Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12214 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 453/2019 proposto da:

M.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Ameriga Petrucci

del Foro di Potenza, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 274/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 08/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2020 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 274/2018 pubblicata il 08/05/2018 la Corte d’appello di Potenza ha respinto l’appello proposto da M.S., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale, rilevato che il richiedente aveva dichiarato di essere fuggito dal Gambia perchè affetto da tubercolosi polmonare e per timore di morire a causa di detta malattia, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui alla lett. a) e c), avendo allegato il richiedente solo con il ricorso al Tribunale il collegamento alla situazione del suo Paese, peraltro senza specificare alcuna connessione tra la sua situazione personale e l’esistenza del conflitto armato o la situazione di violenza indiscriminata. La Corte d’appello ha inoltre confermato la statuizione di diniego della protezione umanitaria, in mancanza di prova delle condizioni di salute del richiedente all’attualità, nonostante fosse stata richiesta alla difesa dell’appellante la produzione di certificazione medica aggiornata sulla patologia della tubercolosi polmonare.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Diniego della protezione sussidiaria – Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”. Deduce di aver allegato la situazione di violenza indiscriminata nel suo Paese e di assenza di controllo ed intervento delle autorità statali, come da report internazionali allegati, ma nessun accertamento sulla situazione del Paese era stato compiuto dalla Corte territoriale. Rileva che il collegamento tra la prospettazione individuale del rischio e la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato nel Paese di rimpatrio può non essere diretto e specifico, soprattutto quando la parte richiedente abbia comunque rappresentato e parzialmente documentato la condizione generale del proprio Paese, come nella specie.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Diniego della protezione umanitaria – Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5”. Rileva che, in base a numerose ed accreditate fonti internazionali nel suo Paese le condizioni di vita sono precarie, con riferimento alla compromissione dei diritti umani, alla salute, all’emergenza ambientale e all’alimentazione, e che era stata omessa la valutazione della situazione di vulnerabilità come individuata dalla pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, che richiama, unitamente ad altre pronunce anche di merito.

3. Il primo motivo è fondato.

3.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018 e Cass. n. 9090/2019). Inoltre, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass. n. 14283/2019).

3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha compiuto nessun accertamento istruttorio sulla situazione del Paese ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha motivato la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi affermando che il ricorrente non aveva allegato la connessione tra la sua situazione personale e l’esistenza del conflitto armato o la situazione di violenza indiscriminata.

La Corte d’appello non si è, quindi, attenuta ai principi di diritto suesposti, secondo i quali rileva la sola presenza del civile sul territorio del Paese di rimpatrio, qualora il grado di violenza indiscriminata abbia ivi raggiunto il livello talmente elevato nel senso precisato, e si impone l’attivazione del potere istruttorio ufficioso in ordine all’accertamento di quella situazione, che il richiedente ha allegato nel ricorso di primo grado, come dà atto la Corte territoriale (pag. n. 5 sentenza), quando si è avvalso della difesa tecnica di un avvocato nella selezione delle forme di protezione legali da domandare in giudizio. Non può assumere, di conseguenza, rilevanza alcuna la mancata prospettazione del danno grave collegato alla situazione del Paese da parte del richiedente in sede di audizione dinanzi alla Commissione Territoriale, mancando, peraltro e per quanto si è detto, la necessità di collegare la vicenda personale alla situazione di violenza indiscriminata.

4. Resta assorbito il secondo motivo, che concerne la protezione cd. minore.

5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il primo motivo merita accoglimento, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Potenza, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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