Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12237 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. II, 06/06/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 06/06/2011), n.12237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2, presso lo studio dell’avvocato GRISOSTOMI

TRAVAGLINI LORENZO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VALENTINI SIMEONE;

– ricorrente –

contro

I.Q. C.F. (OMISSIS), C.M.P.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BOEZIO 14, presso lo studio dell’avvocato MARSILI FELICIANGELI

ANDREA, rappresentati e difesi dall’avvocato MASSUCCI WALTER;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 114/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato Grisostomi Travaglini Lorenzo difensore del

ricorrente che si riporta agli atti depositati;

udito l’Avv. Nazzareno Ciarrocchi con delega depositata in udienza

dell’Avv. Massucci Walter difensore dei resistenti che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, con atto di citazione notificato il 14-3-1996, M.M. conveniva in giudizio i coniugi Q.I. e C.M.P. per sentir dichiarare che questi ultimi si erano illegittimamente impossessati di una porzione di terreno con costruzione di un muro a distanza dal confine inferiore a quella legale, e ottenere di conseguenza la condanna dei convenuti al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento danni.

Con sentenza del 28-10-1999 il Tribunale rigettava la domanda, rilevando che la particella n. 210, reclamata dal M. come di sua esclusiva proprietà, era stata acquistata da Comune a seguito di accessione invertita, per effetto dei lavori di ampliamento della sede della strada (OMISSIS), eseguiti con l’autorizzazione dei proprietari confinanti.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza depositata il 12-3-2005, rigettava l’appello proposto dall’attore.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il M., sulla base di due motivi.

L’ I. e la C. resistono con controricorso.

In prossimità dell’udienza i ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 62 c.p.c. Deduce che la Corte di Appello ha fondato la sua decisione esclusivamente sulle affermazioni rese dal consulente tecnico d’ufficio, secondo cui il Comune di Monterinaldo nel 1973 ha effettuato dei lavori di ampliamento della strada comunale (OMISSIS), la cui sede è stata allargata sino ad incorporare tutta la particella 210 già di proprietà dell’attore. Rileva che nella stessa sentenza si da atto che il consulente è pervenuto a tali conclusioni raffrontando l’attuale tracciato della strada (OMISSIS) con quello, più esiguo, risultante dalla mappa catastale; e che il perito ha riscontrato che il Comune ha proceduto all’acquisizione della proprietà della particella 210 sulla base di una dichiarazione datata 6-3-1973, con la quale il M. ed altri confinanti si impegnavano a cedere al Comune di Monterinaldo le porzioni di terreno che fosse necessario incorporare per la sistemazione della strada. Assume che nella specie l’intervento dei C.T.U. si è sostanziato in vere e proprie considerazioni giuridiche esulanti dal compito ad esso affidato dalla legge, e che la Corte territoriale ha aderito acriticamente alla posizione del consulente, senza fornire un’autonoma motivazione e senza confrontarsi con i principi giuridici attinenti all’acquisto della proprietà immobiliare. Sostiene, inoltre, che la Corte di Appello ha ignorato le risultanze della prova testimoniale, dalla quale risulta che il tracciato della strada (OMISSIS) è rimasto invariato nel tempo.

Deduce che le affermazioni contenute nella sentenza impugnata si pongono altresì in contraddizione con la documentazione acquisita, in cui non è traccia di deliberazioni autorizzative di ampliamenti della strada in questione da parte del Comune di Monterinaldo, risultando al contrario in atti le comunicazioni nelle quali tale Comune riconosceva la proprietà della particella 210 in capo all’attore. Il predetto ente, infatti, con dichiarazione del 17-1- 2001, depositata all’udienza del 10-7-2002, invitava il M., “in qualità di proprietario”, a tagliare i rami di alberi insistenti sulla particella in questione; e con comunicazione del 14-11-1995, allegata all’atto di citazione in primo grado, affermava di non aver mai provveduto ad accettare le donazioni del 6-3-1973. Sul punto, secondo il ricorrente, esiste un evidente difetto di motivazione.

Il motivo deve essere disatteso.

Giova rammentare che, secondo un principio più volte affermato da questa Corte, le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per Cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice di merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dall’atto del procedimento di merito – che il ricorrente deve specificamente indicare – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentiti il controllo, ex actis, della relativa veridicità nonchè la valutazione della decisività della questione (Cass. Sez. 1, 31-3- 2006 n. 7696; Cass. 29-9-1998, n. 9711; Cass., Sez. 2, 15 febbraio 2002, n. 2207; Cass., Sez. 2, 12 febbraio 2004, n. 2707).

Nella specie, dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che nei precedenti gradi di giudizio l’attore abbia sollevato specifiche osservazioni in ordine alle risultanze della consulenza tecnica. In omaggio al principio di autosufficienza dei ricorso, pertanto, il M. avrebbe dovuto indicare specificamente i rilievi critici da esso formulati nel giudizio di merito, trascrivendoli per esteso e indicando altresì gli atti del procedimento in cui aveva mosso le sue contestazioni. Nulla di tutto ciò si coglie nel motivo in esame, col quale il ricorrente si è limitato a manifestare le proprie ragioni di dissenso dalle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, recepite nella sentenza impugnata.

Le censure mosse dal ricorrente all’operato del consulente tecnico d’ufficio, pertanto, non possono trovare ingresso in questa sede.

Sotto altro profilo, si osserva che il giudice del merito non è tenuto ad argomentare diffusamente la propria adesione alle conclusioni dei consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o dei loro difensori e consulenti (ovvero tali argomentazioni risultino del tutto aspecifiche), potendosi esso limitare, in tal caso, a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella sua relazione, mentre non può esimersi dall’obbligo di una più puntuale e dettagliata motivazione allorquando i rilievi mossi alla consulenza risultino specifici, argomentati, e tali da condurre, se riconosciuti come fondati, ad una soluzione affatto diversa rispetto a quella adottata (Cass. 31-3-2006 n. 7696; Cass. 11- 3- 2002 n. 3492; Cass. 20-5- 2005 n. 10666).

Nel caso in esame, come si è rilevato, non risulta che l’odierno ricorrente abbia tempestivamente sollevato in primo grado e riproposto in appello specifiche contestazioni in ordine alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio. Il giudice del gravame, pertanto, non era tenuto a motivare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente, il quale ha accertato, in punto di fatto, che nel 1973 il Comune di Monterinaldo ha effettuato dei lavori di ampliamento della strada vicinale (OMISSIS), la cui sede è stata allargata sino ad incorporare la particella 210 di proprietà dell’attore. Ed è chiaro che la Corte territoriale, nel basare la propria decisione su tale accertamento, ha implicitamente disatteso gli elementi probatori di segno contrario indicati dalla difesa del M..

Quanto alle ulteriori doglianze mosse col motivo in esame, si rileva che, qualora il ricorrente in sede di legittimità denunci l’omessa valutazione di un documento ovvero di una prova testimoniale, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione del documento o di elementi deducibili dal documento, oppure dalla deposizione, che si palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di Cassazione esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito. Nella denuncia di questo vizio, il ricorrente ha dunque l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre il tenore esatto del documento, ovvero della prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua integrità, in modo da permettere siffatta valutazione di decisività, essendo insufficienti i richiami “per relationem” agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili in sede di legittimità (Cass. 28-2-2006 n. 4405; Cass. 16-2-2007 n. 3651).

Nella specie, il ricorrente si è limitato a riportare alcune dichiarazioni rese dai testi escussi, che, in quanto estrapolate dall’intero contesto delle relative deposizioni, non consentono di valutare se le prove non esaminate dalla Corte di Appello rivestano un effettivo carattere di decisività, in quanto idonee ad inficiare la valenza probatoria delle risultanze sulle quali si è formato il convincimento del giudice di merito ed a privare di un valido supporto motivazionale la decisione impugnata. Altrettanto è a dirsi con riferimento alla documentazione richiamata nel motivo in esame, di cui non è stato riprodotto l’intero contenuto.

Deve aggiungersi, con riguardo al dedotto vizio di omessa valutazione di prove documentali, che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 23- 9-2004 n. 19138; Cass. 25-8-2005 n. 18506; Cass. 16-10-2007 n. 21621).

Nei caso in esame, il ricorrente, oltre a non riprodurre l’esatto contenuto dei documenti asseritamente ignorati dalla Corte di Appello, non ha spiegato se e quali argomenti abbia sviluppato in primo e secondo grado per segnalare la loro importanza probatoria.

Anche sotto tale profilo, pertanto, la censura di omessa motivazione difetta del requisito dell’autosufficienza.

2) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1350 e 1327 c.c. e la contraddittorietà della motivazione.

Deduce che la Corte di Appello, facendo proprio il ragionamento seguito dal C.T.U., ha ritenuto che la proprietà della particella 210 sarebbe passata dall’attore al Comune in virtù di una dichiarazione scritta del 1973 e della conseguente esecuzione dei lavori di ampliamento della strada da parte di tale ente. Rileva che, a prescindere dal fatto che non risulta provata l’esecuzione di tali lavori, non si vede come dagli stessi possa farsi derivare, in applicazione del particolare metodo di conclusione del contratto di cui all’art. 1327 c.c. (che si realizza a fronte di una proposta espressa e di una tacita accettazione consistente nel dare inizio alla esecuzione della prestazione da parte dell’oblato), l’effetto traslativo della proprietà, atteso che per la validità dei contratti traslativi di beni immobili è richiesta, ex art. 1350 c.c., la forma scritta ad substantiam. Sostiene, inoltre, che la decisione risulta viziata in relazione all’interpretazione ed alla portata della dichiarazione del 1973. Assume, infatti, che il tenore letterale di tale dichiarazione porta da un lato ad escludere che con la stessa l’attore abbia trasferito la proprietà del terreno al Comune, e dall’altro che le parti abbiano inteso riconnettere l’effetto traslativo alla materiale esecuzione delle opere. Aggiunge che la Corte di Appello non ha considerato che l’attore, a differenza di altri proprietari di fondi posti lungo la strada (OMISSIS), non ha preso parte all’atto notarile di cessione del 7-8-1987; e che in data 3-1-1996 M.S. (padre e dante causa del ricorrente), in considerazione del tempo trascorso senza che i lavori avessero avuto luogo, ha revocato la propria proposta contrattuale di cessione gratuita, impedendo così la conclusione del contratto.

Richiama, ad ulteriore riprova della errata ricostruzione della vicenda da parte della Corte territoriale, la dichiarazione del 14-11- 1995, con la quale il Comune affermava di non aver mai provveduto ad accettare le donazioni del 6-3-1973.

Il motivo è infondato.

E’ vero che nella sentenza impugnata si da atto che “il Comune ha proceduto alla acquisizione della proprietà della particella n. 210 sulla base di una dichiarazione in data 6-3-1973 con la quale il Sig. M. ed altri confinanti si impegnavano a cedere al Comune di Monterinaldo le porzioni di terreno che fosse necessario incorporare per la sistemazione della strada”.

Subito dopo, però, la Corte di Appello ha precisato “che il Comune, a seguito della esecuzione dell’opera pubblica, cioè dell’ampliamento della sede della strada (OMISSIS), è divenuto proprietario di quella particella n. 210 che in precedenza era del M.”.

Orbene, non par dubbio che, al di là dell’apparente disarmonia tra tali affermazioni, la Corte territoriale abbia individuato il titolo di acquisto della proprietà della particella in questione da parte dei Comune nell’esecuzione materiale dell’opera pubblica e, quindi, nell’istituto dell’accessione invertita. E’ evidente, infatti, che il giudice di appello, nel ritenere infondato il gravame e nell’affermare che il Comune “è divenuto proprietario” della particella in questione “a seguito della esecuzione dell’opera pubblica, cioè dell’ampliamento della sede della strada (OMISSIS)”, ha inteso aderire pienamente alle valutazioni espresse dal Tribunale, il quale, come si legge nella parte narrativa della sentenza impugnata, aveva rigettato la domanda attrice proprio sul rilievo che la particella 210, reclamata dal M. come bene di sua esclusiva proprietà, “era stata acquistata dal demanio del Comune, a seguito di accessione invertita”.

Non colgono nel segno, pertanto, le doglianze mosse col motivo in esame, tutte incentrate sull’erroneo presupposto che il giudice territoriale abbia ritenuto attuato il trasferimento della proprietà della particella in contestazione al Comune sulla base della mera proposta effettuata dal M. con dichiarazione scritta del 1973, seguita dall’esecuzione materiale dei lavori.

Il ricorrente, ai contrario, non ha mosso specifiche censure in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’operatività, nei caso di specie, dell’istituto dell’accessione invertita, che, come si è detto, ha costituito l’effettiva ratio decidendi. Egli si è limitato, al riguardo, a porre in dubbio l’effettiva esecuzione dei lavori di ampliamento della sede stradale; ma simili contestazioni, oltre ad essere formulate in termini del tutto generici, si risolvono in inammissibili critiche in ordine agli accertamenti in fatto compiuti dai giudici di merito, non sindacabili in sede di legittimità.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. A tale pronuncia consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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