Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12235 del 09/05/2019

Cassazione civile sez. III, 09/05/2019, (ud. 14/12/2018, dep. 09/05/2019), n.12235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22725-2017 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del curatore e legale

rappresentante p.t., Avv. N.A., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA LUDOVISI, 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

LAURO, rappresentata e difesa dagli avvocati SEVERINO NAPPI,

FRANCESCO PERCUOCO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CASALNUOVO DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante

il Sindaco pro tempore Avv. P.M., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 44, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO MANGAZZO, rappresentato e difeso

dall’avvocato TOMMASO PERPETUA giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2988/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con decreto ingiuntivo del 9 maggio 2011, il Tribunale di Nola, su ricorso della società (OMISSIS) S.r.l. ingiungeva al Comune di Casalnuovo di Napoli il pagamento della somma di Euro 944.246,12, oltre agli interessi di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002 per il servizio di igiene prestato nei mesi di luglio-novembre 2009 e febbraio-aprile 2010, oltre che per le spese sopportate per la manutenzione straordinaria e i maggiori oneri del personale dipendente, in base al contratto di appalto stipulato il 3 marzo 2009 e risolto dal Comune di Casalnuovo in data 1 marzo 2010 a seguito della determinazione della Prefettura di Napoli n. 39 del 2010;

con atto di citazione del 28 ottobre 2015 l’amministrazione comunale proponeva opposizione deducendo l’inesistenza del debito nei confronti della appaltatrice e spiegando riconvenzionale per sentir dichiarare l’inadempimento di (OMISSIS) S.r.l. rispetto agli obblighi oggetto del capitolato speciale di appalto e il diritto dell’amministrazione ad applicare le sanzioni previste per l’importo di Euro 88.430, nonchè accertare il diritto dell’amministrazione comunale alla ripetizione delle somme corrisposte per il pagamento degli stipendi dei lavoratori di (OMISSIS) S.r.l. sino all’importo di Euro 237.000, nonchè dichiarare l’obbligo dell’opposta di corrispondere l’importo di Euro 2.195.000 pari al 10% del valore del contratto, a titolo di penale, come previsto all’art. 9 del contratto, oltre interessi e rivalutazione;

si costituiva (OMISSIS) S.r.l. chiedendo il rigetto dell’opposizione e delle domande riconvenzionali. Nelle more del giudizio il Tribunale di Avellino con sentenza n. 24 del 2014 dichiarava il fallimento di (OMISSIS) S.r.l. Riassunta la causa dall’amministrazione comunale si costituiva la curatela che faceva proprie le difese già avanzate dalla società;

con sentenza del 15 luglio 2015 il Tribunale di Nola accoglieva l’opposizione, dichiarava nullo il decreto ingiuntivo ed improcedibili le domande riconvenzionali spiegate dal Comune, rigettando la domanda di pagamento proposta dal fallimento (OMISSIS) S.r.l., compensando le spese;

il Tribunale riteneva nulla la procura rilasciata a margine del ricorso per decreto ingiuntivo, dichiarava l’improcedibilità nei confronti del sopravvenuto fallimento della società, delle domande proposte dal Comune di Casalnuovo attesa l’esclusività dell’accertamento del passivo in sede fallimentare, qualificava come eccezioni di compensazione le pretese fatte valere in via riconvenzionale, in quanto tali ammissibili ai sensi della L. Fall., art. 56 e fondate parzialmente;

avverso tale decisione la curatela del fallimento (OMISSIS) S.r.l. opponeva appello con atto di citazione del 12 febbraio 2016. Si costituiva il Comune chiedendo il rigetto del gravame proponendo appello incidentale per l’accertamento del diritto dell’amministrazione comunale alla ripetizione delle somme corrisposte per il pagamento degli stipendi, per la dichiarazione del diritto ad ottenere la compensazione, nei confronti del fallimento, in relazione a quanto dovuto dal Comune di Casalnuovo per le medesime ragioni, per la somma di Euro 237.000, oltre interessi e rivalutazione e per la somma di Euro 2.195.111 pari al 10% del valore del contratto, a titolo di penale. Insisteva per l’accoglimento dell’appello incidentale e per l’accertamento dell’inadempimento di (OMISSIS) S.r.l. e del diritto del Comune ad opporre in compensazione importo di Euro 88.430 pari a quanto dovuto alla amministrazione per il pagamento delle sanzioni;

con sentenza del 28 giugno 2017 la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello principale proposto dal curatore del fallimento e dichiarava assorbito quello incidentale avanzato dal Comune di Casalnuovo, provvedendo sulle spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il curatore del fallimento della società (OMISSIS) S.r.l. affidandosi a quattro motivi che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c. Resiste in giudizio con controricorso il Comune di Casalnuovo di Napoli che illustra con memoria ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione della L. Fall., artt. 56 e 93 e dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1243 c.c., oltre all’omesso esame di un punto decisivo, con motivazione apparente circa un fatto controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 Per i medesimi crediti opposti in compensazione nel presente giudizio penderebbe altro procedimento in sede di legittimità proposto dal Comune avverso il decreto del Tribunale di Avellino, sezione fallimentare, che in sede di opposizione allo stato passivo del fallimento (OMISSIS) S.r.l. aveva rigettato la domanda di ammissione allo stato passivo, tra l’altro con riferimento alle somme corrisposte dal Comune per il pagamento degli stipendi e a titolo di penale, ai sensi del dell’art. 9 del contratto. Conseguentemente si profilerebbe un contrasto fra giudicati perchè al Comune sarebbero stati riconosciuti, seppure in via di eccezione riconvenzionale, crediti, al contrario, esclusi nell’altro procedimento;

tali elementi costituirebbero idoneo riscontro alla errata valutazione della Corte territoriale che, con motivazione solo formale, ha preferito uno dei due filoni giurisprudenziali menzionati in decisione;

al contrario, occorrerebbe muovere dalla premessa giuridica riscontrata da costante orientamento giurisprudenziale secondo cui è inammissibile la domanda riconvenzionale proposta per il riconoscimento di un credito nei confronti del fallimento e anche la mera eccezione di compensazione. Tale assunto trova fondamento nella sentenza della Corte di Cassazione n. 18691 del 2014 che richiama il principio espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 21500 del 21 novembre 2004 che a sua volta si inserisce nel solco di precedenti decisioni (Cass. n. 1065 del 2002 e Cass. n. 11379 del 1998). Tali pronunzie non distinguerebbero tra eccezioni e domande riconvenzionali, ritenendole entrambe inammissibili;

il motivo è infondato. La questione dedotta riguarda la qualificazione dell’azione come domanda (anche riconvenzionale) ovvero quale eccezione (anche riconvenzionale), modulandosi diversamente gli ambiti della tutela richiesta e il petitum sostanziale conseguibile. Ne è riprova quanto da questa Corte affermato proprio nella materia in esame (Sez. 3, Sentenza n. 25609 del 21/12/2015, Rv. 638194 – 01), distinguendo tra eccezione e domanda riconvenzionale del creditore che si trovi ad essere anche debitore del fallito. A tal riguardo si è, infatti, enunciato il principio per cui, nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dalla L. Fall., artt. 93 e ss., atteso che tale eccezione – diversamente dalla corrispondente domanda riconvenzionale, il cui petitum riguarda, invece, una pronuncia idonea al giudicato a sè favorevole, di accertamento o di condanna all’importo in tesi spettante alla medesima parte, una volta operata la compensazione – è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed ad ottenerne il rigetto, totale o parziale (Cass., 7 giugno 2013, n. 14418);

con l’ulteriore precisazione – che dà contezza degli effetti rilevanti di una tale distinzione (nella specie assunti correttamente dal giudice di appello) che, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, ove il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, una siffatta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi della L. Fall., artt. 93 e ss., deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria (Cass., Sez. Un., 12 novembre 2004, n. 21499);

la Corte intende dare continuità a tale orientamento secondo cui nel giudizio promosso dalla curatela per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto può eccepire in compensazione, in via riconvenzionale, l’esistenza di un proprio controcredito verso il fallimento, non operando al riguardo il rito speciale per l’accertamento del passivo previsto dalla L. Fall., artt. 93 e ss., e la relativa “vis attractiva” atteso che tale eccezione è diretta esclusivamente a neutralizzare la domanda attrice ed ad ottenerne il rigetto, totale o parziale (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 30298 del 18/12/2017 e Sez. 1, Sentenza n. 14418 del 07/06/2013, Rv. 626598 – 01, già citata).

va ribadito, infatti, che il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle pronunce 21499/2004 e 21500/2004 (seguita dalle successive pronunce delle sezioni semplici, nn. 453/05, 17749/09, 73/2012) opera per le domande riconvenzionali e non trova applicazione nel diverso caso dell’eccezione riconvenzionale, sollevata nel caso (in questi termini, anche se non con riferimento alla materia fallimentare, Cass. 25 ottobre 2016 numero 21472; Cass. 13 giugno 2013 n. 14852; Cass. 19 maggio 2015, n. 10206, mentre specificamente in ordine alla esclusione della “vis attractiva”, Cass. 14 luglio 2011 n. 15562; n. 64/2012, n. 287/2009);

va ribadito a riguardo che la distinzione tra domanda ed eccezione riconvenzionale, nella specie, di compensazione, va condotta alla stregua del petitum richiesto (nella prima, la parte intendeva ottenere la pronuncia, idonea al passaggio in giudicato, a sè favorevole di accertamento o di condanna in relazione all’importo in tesi spettante alla medesima parte una volta operata la compensazione; nel secondo caso, la parte intende solo paralizzare la domanda di condanna della controparte, e quindi che nulla spetta a questa o che le spetta la somma decurtata del controcredito), mentre non incide la “compiutezza” dell’accertamento, non richiesto dalla parte con efficacia di giudicato, e che in ogni caso, non potrebbe che essere “pieno” nel giudizio ordinario di cognizione, anche se incidentale, non configurandosi a riguardo la sommarietà della cognizione, propria di altri tipi di procedimenti;

nel caso di specie la Corte territoriale aveva rilevato che dalle risultanze processuali emergeva che l’amministrazione comunale, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, aveva dedotto entrambe le questioni, chiedendo l’accertamento dell’inesistenza del debito della amministrazione, con riferimento a tre specifiche voci creditorie (la penale per la mancata manutenzione della strada, la risoluzione del contratto per infiltrazioni mafiose e conseguente penale nella misura del 10% dell’importo del contratto, nonchè il controcredito relativo alle somme erogate in favore dei dipendenti per differenze retributive). Ma aveva anche formulato una eccezione riconvenzionale, rilevando l’inadempimento della controparte e il diritto alla ripetizione delle somme. Nello specifico, la Corte territoriale ha precisato che la prima difesa doveva correttamente qualificarsi come eccezione riconvenzionale di compensazione, perchè con essa l’amministrazione esercitava una semplice modalità difensiva tesa ad ottenere la dichiarazione di inesistenza del debito;

ciò posto, appare condivisibile la valutazione della Corte territoriale in ordine alla ammissibilità dell’eccezione di compensazione, ai sensi della L. Fall., art. 56, come interpretato dalla giurisprudenza. Ed infatti, come ritenuto, tra le ultime, nella pronuncia di questa Corte n. 10025/2010 (e conforme la successiva 18915/2010), la disposizione contenuta nella L. Fall., art. 56 rappresenta una deroga al concorso, a favore dei soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte; le stesse esigenze poste a base della citata norma giustificano l’ammissibilità anche della compensazione giudiziale nel fallimento, per la cui operatività è necessario che i requisiti dell’art. 1243 c.c. ricorrano da ambedue i lati e sussistano al momento della pronuncia, quando la compensazione viene eccepita;

l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purchè sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo;

nel caso di specie la Corte territoriale, correttamente richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, ha individuato il criterio distintivo nelle conseguenze giuridiche che la parte intendeva ottenere, precisando che quell’istanza era rientrava nell’ambito dell’attività difensiva, eventualmente ampliando la sfera di cognizione del giudice, senza alcuna domanda di un provvedimento positivo che attribuisse autonomamente una determinata utilità;

con il secondo motivo si deducono i medesimi vizi oggetto della precedente doglianza relativamente alla valutazione della Corte d’Appello secondo cui il Comune in primo grado avrebbe formulato sia una eccezione riconvenzionale di compensazione, che una domanda riconvenzionale. Al contrario, il Comune, nell’atto di opposizione e nel successivo ricorso per riassunzione, avrebbe soltanto spiegato una domanda riconvenzionale, proponendo istanze istruttorie e conclusioni in tal senso. Solo a seguito dell’eccezione di inammissibilità proposta da (OMISSIS) S.r.l., a seguito del fallimento della stessa, il Comune avrebbe aggiustato il tiro, precisando di avere formulato anche mere eccezioni riconvenzionali;

il motivo è inammissibile poichè non decisivo. In particolare, la Corte territoriale con riferimento a tale questione ha adottato due autonome argomentazioni, ognuna idonea a supportare la tesi della sussistenza di elementi documentali e istruttori idonei a paralizzare la pretesa monitoria di (OMISSIS) S.r.l;

in particolare, con una prima argomentazione ha interpretato le istanze proposte dall’amministrazione comunale rilevando che sin dal primo grado era stata spiegata, sia una domanda riconvenzionale per la risoluzione del contratto, l’applicazione delle penali e l’accertamento del controcredito relativo alle somme erogate ai dipendenti della società per differenze retributive, sia l’eccezione riconvenzionale di compensazione con riferimento ai medesimi crediti (pagina 4 e 5 della sentenza);

con la seconda argomentazione ha definito l’eccezione riconvenzionale di compensazione come eccezione cd impropria, che può essere rilevata anche d’ufficio, fondandosi sull’unico rapporto di appalto. Tale secondo profilo non è oggetto di censura da parte del fallimento di (OMISSIS) S.r.l. che con il secondo motivo contrasta soltanto la prima argomentazione rispetto alla quale, pertanto, sussiste difetto di interesse. Infatti, il rilievo ufficioso dei fatti, comunque pacificamente dedotti, al fine di paralizzare la pretesa della opposta, rende irrilevante la questione sollevata dal ricorrente riguardo alla qualificabilità o meno di quelle difese in termini di eccezione di compensazione e anche domanda riconvenzionale, ovvero soltanto domanda riconvenzionale;

con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 324 c.p.c., art. 366 c.p.c., n. 6 art. 2909 c.c., D.Lgs. 28 giugno 2013, n. 76, art. 9, 163 del 12 aprile 2006, del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 29 e dell’art. 1676 c.c., nonchè la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e la violazione del protocollo di legalità del 25 novembre 2008, nonchè del D.P.R. n. 252 del 1998, art. 10 deduce altresì il travisamento del fatto e l’omessa, errata o insufficiente valutazione della prova e la erronea interpretazione del contratto di appalto concluso tra le parti e la motivazione apparente circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La doglianza riguarda l’applicazione della penale pari al 10% del contratto di servizi. Il contratto di appalto è stato stipulato il 3 marzo 2009 e il 25 novembre 2008 il Comune aveva richiesto dalla Prefettura di Napoli il rilascio del provvedimento cautelare antimafia nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. La Prefettura ha trasmesso una informativa negativa, attesa la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Tale informativa è stata impugnata davanti al Tar Campania, che con ordinanza 25 febbraio 2009 ha sospeso il provvedimento, successivamente annullato, con sentenza 23 luglio 2009. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la decisione del giudice amministrativo sarebbe entrata nel merito, confermando che al momento della stipula del contratto (OMISSIS) S.r.l. presentava i requisiti di onorabilità previsti dalla legge. In data 18 febbraio 2010 la Prefettura emetteva una nuova interdittiva antimafia di cui, però, la Corte d’Appello di Napoli non si sarebbe interessata, nonostante il successivo pronunciamento del Tar n. 33 del 10 gennaio 2011 e del Consiglio di Staton. 5014 del 5 sett. 2011;

il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6 relativamente agli effetti del secondo pronunciamento del giudice amministrativo cui la ricorrente accenna senza trascrivere alcun passaggio della decisione e di cui la Corte d’Appello non si occupa;

infatti, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645 – 01);

oltre a ciò, la prima parte del motivo ha ad oggetto una contestazione sull’interpretazione del contenuto della sentenza del Tar Campania n. 4324 del 2009 sebbene la parte non abbia individuato nessuna delle norme in materia di interpretazione che sarebbero state violate. Dedotto in questi termini il motivo è inammissibile. Infatti, l’interpretazione di un atto è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (che nel caso di specie non sono neppure menzionate) mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, come nel caso di specie, nella proposta di una interpretazione diversa;

con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e la omessa pronunzia sul secondo motivo di appello, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. La decisione sarebbe censurabile nella parte in cui omette di considerare la fondatezza del controcredito relativo al pagamento degli stipendi e alle competenze di fine rapporto dei lavoratori della società fallita;

al di là della irrituale deduzione dell’omessa pronunzia con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e non n. 4 c.p.c., la censura è inammissibile perchè la questione è stata ritenuta assorbita dalla Corte d’Appello poichè,in relazione all’eccezione di compensazione, è stata esaminata soltanto la pretesa di maggior importo, di per sè idonea a paralizzare interamente la pretesa dell’opposto;

ne consegue che il ricorso e la richiesta di sospensione del presente giudizio in attesa della definizione di quello avente RG 22766-2016 non possono trovare accoglimento;

le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019

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