Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12233 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. II, 06/06/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 06/06/2011), n.12233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.N.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SANT’AGATONE PAPA 50, presso lo studio dell’avvocato MELE

CATERINA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SCALAMBRINO PASQUALE;

– ricorrente –

contro

F.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato VAIANO

DIEGO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SANTAMARIA BRUNO;

– controricorrente –

e contro

C.F., C.G., F.A., F.

G.F., FO.GI.MA., F.L., tutti in

qualità di eredi di FO.AR., FO.GI. in

proprio ed in qualità di erede di FO.AR. (deceduto il

(OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza n. 371/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato PASQUALE SCALAMBRINO difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato DONELLA RESTA con delega dell’avvocato DIEGO VAIANO

difensore dei resistenti che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 24 febbraio 1997 M. F., Fo.Gi. e Fo.Ar. (in persona del tutore C.F.) convenivano in giudizio davanti alla Pretura di Monza, D.N.D. per ivi sentire condannare il convenuto al rilascio di due porzioni di un terreno sito in (OMISSIS) e contraddistinto dal mappale 152, occupate abusivamente e di cui gli attori dichiaravano di essere comproprietari.

Resisteva D.N. affermando di aver acquistato la proprietà del terreno per usucapione avendolo goduto uti dominus ininterrottamente e pacificamente da oltre ventanni (dal 1967).

Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 1188 del 2002 dichiarava inammissibili le domande degli attori e rigettava la domanda del convenuto. Proponeva appello D.N.D. censurando il rigetto della propria domanda di usucapione. Si costituiva F.M. che chiedeva la riunione con altri appelli proposti da altri occupanti e in via incidentale riproponeva le domande di rilascio e di risarcimento danni. Restavano contumaci Fo.Gi. e Fo.Ar..

La Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 371 del 2005, respingeva l’appello di D.N. ed, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da F.M., condannava D.D. N. a lasciare libero da persone e cose le porzioni di terreno di cui al mappale 152 del catasto terreni di (OMISSIS). A Ragione di questa decisione la Corte territoriale osservava che: a) a dimostrazione di un possesso uti dominus non erano sufficienti le circostanze dedotte e, cioè, di aver recintato il terreno, averlo bonificato e coltivato ad orto piantandovi anche sette alberi da frutto e un pergolato di vite, di averlo chiuso con un cancelletto.

b) Sussistevano, per altro, elementi indiziari univoci e incorrenti che permettevano di affermare l’esistenza di un risalente contratto verbale che concedeva il godimento di singoli e ben definiti appezzamenti contro il pagamento di un canone sostanzialmente simbolico o anche a titolo gratuito, c) Riteneva ammissibili le domande proposte da F.M. e fondata la sua domanda di restituzione del terreno de quo quale conseguenza del rigetto della domanda di usucapione.

La cassazione della sentenza n. 371/2005 della Corte di Appello di Milano è stata chiesta da d.N.D. con ricorso affidato a quattro motivi illustrati con memoria. F.M. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo D.N.D. lamenta la Violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle norme in materia di litisconsorzio necessario e usucapione, ed in particolare dell’art. 102 c.p.c. e dell’art. 1158 cod. civ. art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Il ricorrente chiede se in caso di proposizione di domanda anche riconvenzionale di accertamento di intervento acquisitivo della proprietà per usucapione ex art. 1158 cod. civ. sia necessario il contraddittorio con tutti i soggetti interessati in quanto proprietari dell’immobile asseritamente usucapito vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario. Specifica ancora il ricorrente che nel caso in esame, nonostante risultasse che il terreno era di proprietà di più soggetti, il giudizio di appello si è svolto in assenza dei suddetti proprietari intestatari del terreno.

1.1.= La censura non può essere accolta perchè è priva degli elementi di autosufficienza.

1.2= Questa Corte, preliminarmente, osserva che, nell’ipotesi in cui sia stata richiesta la restituzione di un bene che si ritiene detenuto abusivamente, il convenuto proponga domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva per intervenuta usucapione, dev’essere disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari, ove risulti che esistono più comproprietari non presenti in giudizio, configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile. Ne consegue che, qualora nessuna delle parti provveda all’integrazione del contraddittorio, l’eccezione di estinzione sollevata dal convenuto, ancorchè limitata alla sola domanda riconvenzionale, investe necessariamente l’intero rapporto processuale, e comporta l’estinzione totale del processo. Tuttavia, l’eccezione di difetto del contraddittorio per emessa citazione di un litisconsorte necessario non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione qualora su tale questione sia intervenuto il giudicato, ovvero se il presupposto e gli elementi posti a fondamento di essa non emergano con ogni evidenza dagli atti del processo di merito, non essendo possibile in sede di legittimità valutare nuove prove; o svolgere attività istruttorie.

1.3.= Ora, nell’ipotesi in esame, i documenti che indica il ricorrente non identificano con tutta evidenza che il terreno oggetto di causa fosse in comunione con altri. E’ vero che i documenti indicati si riferiscono al mappale 52, ma, oggetto di causa erano due porzioni del terreno ricompreso in quel mappale (due porzioni che come indica il ricorrente sono di mq. 85 e di mq. 30 facenti parte del mappale (o se si vuole particella 152). Ora,il “facente parte, da un verso sta a significare che il bene oggetto di causa era ben individuato, sia pure all’interno di una stessa particella, tanto è vero che – come ha avuto modo di specificare lo stesso ricorrente- il terreno oggetto di causa era stato recintato e, comunque, non significa che le porzioni di terreno de quo non fossero distinguibili dalle altre parti e come tale integrassero gli estremi di un bene autonomo rispetto alle altre parti della più vasta area (indicata come particella) in cui erano ricomprese. Insomma, per accogliere l’eccezione formulata era necessario che non solo risultasse che vi fossero più proprietari di una stessa particella, ma che la stessa particella non fosse stata frazionata in altrettanti beni singoli ed autonomi.

2.= Con il secondo motivo lo stesso ricorrente lamenta Violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di domanda nuova e causa petendi ed in particolare degli artt. 163, 183, e 189 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in ordine alla domanda e ai fatti nuovi). Art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5.

Secondo il ricorrente, F. avrebbe proposto un atto di citazione per il rilascio di terreno occupato senza titolo e abusivamente e per risarcimento danni senza alcun riferimento ad un pregresso contratto di affitto, mentre nel corso del giudizio avrebbe addotto che la domanda si fondava sul fatto costitutivo di un contratto di affitto. In questo caso – specifica il ricorrente, si dovrebbe ritenere rinunciata la domanda originaria basata sui fatti costitutivi diversi e/o si configurerebbe una inammissibile domanda nuova ed un mutamento inammissibile dei fatti costitutivi del diritta azionato. La Corte territoriale, in definitiva, secondo il ricorrente, avrebbe errato per aver dichiarato l’ammissibilità della domanda come modificata dagli attori, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale.

2.1.= La censura non merita di essere accolta perchè la Corte territoriale ha correttamente e senza alcun vizio logico, identificato la valenza giuridica dei fatti in esame e, al tempo stesso, ha evidenziato le ragioni giuridiche che hanno fondato la decisione.

2.2.= La Corte territoriale, avendo individuato il petitum e la causa petendi in ordine all’azione proposta dai F. ha ritenuto che il contratto di locazione – il fatto addotto – non mutava l’originaria domanda, ma quel fatto assumeva la rilevanza di un eccepito fatto impeditivo della pretesa usucapione. E a ben cedere considerato che il petitum è l’oggetto dell’azione (la parola latina infatti significa “chiesto”) e coincide con ciò che si chiede (quale: che sia l’aspetto che si vuole considerare: il petitum, cosiddetto, immediato, che corrisponde esattamente al provvedimento che si chiede al giudice di emanare, ed il petitum, cosiddetto, mediato, che corrisponde invece al bene della vita oggetto del processo), nel giudizio de quo il petitum non è mai mutato. Come afferma la Corte territoriale, esso è stato sempre rappresentato dalla richiesta di condannare e lasciare libero da persone o cose le porzioni di terreno”. A sua volta considerato che la causa petendi (in latino significa “ragione del domandare”), è la ragione obiettiva sulla quale la domanda si fonda, il titolo su cui si fonda l’azione, ovvero, i fatti costitutivi del diritto sostanziale affermato, neppure la causa petendi è mutata, dato che essa è stata rappresentata dalla abusività dell’occupazione, senza che fosse in qualche modo esposta l’origine storica della situazione qualificata abusiva e senza titolo. Come afferma la Corte territoriale -a parte ogni altra considerazione- l’indicazione ampia contenuta nell’atto di citazione, in ordine alla causa petendi, comunque, consente di ritenere che il fatto dedotto (l’esistenza di un contratto di affitto) sia un’ammissibile chiarificazione ed esplicitazione della domanda proposta con l’atto di citazione.

2.3.= La decisione della Corte territoriale laddove ha escluso che il fatto addotto (il contratto di locazione) integrasse gli estremi di una domanda nuova, dunque, trova la sua ragion d’essere in una motivazione adeguata ponderata e priva di vizi logici.

3.= Con il terzo motivo, il ricorrente, lamenta Violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di possesso, usucapione, locazione – affitto, onere della prova e presunzioni semplici, con particolare riferimento agli artt. 1140, 1141, 1158, 1571, 1615, 2697 e 2729. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla stipula di un contratto di affitto. Art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Avrebbe errato la Corte territoriale, secondo il ricorrente, per avere escluso che la detenzione del terreno de quo non fosse accompagnata dall’animus possidendi. L’elemento dell’animus può essere desunto in via presuntiva dall’elemento del corpus se vi sia stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicchè è allora il convenuto a dimostrare il contrario provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere Soltanto personale. La Corte territoriale sarebbe incorsa, sempre secondo il ricorrente, in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1158 cod. civ., ma anche dell’art. 2729 cod. civ. in quanto presumendosi il possesso in colui che esercita il potere di fatto sulla cosa ed essendo l’animus possidendi insito nell’esercizio di tale potere incombeva sui proprietari attori l’onere di trovare gli atti di tolleranza o i titoli giustificati della detenzione quali: l’affitto, la locazione o il comodato.

3.1.= Tale motivo è infondato e non merita di essere accolto in quanto con esso si censura la valutazione dei fatti di causa svolta dalla Corte territoriale. Come è orientamento di questa Corte, più volte ribadito, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice il diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che ali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (sent n. 7394 del 26/03/2010).

3.2.= Tuttavia, la presunzione di possesso, non può non essere esclusa anche da un atto di riconoscimento della proprietà proveniente dal soggetto che si ritiene possessore. Nell’ipotesi in esame, a ben vedere, D.N.D., nel 1996, aveva sottoscritto una bozza di contratto per la concessione in godimento dell’appezzamento di terreno de quo. Sicchè, anche se quella bozza non si è concretamente tradotta in un contratto definitivo (di comodato o di locazione) non per questo è priva di qualunque rilievo giuridico. Piuttosto, quella bozza in quanto sottoscritta contiene tutti gli elementi di un negozio di accertamento con il quale il D. N. ha riconosciuto la proprietà dei F. sul terreno de quo e, dunque, ha riconosciuto che il suo potere di fatto sul terreno era esercitato in nome del suo possessore e per sua volontà.

3.2.1.= Anche indizi univoci e concordanti, possono escludere quella presunzione di possesso, cioè, l’animus possidendi. Nell’ipotesi in esame, la Corte territoriale ha riscontrato elementi indiziar univoci e concorrenti, espressamente indicati, che valutati e ponderati secondo un iter logico privo di vizi, hanno indotto a ritenere che la relazione materiale tra il bene de quo e il D.N. integrasse gli estremi di una detenzione e non quella di possesso.

3.3.= E’ giusto il caso di osservare che spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente, ma, anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l'”id quod plerumque accidit”, restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico.

4.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di indennità per migliorie apportate dal possessore e del relativo diritto di ritenzione e in particolare degli artt. 1140, 141, 1150, 1152 c.c..

Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in punto di migliorie) Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Avrebbe errato la Corte di appello di Milano, secondo il ricorrente, per aver legato al D.N. il diritto alla corresponsione dell’indennità ex art. 1150 cod. civ. e di ritenere il bene ex art. 1151 cod. civ. sul presupposto che sia mancata a prova del possesso e la prova della sussistenza delle affermate migliorie.

4.1.= La censura è inammissibile perchè postula una valutazione di merito che non può essere compiuta dal Giudice di legittimità.

Tuttavia, in parte, questo motivo, rimane assorbito dal rigetto del primo e secondo motivo nella misura in cui si è escluso che D. N. abbia posseduto il bene di che trattasi. La esclusione del diritto di ritenzione ex art. 1152 cod. civ. è adeguatamente motivato dato che l’ordinanza sindacale, con la quale il Comune rilevava l’esistenza di abusi edilizi e diffidava il D.N. a sgombrare il terreno oggetto di causa, escludeva, con chiarezza, la possibilità di configurare le pretese migliorie.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, secondo il principio della soccombenza, condannato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, così come saranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 1.200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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