Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12216 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. II, 06/06/2011, (ud. 18/02/2011, dep. 06/06/2011), n.12216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

I.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso dall’Avv. COSIMO FORTUNATO in virtù di procura speciale a

margine del ricorso e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria

della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

A.M.;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Catanzaro

n. 150 del 2009, depositata il 22 aprile 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato ha depositato, in data 7 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “Con la sentenza n. 150 del 2009 (depositata il 22 aprile 2009), la Corte di appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto da I.G. avverso la sentenza del Tribunale di Castrovillari n. 744 dell’11 dicembre 2006 (che veniva, perciò, confermata), con la quale il suddetto I. era stato condannato al rilascio, in favore dell’originaria attrice (poi appellata) A.M. (quale erede di C. V.), dell’appartamento sito in (OMISSIS).

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 28 aprile 2010 e depositato il successivo 17 maggio) lo stesso I.G., articolandolo su quattro motivi.

Con il primo motivo risulta dedotta la violazione dell’art. 803 c.c., e segg., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che si conclude con la seguente sintesi del supposto vizio motivazionale: “la conclusione è che sulla scorta dei fatti siccome riscontrabili negli atti di causa, non esiste alcun elemento, neppure indiziario, idoneo a ricondurre il caso concreto nella astratta fattispecie del comodato”.

Con il secondo motivo viene censurata la sentenza impugnata per assunta violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 77, 100 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza individuare, in esito allo stesso, alcuna specifica sintesi del ritenuto vizio motivazionale.

Con il terzo motivo viene prospettata la violazione degli artt. 2938 e 2935 c.c. e art. 345 c.p.c. (nella formulazione previgente alla L. n. 353 del 1990), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendosi di adempiere al requisito di ammissibilità ex art. 366 bis c.p.c., formulando il seguente interrogativo: “il quesito che, in conclusione, si pone è: nella fattispecie specifica, l’eccezione di prescrizione è stata tempestivamente e correttamente formulata?” Con il quarto motivo risulta dedotta la violazione dell’art. 1158 c.c., e segg., art. 1141 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la cui sintesi si concreta nella seguente asserzione: “in conclusione, pur se tutti gli elementi sembravano sussistere a favore di una declaratoria di proprietà per avvenute usucapione, il giudice propende per una diversa delibazione sulla base di deduzioni prive di riscontro probatorio e fondate su un iter argomentativo disancorato dai fatti stessi non solo per come emersi ma anche per come prospettati dalla medesima parte resistente”.

Sulla scorta dei complessivi motivi formulati viene, infine, invocata la cassazione dell’impugnata sentenza con ogni consequenziale provvedimento.

L’intimata non risulta essersi costituita in questa fase.

Ritiene il relatore che sembrano sussistere, nel caso in questione, i presupposti per dichiarare inammissibile il ricorso con riferimento a tutti i motivi proposti nelle forme del procedimento camerale, per manifesta inosservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie, vertendosi nell’ipotesi di ricorso avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs.).

Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dieta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale, inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, nè può consistere o essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie, poichè una simile interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della suddetta norma codicistica), non può dirsi che il ricorrente si sia attenuto alla rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poichè:

– con riferimento al primo motivo implicante la deduzione di un vizio di motivazione difetta una sintesi propria di detto vizio, ponendosi un generico riferimento all’insussistenza di elementi idonei a ricondurre il caso dedotto in giudizio alla fattispecie del comodato, senza, quindi, porre in risalto, in modo chiaro (ancorchè succinto), in quali aspetti si evidenziava la deficienza del ragionamento logico- giuridico della sentenza impugnata;

– con riguardo al secondo motivo, anch’esso riferito ad un supposto vizio motivazionale, manca del tutto la chiara indicazione, in apposito quadro di sintesi conclusiva, del fatto controverso in relazione al quale si è assunto che la motivazione fosse omessa od insufficiente e anche le ragioni per la quali la supposta insufficienza motivazionale fosse inidonea a supportate la decisione;

– in ordine al terzo motivo, riguardante il vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 3, il quesito di diritto si esprime solo attraverso l’interrogativo sul se l’eccezione di prescrizione fosse stata o meno tempestivamente sollevata, senza alcun’altra specificazione rapportata, ancorchè sinteticamente, ai motivi della fondatezza di tale eccezione in correlazione con la statuizione del giudice di appello;

– in relazione al quarto ed ultimo motivo, riferito a vizio motivazionale, il ricorrente si limita ad evidenziare la diversa delibazione degli elementi probatori da parte del giudice di appello, senza, tuttavia, sottolineare gli aspetti essenziali, ancorchè in modo sintetico, dell’insufficiente o contraddittorio percorso motivazionale seguito dello sviluppo della sentenza impugnata.

Ne consegue che deve considerarsi inammissibile il terzo motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione appare del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009). Così si prospettano altrettanto inammissibili le sintesi dei vizi motivazionali addotti con riguardo al primo e quarto motivo, in cui non risultano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, nè sono indicati i profili di rilevanza di tali fatti, essendosi il ricorrente limitato ad enunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che avrebbe dovuto portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stata omissione) e svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza delle singole censure. Risulta addirittura omessa l’indicazione del necessario requisito ex art. 366 bis c.p.c., con riferimento al secondo motivo.

In definitiva, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c. (nella versione ante L. n. 69 del 2009), potendosi ravvisare l’inammissibilità in toto del ricorso”.

Letta la memoria depositata nell’interesse del ricorrente in prossimità dell’udienza camerale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, non cogliendo nel segno alcuna delle critiche mosse nella memoria difensiva del ricorrente, poichè, alla stregua della rappresentazione delle specifiche argomentazioni riportate nella richiamata relazione, il ricorrente non ha assolto idoneamente all’illustrazione del requisito imposto dall’art. 366 bis c.p.c., per nessuno dei motivi formulati, avendo mancato, per quelli riferiti a vizi motivazionali, di individuare la prescritta sintesi della deficienza del ragionamento logico riconducibile alla sentenza impugnata e risolvendosi, quello involgente una violazione di diritto, in un interrogativo generico e privo di correlazione con la decisione impugnata e dell’evidenziazione del nucleo essenziale dello svolgimento del motivo stesso;

Ritenuto, inoltre, che i motivi 1, 2 e 4, ove intesi a denunziare violazioni di legge, come da intestazione, difettano non solo dei pertinenti quesiti, che devono essere anch’essi plurimi e corrispondenti ciascuno ad ogni singola norma assuntivamente violata, ma altresì dello sviluppo delle ragioni di diritto per le quali si assume la pretesa violazione e, quindi, del requisito della specificità prescritto già dall’art. 366 c.p.c., come costantemente interpretato sul punto della giurisprudenza di legittimità; mentre lo stesso terzo motivo propone un solo quesito, già di per sè inidoneo per quanto in precedenza evidenziato, laddove, siccome articolato su di una pluralità di assunte violazioni di legge, avrebbe dovuto contenere una corrispondente pluralità di quesiti (v.

Cass., SS.UU., 9 marzo 2009, n. 5624);

che, pertanto, i ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza alcuna pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio in difetto della costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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