somma suddetta, corrispondente alla prima rata del prezzo di acquisto dei materiali da costruzione, anche il relativo saldo, sul prezzo complessivo di L. 21.891.475, sul cui pagamento non vi erano state contestazioni, per di più ignorando una prodotta fattura, comprovante l’ulteriore esborso di L. 8.941.883. Anche ingiustificata, a fronte dell’avvenuta produzione del “documento n. 9 allegato all’atto di citazione”, sarebbe stata la mancata attribuzione della somma di L. 29.400.000, per n. 98 mensilità di canone per deposito dei materiali acquistati e non utilizzati. Pertanto i complessivi esborsi sopportati dall’appaltatrice in conseguenza del recesso,che comunque ed in subordine i giudici ben avrebbero potuto determinare in via equitativa, sarebbero stati in ogni caso superiori all’importo dell’acconto versato dalla committente. Del tutto ingiustificato, infine, sarebbe stato l’omesso indennizzo del mancato guadagno, che, contrariamente a quanto assunto dalla corte di merito, era stato richiesto in sede di gravame e quantificato in misura di L. 23.000.000, pari alla differenza tra l’ammontare pattuito del corrispettivo e quello presuntivo delle spese necessarie alla realizzazione dell’opera, e che comunque avrebbe potuto essere liquidato in via equitativa. Le censure, fondate sotto il primo dei dedotti profili, vanno accolte in tali limiti. Il contenimento del rimborso dovuto all’appaltatrice, nei soli limiti della prima rata versata alla ditta fornitrice dei materiali da costruzione, che avrebbero dovuto essere impiegati per l’esecuzione dell’opera commessale, non risulta giustificato.

L’acquirente si era infatti impegnata per il pagamento di una somma superiore, corrispondente al prezzo della fatturata fornitura, mentre la circostanza che, secondo una diffusa prassi commerciale, il relativo pagamento fosse stato dilazionato, non poteva di per sè sola esimere la committente dal tenere indenne, nell’ambito della responsabilità prevista dall’art. 1671 c.c., l’appaltatrice dall’obbligazione che quest’ultima aveva assunto in vista dell’esecuzione del contratto,poi oggetto di recesso ad nutum.

Tenuto conto che la disposizione in esame assicura, non diversamente da quanto previsto per i casi di inadempimento, all’incolpevole appaltatore il ristoro di tutti i pregiudizi economici, subiti per effetto del recesso esercitato dal committente, anche l’assunzione di una obbligazione, che comunque aveva inciso negativamente sul patrimonio del suddetto, avrebbe dovuto essere considerataci la base di una interpretazione estensiva del dettato normativo coerente alla suddetta ratio, alla stregua di vera e propria “spesa”, dovendo presumersi, salvo circostanze eccezionali (quali il ritiro, totale o parziale, della merce da parte della fornitrice), nella specie non provate, che il medesimo non avrebbe potuto sottrarsi all’integrale pagamento della fornitura.

Pertanto il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere un indennizzo pari all’importo del prezzo delle merci che, secondo la documentazione fornitala società FAMA aveva acquistato in vista dell’esecuzione dei lavori, impegnandosi al relativo pagamento.

Sotto i rimanenti profili il ricorso va disatteso, per inammissibilità delle relative doglianze, considerato:

a) quanto alle assunte spese per il deposito dei materiali, che la censura, corredata soltanto da un generico richiamo ad un non meglio precisato “documento n. 9” (di cui non vengono riportati lo specifico contenuto, la provenienza e la precisa causale) difetta di autosufficienza; b) che la richiesta di indennizzo per mancato guadagno, come si rileva dal contenuto dell’atto di appello (esaminabile in questa sede, in ragione della natura processuale del rilievo), non risulta proposta in sede di gravame, sicchè, quand’anche lo fosse stata nell’ambito del giudizio di primo grado, la mancanza di una specifica doglianza al riguardo non ne consentiva al giudici di appello il riesame.

Conclusivamente, accolto in parte il ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata nei limiti della fondata censura,con rinvio per nuovo esame ad altra sezione delle corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi,accoglie nei limiti di cui in motivazione quello principale, rigetta l’incidentale, cassa la sentenza impugnata relativamente all’accolta censura e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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