Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12226 del 19/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 19/05/2010, (ud. 26/03/2010, dep. 19/05/2010), n.12226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ INVENTIO di M. RIMINI e A. FINOCCHIARIO SNC in persona del

legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO PENNISI,

rappresentata e difesa dall’avvocato CACOPARDO SERGIO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (Uffici Centrali Direzione Centrale Normativa e

Contenzioso e Ufficio Locale di Catania) in persona del Direttore

pro-

tempore e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del

Ministro pro-tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 274/2007 della Commissione Tributaria

Regionale di PALERMO – Sezione Staccata di CATANIA del 25.10.07,

depositata il 22/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. MAURIZIO VELARDI.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La società Inventio di M. Rimini e A. Finocchiaro s.n.c. propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (che resistono con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella esattoriale relativa a Iva e accessori, la C.T.R. Sicilia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava il ricorso introduttivo della contribuente, rilevando che il prodromico avviso di accertamento doveva ritenersi tempestivamente notificato il 2 gennaio 2001, essendo festivi i due giorni precedenti.

2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce omessa pronuncia sulla dedotta irritualità della notifica dell’avviso di accertamento) risulta innanzitutto inammissibile.

La ricorrente sostiene che nel ricorso introduttivo era stata dedotta non solo l’intempestività ma anche l’irritualità della notifica del predetto avviso e che, con sentenza successivamente impugnata dall’Ufficio, i primi giudici si limitarono ad affermare l’intempestività di tale notifica. Tanto premesso, deve rilevarsi che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, le questioni ed eccezioni non accolte in primo grado che non siano specificamente riproposte in appello si intendono rinunciate, con la conseguenza che per la configurabilità del dovere dei giudici d’appello di pronunziare su di esse, e quindi della omessa pronuncia, la ricorrente avrebbe dovuto dedurre (peraltro in maniera autosufficiente e depositando a pena di improcedibilità il relativo atto unitamente al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4) di aver riproposto in appello la questione della irritualità della notifica de qua.

Anche il secondo motivo (col quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione) risulta inammissibile. In particolare, quanto alla dedotta violazione di legge, deve rilevarsi l’inadeguata formulazione del quesito, che si presenta generico, privo delle specificazioni necessarie a consentire una risposta idonea a definire la questione controversa, e consistente soltanto nella richiesta alla Corte di accertare puramente e semplicemente se vi sia stata o meno la violazione di alcune norme di legge (v., per l’inammissibilità del ricorso in simili ipotesi, tra le altre, SU n. 18759 del 2008 nonchè cass. n. 19769 e n. 24339 del 2 008), mentre, quanto al dedotto vizio di motivazione, deve rilevarsi che esso attiene, inammissibilmente, alla motivazione in diritto e non all’accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata.

Infine, anche il terzo motivo (col quale si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere i giudici d’appello ritenuto, in difetto di ogni fonte di prova, regolare e valida la notifica dell’avviso di accertamento), deve ritenersi inammissibile, posto che presuppone che vi sia stata una decisione (in ipotesi errata perchè non suffragata da prove) in ordine alla ritualità della notifica suddetta, mentre dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che una simile decisione vi sia stata nè, come sopra rilevato, risulta che i giudici d’appello fossero tenuti a pronunciarsi su tale questione, non emergendo dalla suddetta sentenza (nè essendo stato dedotto dalla ricorrente in questa sede) che essa fu riproposta D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio d legittimità che liquida in Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2010

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