Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12224 del 17/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/05/2017, (ud. 26/10/2016, dep.17/05/2017),  n. 12224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16971-2009 proposto da:

FONDAZIONE CASSA RISPARMIO DI BOLOGNA in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA A. FARNESE 7, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BERLIRI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERA FILIPPI

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

DIREZIONE PROVINCIALE DI BOLOGNA AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 36/2008 della COMM.TRIB.REG. dell’Emilia

Romangna, depositata il 04/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

uditi per il ricorrente gli Avvocati BERLIRI e FILIPPI che hanno

chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MADDALO che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Fondazione Cassa di risparmio di Bologna propone ricorso per cassazione con due motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha negato alla contribuente, per il periodo d’imposta 1 ottobre 1997 – 30 settembre 1998, la spettanza dell’agevolazione, consistente nella riduzione dell’IRPEG alla metà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 6.

Il giudice d’appello, infatti, alla stregua dei criteri base individuati dalla Corte di giustizia e poi dalla Corte di cassazione, ed alla luce dei requisiti, analiticamente esaminati, fissati dal D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153, art. 12 per stabilire quando la fondazione debba qualificarsi come impresa, quando cioè essa costituisca un soggetto solo formalmente separato dall’impresa bancaria – separazione solo formale di cui costituiscono indici (aventi la finalità di far sì che l’agevolazione data all’una delle parti non vada a vantaggio dell’unica impresa complessivamente considerata): l’unità gestionale, determinata dall’ingerenza o, se si vuole, dall’influenza dominante sulla gestione; e l’unità del circuito finanziario, determinata dal reinvestimento degli utili dell’impresa bancaria ovvero dalla non strumentalità dei proventi derivanti dalle partecipazioni al finanziamento delle attività erogative -, ha stabilito non essere sufficienti le prove offerte dalla contribuente per dimostrare la completa estraneità della Fondazione da una ingerenza nella gestione della conferitaria e pertanto da una qualsivoglia attività commerciale.

Secondo la Commissione regionale, “il possesso delle azioni della società bancaria conferitaria che permetta una influenza dominante sulla medesima, il possesso di un’altra rilevantissima partecipazione della holding CAER spa, società finanziaria conferitaria diversa dalla società bancaria conferitaria, la destinazione di una percentuale elevata dell’utile anzichè a finalità di utilità sociale, ad accantonamento a riserva, la mancata indicazione dei proventi derivanti dalla dismissione dalla partecipazione di origine nella banca conferitaria, e la possibilità di svolgere una qualsiasi operazione commerciale portano a concludere che la Fondazione abbia svolto un’attività di tipo commerciale, anche se associata ad una attività istituzionale, e pertanto non abbia diritto di godere delle agevolazioni di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando falsa applicazione del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 la contribuente censura la decisione per avere, in base alle disposizioni contenute nell’articolo in rubrica, ritenuto inapplicabile ad una fondazione bancaria che persegua fini di interesse pubblico e di utilità sociale l’imposta agevolata di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 prima che sia decorso il termine – di quattro anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo stesso, e successivamente posticipato al 31 dicembre 2005 – fissato dal medesimo art. 12 per l’adeguamento dello statuto della fondazione alle previsioni di cui al decreto legislativo in rubrica, a pena della cessazione ex nunc della fruibilità dell’agevolazione in discorso.

Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge la Fondazione critica la sentenza impugnata per avere, in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12 e al D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ritenuto inapplicabile, ad una fondazione bancaria che persegua fini di interesse pubblico e di utilità sociale, l’imposta agevolata di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 “sol perchè risulti, anteriormente al 31 dicembre 2005, in possesso di partecipazioni di controllo della società bancaria conferitaria e di altre partecipazioni azionarie, abbia realizzato proventi patrimoniali di cospicua entità – peraltro quasi integralmente impiegati in attività istituzionali ovvero accantonati a riserva -, ed abbia l’astratta possibilità, di fatto non esercitata, di svolgere attività commerciale”.

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati, sono infondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte “gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12 a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza,educazione, istruzione,studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG; la predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua “ratio” va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette nome. La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, “ex” art. 87, comma 1, lett. c), del T.U.I.R., non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti. Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 cod. civ., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni (Cass., sez. un., 22 gennaio 2009, n. 1576).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

La complessità delle questioni prospettate e l’epoca di formazione dell’orientamento giurisprudenziale di riferimento impongono la compensazione delle spese del giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2017

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