Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1223 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. II, 17/01/2019, (ud. 19/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28977/2017 proposto da:

C.R., rappresentato e difeso dagli Avvocati DANIELA

MOCELLA e MARCO MOCELLA, ed elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’Avv. Simona Donati, in ROMA, LUNGOTEVERE PIETRA PAPA

185;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto R.G. 52333/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 15/06/2017;

letta la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/07/2018 dal Cons. Dott. Ubaldo BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex art. 2, depositato in data 6.4.2012, C.R. adiva la Corte d’Appello di Roma per ottenere un’equa riparazione per i danni morali subiti in quanto il processo innanzi al TAR Campania, introdotto con ricorso depositato il 14.9.2000 e concluso con sentenza di primo grado depositata il 13.1.2011, aveva avuto una irragionevole durata.

Si costituiva il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, il quale eccepiva la nullità del ricorso per indeterminatezza e, in subordine, ne chiedeva il rigetto perchè infondato e non provato. In caso di accoglimento della pretesa del ricorrente, chiedeva la dichiarazione di prescrizione e/o riduzione dell’indennizzo richiesto.

La Corte d’Appello di Roma con decreto depositato il 15.6.2017 dichiarava improponibile il ricorso, in quanto proposto oltre il termine di sei mesi della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, decorrente dalla definitività della decisione che concludeva il procedimento presupposto. Nella fattispecie, la sentenza del TAR Campania era stata pubblicata il 13.1.2011 ed era passata in giudicato il 13.7.2011, per cui il termine per proporre ricorso ex L. n. 89 del 2001, scadeva il 1 marzo 2012, tenuto conto anche del periodo di sospensione feriale. Invece, il ricorso suddetto era stato proposto in data 6.4.2012, oltre il termine di decadenza.

Avverso detto decreto C.R. propone ricorso per cassazione sulla base di un motivo; il Ministero intimato non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e segg., con riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte EDU sull’art. 6, par. 1 della CEDU, nonchè sugli artt. 324 e 327 c.p.c., D.Lgs. n. 104 del 2010, artt. 39 e 92, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, giacchè la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che il giudizio presupposto fosse divenuto definitivo in data 13.7.2011, in quanto il termine lungo per impugnare (in assenza di notifica) era quello di un anno dalla pubblicazione della sentenza. Infatti, secondo il ricorrente la novella apportata dalla L. n. 69 del 2009, si applicherebbe a tutti i procedimenti, compresi quelli amministrativi, instaurati dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 4 luglio 2009. Di conseguenza, quando il ricorrente aveva depositato il ricorso in data 6.4.2012 era pienamente nei termini e quindi il ricorso doveva essere accolto.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – E’ principio consolidato che, in tema di equa riparazione, al fine di determinare la sussistenza della condizione per proporre la domanda di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, le sentenze del giudice amministrativo rese in primo grado divengono definitive, in assenza di notificazione, decorsi sei mesi dalla loro pubblicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 92, ove siano state pubblicate dopo l’entrata in vigore del c.p.a., atteso che l’ultrattività della disciplina previgente (e quindi del termine annuale per proporre gravame), disposta dall’art. 2 dell’allegato 3 al codice, vale soltanto per i termini in corso al momento della medesima entrata in vigore della nuova disciplina (Cass. n. 17377 del 2015).

La Corte chiarisce, infatti, che il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 92, prevede che, in difetto della notificazione della sentenza, l’appello si propone entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, mentre l’ultrattività della disciplina previgente (e quindi del termine annuale per proporre impugnazione), disposta dall’art. 2 dell’allegato 3 al medesimo codice, vale “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice”. In questo quadro normativo, l’ultrattività della disciplina previgente (un anno) è prevista non per i processi in corso in primo grado alla data di entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ma, appunto, “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice” per essere già stata pubblicata la sentenza di primo grado e pendente il termine per proporre impugnazione: di conseguenza, alle sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo si applica la nuova disciplina dei termini per le impugnazioni (v. Cass. n. 7326 del 2015; Cass. n. 5299 del 2015; Cass. n. 2575 del 2015e Cass. n. 23373 del 2014).

1.3. – Tale interpretazione, trova riscontro anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, ove pure è stato affermato più volte che l’art. 2 dell’allegato 3 del codice del processo amministrativo (c.p.a.), il quale con norma transitoria dispone che “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice (16.9.2010) continuano a trovare applicazione le norme previgenti” non trova applicazione ai casi in cui il mutamento del termine – come quello c.d. lungo per proporre appello – sia già entrato in vigore anteriormente al deposito della sentenza impugnata. Ciò in quanto già prima dell’entrata in vigore del c.p.a., le norme del c.p.c. si applicavano al giudizio amministrativo in quanto compatibili e salvo non fosse diversamente previsto. Tra dette norme si applicava l’art. 327 c.p.c., che nel testo modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, entrato in vigore il 4.7.2009, prevede per l’impugnazione il termine (non più di un anno, ma) di sei mesi (v. Cons. Stato n. 4055 del 2013; Cons. Stato n. 6646 del 2012 e Cons. Stato 5793 del 2011).

1.4. – Correttamente, dunque, la Corte distrettuale ha motivato l’improponibilità del ricorso rilevando che nel caso in esame la sentenza del TAR Campania, pubblicata il 13.1.2011, era passata in giudicato il 13.7.2011, e che, quindi, l’ulteriore termine (semestrale) per proporre ricorso ex L. n. 89 del 2001, era scaduto il 1.3.2012 (tenuto conto anche del periodo di sospensione feriale), con conseguente tardività del ricorso stesso in quanto depositato il 6.4.2012.

1.5. – Va, infine, rilevato che, seppure la Corte costituzionale con la sopravvenuta sentenza n. 88 del 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 Legge Pinto (per la quale che “(l)a domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”) “nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto”, tuttavia, l’intervenuta declaratoria di incostituzionalità non ha diretta incidenza sulle specifiche questioni proposte dall’odierno ricorso.

2. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese, in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva delle parti intimate non costituite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 11, comma 1-bis, trattandosi di materia esente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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