Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12211 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. lav., 14/06/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4235-2011 proposto da:

F.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio dell’avvocato

UGO SGUEGLIA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, C.F. (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

e contro

G.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4799/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/09/2010 R.G.N. 8424/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato SGUEGLIA UGO;

udito l’Avvocato VITALE ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Roma dell’1 luglio 2004 F.R., dipendente del Ministero degli Affari Esteri, in servizio nel periodo di causa presso il Consolato Generale di Italia a (OMISSIS), agiva nei confronti del Ministero e del controinteressato G. R. per sentire accertare il proprio diritto a ricoprire dall’i ottobre 2001 il posto-funzione di livello C/2, istituito presso il suddetto Consolato.

Esponeva che la L. n. 266 del 1999, art. 3 aveva previsto la rideterminazione delle dotazioni organiche del Ministero degli affari Esteri in Italia ed all’estero, in correlazione con il previsto percorso di riqualificazione del personale; ella all’esito del corso di riqualificazione era passata dalla posizione economica C1 alla posizione economica C2.

Il Ministero, di intesa con le organizzazioni sindacali (Protocollo del 5 febbraio 2001), aveva previsto di procedere alla rideterminazione per quote annuali dei posti-funzione all’estero, una parte delle quali riservata al personale all’estero riqualificato ma non trasferito. Era inoltre previsto che per ciascuna sede all’estero non potesse essere riqualificato più di un posto-funzione e che se nella stessa sede estera vi fosse più di un funzionario riqualificato il posto corrispondente venisse attribuito al funzionario che godeva di una migliore posizione nella graduatoria finale del concorso.

Assumeva di avere diritto a ricoprire il posto funzione riqualificato presso il Consolato italiano di (OMISSIS), essendo l’unico funzionario C/2 in servizio alla data del 13.8.2001; lamentava che il posto era stato illegittimamente assegnato al sig. G.R., funzionario C/2, che non era in servizio presso il Consolato generale ma presso l’Ambasciata d’Italia, dove era stato trasferito su domanda dal maggio 2001.

Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 4 agosto 2006 nr. 15332, accoglieva la domanda. Con sentenza del 24 maggio-8 settembre 2010 nr. 4799 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello del Ministero, dichiarava inammissibile la domanda proposta da F. R. con il ricorso di primo grado.

La Corte territoriale rilevava che dall’esame della dotazione organica del Consolato generale italiano di (OMISSIS) risultava che il posto ricoperto dal G. era previsto in pianta organica, benchè congelato dall’ottobre 1998.

Il G. aveva presentato domanda di trasferimento presso l’Ambasciata di (OMISSIS) nonchè per uno dei tre posti pubblicati presso il consolato; era stata accolta la domanda, indicata in via prioritaria, di assegnazione All’ambasciata, dove egli aveva preso servizio nel maggio 2001.

In data 27.6.2001 era stato tuttavia trasferito, d’ufficio, presso il Consolato, dove aveva preso possesso già il 23.7.2001 ovvero poco prima della data del 13.8.2001, fissata per la decorrenza degli effetti giuridici della riqualificazione del posto- funzione, necessaria per ottenere gli effetti economici dall’1 ottobre 2001.

Il giudice del primo grado per risolvere il conflitto tra gli aspiranti al posto riqualificato aveva applicato il criterio della anzianità di servizio presso l’ufficio estero, criterio non previsto dal protocollo di Intesa, che riteneva rilevante la graduatoria del concorso, nel quale il G. occupava una posizione poziore.

Un eventuale abuso del Ministero nell’esercizio del suo potere di trasferimento, a beneficio del G., avrebbe potuto dar luogo soltanto ad una presta risarcitoria della F. mentre non si ravvisavano ragioni di nullità del trasferimento disposto.

Per la Cassazione della sentenza ricorre F.R., articolando quattro motivi. Resiste con controricorso il Ministero degli Affari esteri.

G.R. è rimasto intimato.

Diritto

1. Con il primo motivo la parte ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 416 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 1 e segg. dell’accordo decentrato di trasferimento del personale del 5.2.2001 nonchè ai sensi dell’aret.

360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Espone che il Ministero non aveva mai dedotto quale motivo di appello la esistenza in organico del posto poi assegnato al G. ma si era limitato a lamentare che le circostanze su cui la sentenza di primo grado si fondava erano smentite dai documenti (documento nr 8 e nr 9), che venivano prodotti solo nel secondo grado e poi utilizzati dal giudice dell’appello per affermare la previsione del posto in pianta organica.

La produzione dei documenti con l’atto di appello risultava dall’esame del ricorso in appello e del fascicolo della amministrazione (in primo grado erano prodotti i documenti dal numero 1 al numero 6); nella sentenza di primo grado si dava atto del fatto che l’amministrazione non aveva prodotto documenti da cui risultasse la presenza del posto in organico.

La ricorrente censura la sentenza per avere accolto un motivo di appello non dedotto, con conseguente vizio di ultrapetizione e per avere utilizzato documentazione prodotta tardivamente, con conseguente decadenza della parte ai sensi dell’art. 416 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

Poichè possa dedursi utilmente il vizio di ultrapetizione di cui all’articolo 112 cpc è necessario che gli atti sui quali la censura si fonda (nella fattispecie l’atto di appello del Ministero) siano riportati puntualmente e non per riassunto del loro contenuto nel ricorso per cassazione; il potere dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali nella ipotesi di prospettazione di error in procedendo resta infatti condizionato a pena di inammissibilità all’adempimento da parte del ricorrente dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Analogamente in caso di violazione di una norma processuale il ricorrente deve fornire in ricorso la indicazione di tutti gli elementi condizionanti la effettività della violazione dedotta e, nella fattispecie, per quanto esposto nel ricorso, il foliario della produzione del Ministero, la sentenza di primo grado, l’atto di appello.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 8 e ss. dell’accordo decentrato tra il Ministero e le organizzazioni sindacali del 5.2.2001 sui criteri di trasferimento del personale delle aree funzionali; del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 34 e succ. mod. dell’art. 2103 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Espone che secondo la ricostruzione dei fatti effettuata nella sentenza impugnata la procedura di trasferimento del G. si era conclusa con la sua assegnazione all’ambasciata italiana di (OMISSIS) (D.M. 16 maggio 2001, n. 1589) e tuttavia il Ministero lo aveva poco dopo trasferito d’ufficio al consolato generale dello stesso luogo (D.M. 27 giugno 2001, n. 2033).

Deduce che la formula del trasferimento “per esigenze di servizio” indicava tutti i trasferimenti- tanto a domanda che d’ufficio – per quanto disposto dal D.P.R. n. 16 del 1987, art. 34, comma 1 e che pertanto la sentenza, nel punto in cui affermava la esistenza di un trasferimento d’ufficio, era affetta da un vizio di motivazione.

Nelle premesse del trasferimento si faceva riferimento alla “lista ordinaria di pubblicità dell’area funzionale C” ed alla “domanda dell’interessato” ed il dispositivo di trasferimento ignorava del tutto il precedente trasferimento disposto presso l’ambasciata nell’ambito della stessa procedura.

Si trattava, dunque, di un ordinario trasferimento a domanda, con conseguente violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 14 e ss.

dell’accordo sulla mobilità del 5.2.2001.

In particolare nella lista di pubblicità, pubblicata in data 23.2.2001, risultavano tre posti funzione(i numeri 2197,2198 e 2204) presso il consolato di (OMISSIS), che erano stati poi attribuiti ai signori F.G., D.G.M. e B. R. (doc. 4 della produzione del ricorrente nel primo grado).

Al G. era stato attribuito un posto funzione (il nr. 2208) che non era stato pubblicato ed in riferimento al quale egli non aveva presentato domanda.

La Corte d’Appello aveva ritenuto il trasferimento valido, non ravvisando violazione di norma imperativa; risultavano invece violate le disposizioni dell’accordo sulla mobilità ed in particolare l’articolo 8, che prevedeva che i trasferimenti a domanda avvenissero soltanto previa pubblicazione di una lista dei posti funzione da ricoprire all’estero nell’anno successivo.

Il motivo è infondato.

La deduzione dell’errore di diritto per violazione dell’accordo decentrato resta del tutto in conferente rispetto alle statuizioni della sentenza impugnata.

La Corte di merito ha ritenuto essere avvenuto nella fattispecie di causa un trasferimento d’ufficio; rispetto a tale ricostruzione del fatto materiale non è pertinente la censura di violazione delle norme collettive che disciplinano i trasferimenti a domanda.

Il ricorso per cassazione è infatti un mezzo di impugnazione a critica vincolata, il cui oggetto è limitato, da un lato, dalle precise statuizioni della sentenza, dall’altro dagli specifici motivi di impugnazione. Da ciò consegue la inammissibilità di ogni censura che si fondi su una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta in sentenza e più in generale su statuizioni non rinvenibili nella decisione.

Sicchè il motivo deve essere esaminato nei soli limiti del dedotto vizio di motivazione, per errore nella qualificazione del trasferimento come trasferimento d’ufficio invece che come trasferimento a domanda.

Sotto questo aspetto il motivo è infondato.

Per costante giurisprudenza di legittimità l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 – (applicabile ratione temporis in ragione della data di pubblicazione della sentenza d’appello) – non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito.

Nella fattispecie di causa la statuizione della Corte in ordine alla qualificazione del trasferimento del G. come trasferimento d’ufficio è fondata sul rilievo che la sua domanda di trasferimento era stata già esaminata ed accolta per un posto diverso (il consolato di (OMISSIS)) sicchè ormai “aveva esaurito i suoi effetti”.

Tale ratio decidendi non è inficiata dal ricorso, nel quale, piuttosto, si contrappone a tale argomentazione logica una diversa ricostruzione dei fatti, basata sulla lettera del decreto di trasferimento (che neppure è riportato per esteso) e sulla previsione del D.P.R. n. 18 del 1976, art. 34.

In sostanza il ricorrente piuttosto che dedurre la contraddittorietà della motivazione della Corte territoriale – che appare coerente e non affetta da alcun vizio logico – propone a questa Corte una diversa ricostruzione dei fatti di causa, basata sulla valorizzazione di altri elementi istruttori (il contenuto del decreto di trasferimento del G.). In tal modo non denunzia un vizio di legittimità ma chiede un riesame del merito, in questa sede inammissibile.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 34; degli artt. 2103 e 2697 c.c.; dell’art. 112 c.p.c., art. 416 c.p.c., comma 3, art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo del giudizio.

Deduce che, pur a voler considerare il trasferimento del G. come trasferimento d’ufficio, la sentenza sarebbe stata comunque affetta dal vizio di violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto la amministrazione non aveva fornito alcuna prova delle ragioni tecniche, organizzative e produttive del mutamento di sede sicchè il trasferimento avrebbe dovuto essere dichiarato illegittimo.

La sentenza di primo grado correttamente aveva accolto la domanda anche sul rilievo della mancata allegazione da parte della amministrazione della ragione del mutamento di destinazione del G. dall’Ambasciata al Consolato generale di (OMISSIS). Il Ministero nell’atto di costituzione in appello aveva genericamente allegato la esistenza di “notorie esigenze di servizio” e, quanto alla decisione di coprire il posto funzione assegnato al G. (il nr. 2208), si era appellata alla insindacabilità della scelta del datore di lavoro.

Il motivo è infondato.

L’art. 2103 c.c. è norma posta a tutela del dipendente destinatario del trasferimento ove con tale atto egli venga sottoposto ad una modifica unilaterale del contratto di lavoro.

La norma non tutela invece l’interesse dei terzi sicchè gli stessi possono dedurre l’invalidità di un trasferimento rispetto al quale siano controinteressati soltanto allegando la violazione di norme imperative diverse dall’art. 2103 c.c..

A conferma di tale rilievo è sufficiente considerare che qualora il lavoratore aderisca al trasferimento disposto per iniziativa dal datore di lavoro la modifica del contratto di lavoro si produce, comunque, per effetto del sopravvenuto consenso delle parti sicchè diviene superflua ogni indagine circa la legittimità dell’ iniziale esercizio unilaterale del potere del datore di lavoro.

La Corte territoriale non ha ritenuto di ravvisare ragioni di nullità del trasferimento e tale giudizio non può essere contrastato deducendo la violazione dell’art. 2103 c.c..

Correttamente, pertanto, il giudice dell’appello non ha preso in esame le esigenze organizzative sottese al trasferimento, sull’implicito presupposto della loro irrilevanza nella verifica della legittimità dell’atto ed ha affermato la insindacabilità delle scelte del datore di lavoro.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo.

Sotto il profilo dell’errore di diritto la censura investe la statuizione della Corte territoriale nel punto in cui qualifica la domanda proposta dalla F. come domanda di tutela in forma specifica; la ricorrente deduce di avere proposto domanda per la dichiarazione di illegittimità del trasferimento del G. e per la sua disapplicazione e non già di tutela in forma specifica.

Sotto il profilo del vizio di motivazione la ricorrente assume la contraddittorietà del ragionamento logico della Corte territoriale, che da un lato non ravvisava la violazione di norme imperative, dall’altro dava atto di un “anomalo” esercizio del potere di trasferimento d’ufficio in favore del dipendente trasferito, circostanza, questa, che avrebbe dovuto dare luogo alla disapplicazione del provvedimento.

Il motivo è infondato.

Esso ha per presupposto la qualificazione del trasferimento come provvedimento amministrativo, in quanto pone ogni questione in termini di illegittimità e disapplicazione, categorie tipiche dei provvedimenti amministrativi; anche sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione si valorizzano circostanze –

come l’anomalia dell’esercizio del potere – proprie della dottrina amministrativa, come fattispecie sintomatiche dell’eccesso di potere.

Il trasferimento deve invece correttamente qualificarsi, nel regime privatistico del rapporto di lavoro, come atto di esercizio della discrezionalità di diritto privato del datore di lavoro; da ciò consegue:

– sotto un profilo di diritto processuale, che la domanda della F. di immissione nel posto funzione è stata correttamente qualificata come domanda di tutela in forma specifica (in contrapposizione alla domanda di risarcimento del danno);

– quanto alla qualificazione dei fatti, che logicamente il giudice del merito ha rilevato che l’esercizio anomalo del potere (di diritto privato) non configurava una ragione di nullità del trasferimento;

nel diritto privato infatti non sussiste una ipotesi di nullità esattamente corrispondente alla figura dell’eccesso di potere di cui al diritto amministrativo, essendo la nullità riservata alla violazione di norme imperative ed alle altre ipotesi previste dalla legge (art. 1418 c.c.).

Altrettanto correttamente il giudice dell’appello ha poi evocato categorie, come la simulazione, generatrici della nullità dell’atto, che tuttavia ha ritenuto insussistenti nella fattispecie considerata.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti del Ministero costituito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 3.000 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.

Nulla per spese nei confronti di G.R..

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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