Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12213 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/05/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 08/05/2019), n.12213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9117-2018 proposto da:

V.U., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se medesimo e

dall’Avvocato VESCIO STEFANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ape legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1952/11/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata il 18/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

DELL’ORFANO ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

V.U. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, indicata in epigrafe, che aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia n. 348/2016, la quale aveva respinto l’impugnazione avverso un avviso di accertamento, per IRPEF IRAP ed IVA relativa all’anno 2010;

l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. è inammissibile il primo motivo di ricorso con cui si lamenta “la nullità dell’accertamento” perchè recante sottoscrizione non del Direttore Provinciale, ma di soggetto dalla qualifica sconosciuta;

1.2. come eccepito anche dall’Agenzia in controricorso, il ricorrente non ha dato prova di aver ritualmente sollevato tale doglianza nei gradi di merito;

1.3. è noto, tuttavia, che qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, come nel presente caso, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. Cass. nn. 15430/2018, 23675/2013);

2.1. con il secondo ed il terzo motivo, che possono congiuntamente esaminarsi, in quanto strettamente connessi, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e succ. mod. per avere la CTR affermato la correttezza dell’operato dell’Ufficio che aveva proceduto alle indagini bancarie nei confronti del contribuente, in qualità di professionista autonomo, deducendo, il ricorrente, che con sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 fosse stata eliminata la presunzione legale relativa ai versamenti ed ai prelevamenti su c/c bancari dei professionisti;

2.2. i motivi vanno disattesi considerato che, in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti (cfr. Cass. nn. 29572/2018, 22931/2018);

2.3. la CTR, quindi, laddove ha affermato la legittimità dell’accertamento nei confronti del ricorrente all’esito della verifica sui suoi c/c bancari, ed in particolare a seguito delle “mancate giustificazioni ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, di due versamenti sul conto corrente BNL e di 5 versamenti sul conto corrente Credem” si è attenuta ai principi di diritto dianzi illustrati con conseguente infondatezza delle censure del ricorrente;

3.1. vanno poi disattesi anche il quarto motivo di ricorso, con cui si lamenta l’invalidità dell’avviso di accertamento, relativamente all’IRAP, in quanto emanato prima della scadenza del termine previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12,comma 70, doglianza dichiarata inammissibile dalla CTR in quanto “motivo aggiunto”, ed il quinto motivo di ricorso con cui si censura la sentenza impugnata per aver respinto il motivo di appello relativo ad omessa pronuncia circa l’applicabilità dell’accertamento IRAP al libero professionista, parimenti “in quanto motivo aggiunto non evidenziato nel ricorso introduttivo”;

4.2. le censure vanno disattese in quanto dall’esame deì motivi formulati nel ricorso introduttivo (riportati alle pagg. 7-17 del ricorso in cassazione) non emerge la specifica formulazione di dette doglianze e peraltro, con riguardo alla seconda censura, lo stesso ricorrente afferma che “nel ricorso di primo grado non…(era)… stata illustrata la ragione della specifica contestazione”, ma che ciò era stato poi evidenziato nella memoria illustrativa depositata in data 20.6.2016;

4.3. nel giudizio tributario è, tuttavia, inammissibile la deduzione, nella memoria D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 32, di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento – come nella specie – in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2, (cfr. Cass. nn. 19616/2018, 22662/2014);

5. sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va integralmente respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 -quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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