Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12211 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 07/05/2021), n.12211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15503/2020 r.g. proposto da:

M.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Martino Benzoni, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Udine via Giusto Muratti.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Trieste, depositato in data

26.3.2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.S., cittadino del Pakistan, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perchè minacciato dai talebani e perchè timoroso di essere ucciso dai militari.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè non erano stati allegati dal ricorrente atti di persecuzione ai suoi danni nè era stato dedotto un rischio individualizzante; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Pakistan, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità.

2. Il decreto, pubblicato il 26.3.2020, è stato impugnato da M.S. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, in ordine al profilo di genuinità dei documenti relativi alla identità, all’appartenenza all’esercito locale dei (OMISSIS), alla sussistenza del reato di diserzione e alle conseguenze della commissione di tale reato.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, commi 3 e 5, 4, 5, 6 e 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, nonchè degli artt. 2 e 3 Cedu, art. 15, par. 3, lett. a e dell’art. 46 par. 3 della direttiva 2013/32, dell’art. 13, par. 3 lettera a della direttiva 2005/85 e dell’art. 4, par. 3 della direttiva 2004783, in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto.

4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e ciò in relazione l’esistenza di un conflitto armato generalizzato ovvero di fenomeni di violenza indiscriminata tali da esporre il ricorrente ad un danno grave ed irreparabile.

5. Il ricorrente propone inoltre un quinto motivo, con il quale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si denuncia la nullità del decreto impugnato per motivazione apparente, con violazione dell’art. 132 c.p.c..

6. Con il sesto motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis e art. 27, commi 1 e 1 bis, nonchè dell’art. 16 della direttiva EU 2013/32/UE, con violazione dei parametri valutativi e interpretativi, violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria, violazione dell’obbligo di congruità della motivazione e erronea interpretazione di disposizione di legge.

7. Il ricorso è fondato nei limiti qui di seguito precisati.

7.1 I primi due motivi di ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente – sono, in realtà, inammissibili.

Lamenta il ricorrente l’omessa valutazione del profilo della genuinità della documentazione esibita da parte del ricorrente, ai fini dello scrutinio della attendibilità del racconto, e ciò con particolare riferimento a quella attestante l’identità del richiedente.

Sul punto, è necessario ricordare che, secondo la giurisprudenza di vertice di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

E’ stato anche precisato sempre dalla giurisprudenza nomofilattica che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, introducendo nell’ordinamento il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, non consente di ritenere che l’omesso esame di elementi istruttori integri, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).

Ciò posto, osserva la Corte che, sulla contestata questione della credibilità del racconto, i giudici del merito si sono espressi con motivazione convincente ed articolata (cfr., amplius, pag. 5 del decreto impugnato), e che le censure proposte dal ricorrente intendono invece sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo scrutinio sulla predetta questione che involge valutazioni sul materiale probatorio che sono invece inibite al giudice di legittimità perchè rimesse all’esclusiva cognizione dei giudici del merito.

Ne discende la declaratoria di complessiva inammissibilità delle doglianze così articolate.

7.2 I terzo motivo è inammissibile.

Osserva il Collegio che, come chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Infatti, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cuì questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nella specie, il Tribunale triestino ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., amplius, fol. 5 del decreto impugnato) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), del vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7.3 Il quarto motivo è invece fondato ed il suo accoglimento, quanto al profilo della mancata consultazione delle fonti informative in relazione alla tutela sussidiaria ex art. 14, lett. c, assorbe l’esame anche dei restanti due motivi.

Sul punto, è utile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019).

Ciò posto, osserva la Corte come le valutazioni del Tribunale in ordine al pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non indicano in alcun modo le fonti informative consultate, con ciò incorrendo la motivazione impugnata nella denunciata violazione di legge.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti il quinto e sesto motivo ed inammissibili il primo, secondo e terzo motivo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

 

 

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