Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12212 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. lav., 14/06/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5402-2011 proposto da:

M.S., C.F. (OMISSIS), T.V. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. BANTI

34, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA BRUNI, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AVVOCATURA DELLO STATO, c.f. (OMISSIS), in persona dell’Avvocato

Generale pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in

persona del Presidente del Consiglio pro tempore, entrambi

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui uffici domiciliano ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 8732/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/08/2010 R.G.N. 6883/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato BRUNI ANNA MARIA;

udito l’Avvocato VITALE ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Roma (RG 220968/2006) M.S. e T.V., dipendenti della Avvocatura dello Stato e provenienti dai ruoli del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni –

Amministrazione PP.TT., inquadrati nella 5^ qualifica funzionale, poi area B2, con profilo di operatore amministrativo, chiedevano accertarsi, nei confronti della Avvocatura dello Stato e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il proprio diritto all’inquadramento, all’atto del passaggio nei ruoli della Avvocatura dello Stato (nell’ottobre 2001), nella 6^ qualifica, poi area B3, con condanna della amministrazione al pagamento delle relative differenze di retribuzione.

Esponevano che l’inquadramento nella 5^ qualifica funzionale era avvenuto come mera trasposizione della qualifica 5^ rivestita presso la amministrazione di provenienza e lamentavano che non vi era esatta corrispondenza tra l’ordinamento del personale delle Poste e quello dei dipendenti dell’Avvocatura dello Stato:

Il Giudice del Lavoro – con sentenza nr. 8392 del 9 maggio 2008 –

accoglieva la domanda. Sull’appello delle amministrazioni la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 12.11.2009-12.8.2010, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda degli originari ricorrenti.

La Corte territoriale, richiamando,un precedente di questa Corte, rilevava che il passaggio dei dipendenti nei ruoli della avvocatura dello Stato era avvenuto nell’ambito di un procedimento di mobilità volontaria da un soggetto privato – Poste Italiane spa – ad una amministrazione pubblica sulla base del D.P.C.M. 2 ottobre 2001, che stabiliva la equivalenza tra la classificazione di provenienza e quella di destinazione.

La equivalenza degli ordinamenti non poteva essere sottoposta a successiva verifica, in quanto il D.P.C.M. aveva stabilito equivalenze precise e nella procedura di mobilità l’inquadramento contenuto nel suddetto D.P.C.M. era vincolante per il nuovo datore di lavoro.

Sarebbe stata ipotizzabile soltanto la disapplicazione del D.P.C.M. per illegittimità, della quale non si ravvisano i presupposti; a nulla rilevava, invece, il mantenimento del precedente trattamento economico attraverso un assegno ad personam.

Per la Cassazione della sentenza propongono ricorso M.S. e T.V., articolato in due motivi.

Resistono con controricorso l’Avvocatura dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

Preliminarmente si dà atto che le parti ricorrenti hanno introdotto con la memoria ex art. 378 c.p.c. un terzo motivo di ricorso, che appare inammissibile, in quanto tardivo, sicchè di esso non si terrà conto.

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano – ai sensi dell’artr.

360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura investe la statuizione di non sindacabilità della equivalenza degli inquadramenti, fondata dalla Corte di merito sull’assunto che il PDPCM “non si riferisce genericamente ad una qualifica corrispondente ma afferma invece esplicitamente una determinata corrispondenza con una data qualifica funzionale”.

Osservano i ricorrenti che detto assunto è in contrasto con il tenore del D.P.C.M., il cui art. 2 prevede che il personale venga collocato in ruolo “nella posizione economica corrispondente alla categoria di provenienza”; non vi è dunque un transito automatico in una qualifica predeterminata, con conseguente necessità di comparare i compiti svolti presso la amministrazione di provenienza e quelli assegnati presso la nuova amministrazione, come affermato in analoga controversia dalle sezioni Unite di questa Corte (S.U. nr.

22269/2007).

Il fatto non esaminato era dunque costituito dal D.P.C.M. 2 ottobre 2010, art. 2.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., artt. 3 e 36 Cost. e dei principi in materia di parità di trattamento dei lavoratori e di tutela dell’affidamento.

Deducono che qualsiasi processo di mobilità tra amministrazioni diverse doveva assicurare l’equivalenza tra la qualifica e le mansioni di provenienza, da un lato e la qualifica e le mansioni di destinazione, dall’altro, come riconosciuto anche dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza nr. 22269/2007 nonchè dal Consiglio di Stato in un parere reso sul tema.

Espongono che l’ordinamento postale – di cui alle L. n. 101 del 1979 e L. n. 797 del 1981 – prevedeva la organizzazione del personale in due aree funzionali, articolate in otto categorie mentre la carriera ministeriale era articolate in nove qualifiche funzionali, il che escludeva una automatica corrispondenza numerica tra le categorie di inquadramento dei due ruoli e poneva la necessità di una concreta equiparazione.

La 5 categoria del personale della ex Amministrazione PP.TT. era equiparabile alla 6 qualifica funzionale dei ruoli ministeriali.

Rappresentano, inoltre, di essere stati trasferiti presso la Avvocatura dello Stato non sulla base di una procedura volontaria, come affermato nella sentenza, ma sulla base di un pregresso comando o distacco sicchè la dequalificazione operata non poteva essere giustificata da un intervenuto consenso sul nuovo inquadramento.

I motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Il tema oggetto del presente giudizio è stato trattato da plurime pronunzie di questa Corte, da cui si ricavano principi consolidati, ai quali deve in questa sede darsi continuità.

E’ opportuno premettere che la L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10, prevedeva l’applicabilità delle disposizioni sulla mobilità volontaria o concordata tra pubbliche amministrazioni al personale dell’Ente Poste italiane (ente pubblico economico, in quanto tale equiparato ai datori di lavoro privati) in posizione di comando o fuori ruolo presso pubbliche amministrazioni, quale retaggio della precedente posizione dei predetti dipendenti postali di dipendenti da una pubblica amministrazione.

Successivamente la L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 45, comma 10 ha esteso al personale delle Poste Italiane s.p.a. che alla data del 30.9.1998 si trovasse in posizione di comando presso le pubbliche amministrazioni le disposizioni previste dal richiamato L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10, (a condizione che la richiesta di comando fosse stata effettivamente inoltrata entro il 28.2.1998).

La disposizione citata ha dunque esteso al personale della ormai società privata Poste Italiane spa, in posizione di comando presso una pubblica amministrazione, le disposizioni sulla mobilità volontaria e concordata nel pubblico impiego.

Per dare attuazione alla mobilità (cd. volontaria) tra pubbliche amministrazioni, il D.L. n. 163 del 1995, art. 4, comma 2, prevede un decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, previo assenso del dipendente pubblico; nella funzione del Ministro della Funzione Pubblica è poi subentrato il Presidente del Consiglio dei Ministri.

La Corte di merito nella sentenza impugnata si è uniformata all’orientamento, in passato espresso in alcuni arresti di questa Corte, secondo cui la determinazione del futuro inquadramento contenuta nel decreto di trasferimento è vincolante per il nuovo datore di lavoro, anche in funzione di un’adeguata determinazione dei costi; la previsione del provvedimento amministrativo può essere messa in discussione dal lavoratore solo mediante la deduzione di una ragione di illegittimità dello stesso, ai fini della sua disapplicazione (Cass. sez. lav. n. 15931/2006, 24045/2008, 17874/2009, nonchè n. 10721/2010 che dà anche rilievo ostativo all’assenso del lavoratore).

Il suddetto orientamento è stato superato a seguito dei principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 503/2011.

Ivi si è evidenziato che non è rinvenibile un fondamento normativo all’esercizio da parte del Presidente del Consiglio del potere di determinare non solo il trasferimento del lavoratore ma anche la concreta disciplina del rapporto di lavoro, sostituendosi a quanto di competenza dell’amministrazione datrice di lavoro.

La amministrazione subentrante resta invece vincolata dalla circostanza che si è in presenza di un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto di lavoro assimilabile alle ipotesi di cessione del contratto sicchè l’inquadramento del lavoratore deve avvenire sulla base della posizione dal medesimo posseduta nell’ambito della precedente fase del rapporto di lavoro, con la individuazione della posizione ad essa maggiormente corrispondente nel quadro della disciplina, legale e contrattuale, applicabile nella amministrazione di destinazione.

Le pronunzie di questa Corte successive all’arresto delle Sezioni Unite (ex plurimis: Cass. nn. 2422/2016; 12250/2015; 12126/2015;

11923/2015; 11693/2015; 802/2014; 696/2014) hanno costantemente affermato che il trasferimento dall’Ente Poste (ovvero da Poste Italiane spa) alla pubblica amministrazione presso cui il dipendente si trovava comandato (o in posizione di fuori ruolo) integra un’ipotesi di continuità giuridica del rapporto di lavoro con mera novazione soggettiva nel lato datoriale sicchè vige il principio che nel passaggio va in, ogni caso garantita l’equivalenza fra l’inquadramento goduto dal lavoratore nell’ente di provenienza e quello spettantegli presso l’amministrazione di destinazione.

Ne consegue che l’inquadramento del dipendente va individuato in quello maggiormente corrispondente nell’ambito della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’ente “ad quem” alla posizione già posseduta, nella precedente fase del rapporto, presso l’ente di provenienza.

Nelle citate pronunzie è stata altresì ritenuto infondato l’argomento – dedotto dalla amministrazioni odierne controricorrenti – secondo cui il richiamo alle disposizioni sulla mobilità volontaria conterrebbe un rinvio alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 11 (“Gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire anche in deroga all’art. 2103 c.c., comma 2”), evidenziandosi come si tratti di fattispecie assolutamente diversa, inerente il lavoro privato e contenente una autorizzazione alle organizzazioni sindacali a derogare alla citata norma codicistica.

Sicchè, venendo all’esame del primo motivo di ricorso, non rilevava valutare se nel D.P.C.M. 2 ottobre 2001 si fosse inteso attribuire valore meramente descrittivo o, piuttosto, vincolante alle specificazioni relative all’inquadramento dei dipendenti presso l’Avvocatura dello Stato.

In ogni caso, infatti, le specificazioni al riguardo non potevano avere efficacia vincolante, per la assoluta carenza di potere dell’autorità emanante il provvedimento amministrativo. Da ciò la consegue la non decisività dell’ omesso esame da parte della Corte territoriale dei contenuti del D.P.C.M. 2 ottobre 2001, art. 2 ed il rigetto del primo motivo.

Fondato appare, invece, il secondo motivo.

Dalla applicazione dei principi sopra esposti alla fattispecie di causa deriva che i ricorrenti per contestare la correttezza dell’inquadramento loro attribuito datì Avvocatura dello Stato non avrebbero dovuto allegare specifici vizi dell’atto amministrativo –

onde ottenerne la disapplicazione – e che era,invece, sufficiente la deduzione della erroneità dell’inquadramento in relazione alla posizione ricoperta nella precedente fase del rapporto di lavoro e la individuazione della posizione corrispondente secondo la disciplina applicabile nell’ambito dell’amministrazione di destinazione.

La Corte di merito non si è attenuta a tali principi ma, ritenendo vincolante il D.P.C.M. di trasferimento e non allegati vizi di legittimità al fine della sua disapplicazione, non ha compiuto una concreta verifica sulla correttezza dell’inquadramento spettante al lavoratore in base all’individuazione, nel quadro della disciplina applicabile all’amministrazione di destinazione, della qualifica maggiormente corrispondente a quella di inquadramento prima del trasferimento.

La sentenza deve essere pertanto cassata – in accoglimento del secondo motivo – e la causa rinviata ad altro giudice, che si individua nella Corte di appello di Roma in diversa composizione, affinchè provveda ad un nuovo esame dei fatti sulla base del principio di diritto sopra esposto.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente grado.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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