Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12211 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 171/2019 proposto da:

A.C., rappresentato e difeso dall’avvocato Ameriga Petrucci

del Foro di Potenza, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 249/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2020 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 249/2018 pubblicata il 03/05/2018 la Corte d’appello di Potenza ha respinto l’appello proposto da A.C., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza del Tribunale di Potenza che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha rilevato che l’appellante aveva censurato la ricostruzione dei fatti di cui all’ordinanza impugnata solo con riferimento alla situazione di conflitto generata dai miliziani di Boko Haram ed ha rimarcato che le deduzioni dell’appellante erano svincolate dalla sua vicenda personale ed inidonee al riconoscimento del rifugio politico. La Corte territoriale ha, in ogni caso, ritenuto non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per timore di subire ritorsioni dai complici di uno degli assassini che egli aveva contribuito ad assicurare alla giustizia. La Corte d’appello ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della Nigeria e del River State, descritta nel provvedimento impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Diniego della protezione sussidiaria – Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”. Deduce che la motivazione della sentenza impugnata è apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile ed è stata, inoltre, resa in violazione e/o errata applicazione delle seguenti norme di diritto: Art. 1 Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951; Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, art. 25; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; art. 10 Cost.; art. 32 Cost; artt. 2 e 32 Cost.. Censura il ricorrente la valutazione di non credibilità effettuata dalla Corte territoriale, dolendosi della mancanza di approfondimenti istruttori sui fatti allegati e della sua mancata audizione personale in primo grado. Censura la valutazione della situazione del River State e dell’intera Regione del Delta e della condizione di violenza indiscriminata, che non è limitabile solo al Nord-Est del Paese, richiamando informazioni attinte da fonti individuate dallo stesso Giudice, rapporto HRW del 2017 e report del 2016 (pag.n. 11 e 12 ricorso).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Diniego della protezione umanitaria – Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”. Si duole dell’omessa pronuncia, da parte della Corte d’appello, sulla domanda di protezione umanitaria, rilevando che, in base a numerose ed accreditate fonti internazionali in Nigeria e negli Stati del Sud le condizioni di vita sono precarie, con riferimento alla compromissione dei diritti umani, alla salute, all’emergenza ambientale e all’alimentazione, e che era stata omessa la valutazione della situazione di vulnerabilità come individuata dalla pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, che richiama.

3. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

3.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, in tema di ricorso per cassazione, ai fini dell’osservanza di quanto imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata redatta in formato digitale, l’attestazione di conformità della copia analogica predisposta per la Suprema Corte di Cassazione, fintantochè innanzi alla stessa non sia attivato il processo civile telematico, deve essere redatta, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 6 e art. 9, commi 1-bis e 1-ter con apposizione di sottoscrizione autografa, dal difensore (Cass. S.U. n. 10266/2018; Cass. S.U. n. 22438/2018 e Cass. S.U. n. 8312/2019). Poichè il giudizio di legittimità non è ancora inserito nel sistema del PCT, questa Corte si trova, infatti, nell’impossibilità di effettuare la verifica diretta sull’originale nativo digitale (Cass.n. 28473/2017 e Cass. S.U. n. 22438/2018 e Cass. S.U. n. 8312/2019 citate). Inoltre “Il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata – redatta in formato elettronico e sottoscritta digitalmente, e necessariamente inserita nel fascicolo informatico -, priva di attestazione di conformità del difensore D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16 bis, comma 9 bis, convertito dalla L. n. 221 del 2012, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il contro ricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio” (Cass. S.U. n. 8312/2019 citata).

3.2. Nel caso che si sta scrutinando il ricorrente ha depositato una fotocopia della sentenza impugnata, redatta in formato digitale, priva dell’attestazione di conformità. Non si rinviene, infatti, nel fascicolo di parte, nè in quello d’ufficio l’attestazione di conformità della copia analogica della sentenza impugnata effettuata dall’avvocato. Neppure ricorre alcuna delle ipotesi idonee ad impedire la declaratoria di improcedibilità del ricorso, essendo rimasto intimato il Ministero e non avendo il ricorrente proceduto al deposito di rituale asseverazione di conformità entro l’adunanza in camera di consiglio.

4. Nulla deve disporsi circa le spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione del Ministero.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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