Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1221 del 22/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1221 Anno 2014
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 8106-2008 proposto da:
AMBROFINIM

S.R.L.

07415570154,

in

persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro
tempore SALVATORE MASI, elettivamente domiciliata in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio
dell’avvocato VACCARELLA ROMANO, che la rappresenta e
2013
2111

difende unitamente all’avvocato IUDICA GIOVANNI giusta
procura speciale notarile del Dott. Notaio ALDO
GARGANO in MANDURIA del 6/03/2008 rep. n. 70184;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 22/01/2014

BAYER

S.P.A.

05849130157,

in

persona

del

suo

Amministratore delegato Dott. MAURO CHIASSARINI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAR ROSSO 61 OSTIA, presso lo studio dell’avvocato FERRANTI
ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente

atti;
– controricorrentl

avverso la sentenza n. 3276/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 06/12/2007 R.G.N. 120/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato ROMANO VACCARELLA;
udito l’Avvocato ROBERTO FERRANTI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE EGIDIO MILANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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all’avvocato MILANO GIUSEPPE EGIDIO giusta delega in

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. La Ambrofinim s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Bayer
(già Bayer Italia s.p.a.) avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 6 dicembre
2007, la quale ha rigettato l’appello da essa proposto contro la sentenza resa in primo grado

inter partes dal Tribunale di Milano nell’ottobre del 2003 su due giudizi riuniti, introdotti
il primo nel giugno del 1988 da detta s.r.l. contro l’allora Bayer Italia s.p.a. ed il secondo

da quest’ultima contro la stessa s.r.l. nel settembre del 1994.
§1.1. Con il primo giudizio la Ambrofinim aveva chiesto originariamente dichiararsi
risolti – per essere i loro oggetti erano privi delle qualità essenziali e comunque affetti da
vizi tali da renderli inidonei all’uso cui erano destinati – due distinti contratti di
compravendita, conclusi con due società, poi incorporate dalla convenuta nel 1986, ed
aventi ad oggetto rispettivamente il primo la fornitura di prodotti denominai “fritte” ed il
secondo di fluidificanti per fonderie (denominati SF16), nonché condannarsi la Bayer alla
restituzione del prezzo ed al risarcimento dei danni determinandi in corso di causa e
subordinatamente in via equitativa.
La domanda di risoluzione era stata fondata:
a) in primo luogo sulla circostanza che la merce, trasportata a spese dell’attrice
presso un magazzino di una ditta terza ed assicurata per £. 1.800 milioni, era invendibile,
perché ne era impossibile l’identificazione, in ragione della inidoneità della codificazione
apposta sulle relative bolle di accompagnamento;
b) in secondo luogo, sulla deduzione che, in occasione di un’ispezione nel gennaio
del 1988, l’Amministrazione Provinciale di Alessandria (tramite la USSL) aveva
qualificato la merce come “rifiuti speciali e/o tossici nocivi” ai sensi del d.P.R. n. n. 915

del 1982.
§1.1.1. Alla domanda aveva resistito la Bayer, contestandone la fondatezza quanto al
contratto concernente le “fritte” e deducendo, riguardo a quello relativo all’altra merce, in
via preliminare, che l’attrice era priva di legittimazione sostanziale, in quanto la merce era
stata acquistata da altra società, cioè la Bioanalitica s.r.1., nonché contestando comunque
l’esistenza dell’inadempimento ed anche la quantità della merce oggetto della fornitura.
§1.1.2. Nel corso del giudizio la società attrice e qui ricorrente mutava la domanda da
redibitoria in domanda di accertamento della nullità delle compravendite per illiceità della
causa e dell’oggetto, sul presupposto che la merce avesse natura di “rifiuto” e, dunque, non

fosse commerciabile.
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Est. Cons. Vitffzlele Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

§1.2. Con il secondo giudizio la Bayer aveva convenuto la Ambrofinim per sentir
dichiarare il suo inadempimento e, quindi, pronunciare la risoluzione di un contratto avente
ad oggetto, nella pendenza delle trattative con la Bioanalitica, il ricondizionamento del
– fluidificante, nonché per sentir condannare la convenuta alla restituzione del corrispettivo
ed al risarcimento del danno. Alla domanda la convenuta aveva resistito riproponendo la
prospettazione dell’altro giudizio e svolgendo in via riconvenzionale a sua volta domanda
di risoluzione del contrato e di risarcimento del danno.

§1.3. Il Tribunale meneghino, all’esito dell’istruzione, respingeva le domande della
Ambrofìnim, dichiarava risolto per inadempimento il contratto oggetto della domanda fatta
valere con il secondo giudizio dalla Bayer, e condannava la Ambrofinim alla restituzione
del corrispettivo ed al risarcimento del danno nella misura di E 469.782,41 oltre accessori.
§2. Al ricorso della Ambrofinim contro la sentenza della Corte d’Appello di Milano
ha resistito con controricorso la Bayer s.p.a.
§3. Le parti hanno deposito memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con quello che viene rubricato come “I motivo” si deduce letteralmente:
“violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, .p.c., per omessa pronuncia
sulla domanda di accertamento della natura di rifiuti all’origine delle sostanze in questione;
violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1343, 1344,
1346, 1418, commi 1 e 2, cod. civ, nonché violazione e mancata e/o falsa applicazione
dell’art. 2, commi 1, 2, 4 e 5, dell’art. 3, comma 3, dell’art. 4, dell’art. 13, D.P.R. 10
settembre 1982, n. 915, nonché della deliberazione del Comitato Interministeriale del
27.04.1984 (Disposizioni per la prima applicazione dell’art. 4 del D.P.R. 10.9.82 n. 915,
ecc.), paragrafo 1.2. e Tab. 1.2. (contratti di compravendita della SF16 e di
ricondizionamento e trasporto).”.
L’illustrazione di quello che si vorrebbe essere un primo motivo, o meglio di quelli
che appaiono, in realtà, già nell’intestazione, come due motivi distinti, concernenti l’uno la
violazione della norma del procedimento di cui all’art. 112 c.p.c. e l’altro delle varie norme
del codice civile e delle altre indicate e che a sua volta parrebbe scindersi in due distinte
censure, come evidenzia la preposizione “nonché”, si articola dalla pagina 21 fino alla
pagina 38 del ricorso ed è conclusa dai seguenti quesiti di diritto, indicati sotto la
numerazione da 1. a 4.:
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Est. Cons. Iffae1e Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

<<1. - Se costituisca vizio di omessa pronuncia, in relazione alla domanda di nullità di un contratto perché avente ad oggetto materiale già alla fonte incommerciabile per essere rifiuto, il mancato accertamento dell'origine del materiale medesimo. 2. - Se rientri nella nozione di rifiuto speciale e/o tossico nocivo ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 915/82 un composto caratterizzato da originaria ed estrema variabilità, costituente il residuo del procedimento di abbattimento, mediante insufflazione di carbonato di sodio, dell'acido cloridrico presente nelle emissioni tossiche prodotte dalla fusione di smalti. 3. - Dica altresì la Suprema Corte se osti ai fini della qualificazione come rifiuto ai - sensi dell'art. 2 D.P.R. 915/82 la mera intenzione soggettiva del produttore del materiale appena descritto di rivenderlo a terzi ovvero di pattuire il ricondizionamento e trasporto; dica altresì quale sia la corretta interpretazione della nozione di sostanza abbandonata o destinata all'abbandono, di cui all'art. 2, comma 1, D.P.R. n. 915/1982. 4.- Dica altresì la Suprema Corte se i contratti di compravendita, nonché i contratti di trasporto e ricondizionamento aventi ad oggetto materiale qualificabile come rifiuti speciali o rifiuti tossico nocivi ai sensi dell'art. 2 dp.r. 915/82, e la cui natura sia stata sottaciuta dal produttore stipulante: - siano nulli per illiceità o impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1346, 1418, comma 2, cod civ., e art. 2, D.P.R. 915/82; - ovvero siano nulli per illiceità della causa, ai sensi dell'arte 1343 1418, comma 2, cod civ., in quanto diretti a porre in essere un risultato economico-giuridico incompatibile con l'applicazione delle norme inderogabili di cui agli artt. 3,13, 16 e 18, D.P.R. 915/82; - ovvero siano nulli perché in frode alla legge, giusta gli artt. 1344, 1343 1418, comma 2, cod civ. in quanto diretti a porre in essere un risultato economico-giuridico incompatibile con l'applicazione delle norme inderogabili di cui agli atti del 3,13, 16 e 18, D.P.R. 915/82; -ovvero ancora siano nulli perché in frode alla legge, giusta gli art. 1344, 1343 1418, comma 2, cod. civ. in quanto diretti a porre in essere un risultato economico-giuridico contrario alla ratio degli artt 1, 3, 13, 16, 18, D.P.R. 915/82; - ovvero siano nulli perché contrari a norme imperative ex art. 1418, comma 1, cod. civ., in quanto costituenti il risultato di una delle possibili condotte in violazione degli artt. 3, 13, 16, 18, D.P.R. 915/82.>>.
§1.1. Il Collegio osserva che la molteplicità di quesiti prospettati, pur in mancanza di
una specifica parametrazione ai due motivi che figurano nell’intestazione di quello che
viene definito primo motivo ed all’interno del secondo in cui in realtà esso – come s’è detto
– si struttura, sono, tuttavia, indirettamente riconducibili, per il tramite dei loro riferimenti
normativi, rispettivamente: aa) al motivo di violazione dell’art. 112 quello sub n. 1., alla
censura di violazione delle varie norme del codice civile; bb) e a quelle, evidentemente
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Est. Cons. Raffaele rasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

prospettata in via alternativa – di violazione delle varie norme del d.P.R. n. 915/82 e della
deliberazione evocata nella intestazione i quesiti indicati negli altri numeri, ciascuno
correlato ad una delle violazioni alternative.
Deve, pertanto, escludesi che ricorra la fattispecie di inidoneità del quesito allo scopo
che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato allorquando si prospettano, in
adempimento dell’onere di indicazione del motivo, che esige una enunciazione con cui il
ricorrente indica sommariamente quale fra i vizi di cui al paradigma dell’art. 360 c.p.c.
intende dedurre, una pluralità di vizi, tutti astrattamente abbisognevoli della conclusione

con un quesito di diritto, e poi la complessiva illustrazione si concluda con una pluralità di
quesiti, senza che ciascuno si raccordi ad uno dei motivi risultanti dall’indicazione plurima
con cui l’intestazione del motivo risulti formulata, sì da non porre in condizione di
raccordare ognuno dei quesiti ad uno degli specifici vizi che l’intestazione indichi.
§1.2. Tutti i quesiti, tuttavia, fatta eccezione per il primo, risultano inidonei — alla
stregua del criterio di valutazione della idoneità al raggiungimento dello scopo, applicabile
alla valutazione della forma dell’atto processuale (art. 156, secondo comma, c.p.c.) – ad
assolvere al requisito di ammissibilità del ricorso, di cui all’art. 366-bis c.p.c., norma
abrogata dalla 1. n. 69 del 2009, ma, com’è noto, non solo rimasta ultrattiva per i ricorsi
proposti dopo la data di entrata in vigore della legge stessa contro provvedimenti pubblicati
prima di essa, bensì anche pienamente efficace, secondo il principio tempus regit actum
per i ricorsi già proposti sotto la vigenza della norma stessa, atteso che la sua abrogazione
non fu retroattiva.
La inidoneità a soddisfare il detto requisito discende dalla loro formulazione del tutto
astratta sotto il profilo della mancanza di una pur minima indicazione riassuntiva che li
correli alla vicenda oggetto della lite ed alla motivazione della decisione impugnata, dal
che discende che essi sono privi del requisito della conclusività, necessario perché un
quesito di diritto, secondo i principi generali delle nullità degli atti processuali, fosse
idoneo allo scopo previsto dal legislatore, cioè di far percepire alla Corte di cassazione il
problema giuridico posto dal motivo non già come astratta quaestio iuris, bensì come
quaestio iuris relativa al caso concreto. Poiché il caso concreto che perviene alla Corte di
cassazione è necessariamente individuato dalle coordinate che si muovono tra la fattispecie
concreta oggetto del giudizio di merito e la motivazione della decisione impugnata, è
palese che il quesito doveva essere articolato evidenziando dette coordinate.
§1.2.1. L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo, imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
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Est. Cons. R4ffae Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolveva (come si risolve: Cass. n.
359 del 2005, seguita da numerose conformi ed il cui principio di diritto resta indifferente
alle numerose modifiche legislative in anni successivi apportate alla disciplina del ricorso
per cassazione) in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda
dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e che appunto

dev’essere criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per “concludere”
effettivamente l’illustrazione del motivo e, quindi, per essere idoneo allo scopo, doveva
necessariamente contenere un riferimento riassuntivo al motivo e, quindi, al suo oggetto,
cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse
evidenziato — ancorché succintamente – perché l’interrogativo giuridico astratto era
giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un
quesito che non presentasse questa contenuto era, pertanto, un non-quesito (si veda, in
termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n. 6420 del 2008).
D’altro canto, se si fosse avallata l’idea che un quesito potesse non essere articolato
in modo “conclusivo” nel senso appena indicato, ne sarebbe derivata la conseguenza che al
ricorrente in cassazione sarebbe bastato, per ottemperare al requisito dell’art. 366-bis
prospettare alla fine dell’illustrazione del motivo un quesito purchessia per adempiere al
detto requisito, salvo poi doversi constatare solo a posteriori, cioè tramite la lettura
dell’illustrazione se il quesito nella sua astrattezza risultava pertinente. Il risultato di una
simile interpretazione dell’art. 366-bis sarebbe stato allora quello di vanificare il profilo
funzionale della previsione del quesito, che era rappresentato dall’assicurazione alla Corte
di cassazione della possibilità di un’immediata percezione, pur riassuntiva, della questione
proposta dal motivo e, in ragione dello sforzo tecnico riassuntivo così imposto al
ricorrente, di assicurare che effettivamente il motivo prospettasse una quaestio iuris nella
logica sì dei nn. 1, 2, 3, e 4 dell’art. 360 c.p.c., ma in rapporto con la vicenda oggetto del
giudizio di merito per come sedimentatasi nella decisione impugnata. E ciò quale logica
conseguenza della finalizzazione del ricorso per cassazione alla tutela, oltre che del jus
constitutionis, anche del jus litigatoris.
§1.2.2. E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per
valutare se la formulazione del quesito fosse idonea all’assolvimento della sua funzione
appare perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente
requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e,
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Est. Cons. Raff ele Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

quindi, alla regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del
requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse,
eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione
idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da
tanto l’esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Esigenza, del resto, che non si concretava in una richiesta al ricorrente di assolvere
ad un requisito di contenuto forma dai caratteri indefiniti e, quindi, in una incidenza

sull’effettività del mezzo di impugnazione costituito dal ricorso alla Corte (anche nei
termini del c.d principio di effettività, di cui all’art. 6 della CEDU, che in non diversa guisa
è amminicolo del diritto di azione e di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 e
specificato dall’art. 111 Cost.), atteso che all’effettivo dispiegarsi della difesa tecnica
particolarmente qualificata di cui necessita il ricorrente in Cassazione non poteva essere
d’ostacolo l’onere di formulare quesiti asseritamente conclusivi nei detti sensi. Il che
evidenzia che non risultava fondata la pur apprezzabile e suggestiva critica dottrinale alla
prescrizione del quesito a pena di inammissibilità come requisito di contenuto-forma,
prospettata in ragione dei suoi caratteri non definiti ed affidati alla stessa Corte di
cassazione, sì da porre il ricorrente in una condizione di incertezza nella formulazione del
ricorso sanzionabile in modo irrimediabile. In effetti, sempre considerando la spettanza
della redazione del ricorso per cassazione ad una difesa tecnica particolarmente qualificata,
una volta tenuto conto che ogni prescrizione normativa si presta a dover essere interpretata
per coglierne il significato, l’esegesi del quesito sopra ricordata (tante volte ormai ripetuta)
risultava nient’altro che una “normale” applicazione dell’attività interpretativa di una
prescrizione giuridica. Ne deriva che la sua esistenza non può essere apprezzata come in
contraddizione con l’esigenza di effettività del rimedio giurisdizionale impugnatorio, ove
riconosciuto da un ordinamento nazionale, tante volte sottolineata dalla Corte EDU, una
volta coniugata con la particolare natura del ricorso per cassazione secondo il nostro
ordinamento nazionale, che certamente implica un certo grado di sofisticazione tecnica, se
non altro quello ex necesse a qualsiasi impugnazione a motivi limitati.
§1.2.3. Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del
ricorso a pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al
terzo comma dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un
certo atto come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto
escludere che il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo
sulla base di contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito
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i

Est. Cons.

‘ff

Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

potesse integrarsi con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che
l’inammissibilità era parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante
il ricorso, ivi compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n.
‘ 16002 del 2007; (ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6
c.p.c.; più di recente, Cass. n. 7455 del 2013, sempre a proposito di questo requisito).
§1.2.4. E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c.
non può determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha

mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo
della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che dia norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un
criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.

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Est. Cons. RTaeje Frasca

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)
§1.3. Poste queste premesse la semplice lettura dei quesiti sopra riportati, fatta
eccezione per quello n. 1, evidenzia l’assoluta mancanza di una loro conclusività nei sensi
su inidicati, perché:
a)

il quesito n. 2, omette qualsiasi pur riassuntivo e minimale riferimento alla

vicenda oggetto della lite e alla motivazione della sentenza impugnata;
b) anche il quesito n. 3 omette qualsiasi pur riassuntivo e minimale riferimento sul
come l’intenzione cui allude rilevasse nella vicenda concreta e con riguardo alla

nozione di sostanza abbandonata o destinata all’abbandono;
c) tutti gli interrogativi proposti con il quesito n. 4. si risolvono in una generica
richiesta di verificare se le violazioni di norme di diritto enunciate in ognuno di essi si
siano verificate in relazione ai contratti di cui è processo e ciò senza alcuna, nemmeno
astratta, distinzione con riguardo ai plurimi paradigmi normativi evocati, sì che si deve
rilevare che anche come interrogativi astratti non se ne coglie la sostanza, ma – in disparte
l’assoluta mancanza di spiegazione della loro alternatività con minimali riferimenti alla
vicenda concreta – anche a prescindere da tale carenza, che già sarebbe evidenziatrice di
difetto di conclusività (perché risulta non spiegata la ragione della alternatività rispetto
all’atteggiarsi della vicenda in giudizio ed alla motivazione della sentenza impugnata),
ognuno di essi si prospetta come interrogativo che non si aggancia a pur minimali
riferimenti alla vicenda oggetto di lite e non evoca sempre in modo riassuntivo e minimale
la motivazione della sentenza impugnata.
Ne deriva la carenza di conclusività e, quindi, l’inidoneità ad assolvere al requisito di
cui all’art. 366-bis c.p.c. di tutti i suddetti quesiti.
Da ciò l’inammissibilità del primo motivo salvo per la deduzione della violazione
dell’art. 112 c.p.c.
§1.4. Si è detto che il quesito n. 1, correlabile alla violazione ora detta, supera il
vaglio di ammissibilità ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
E’ vero che detto quesito presenta un profilo di genericità ed astrattezza, perché,
tenuto conto che la pronuncia impugnata è di appello e considerato che l’omessa pronuncia
che si censura dovrebbe essere stata commessa dal giudice d’appello, si omette la
necessaria precisazione che l’omissione di pronuncia avrebbe riguardato un motivo di
appello, con la conseguenza che l’interrogativo si potrebbe dire carente parzialmente di
conclusività. Tuttavia, questo profilo sembra appartenere all’attività illustrativa del motivo,
piuttosto che all’attività di formulazione di un quesito correlato alla denuncia di violazione

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Est. Cons.

Frasca

motivazione della decisione impugnata; la stessa cosa dicasi dell’interrogativo sulla

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

dell’art. 112 c.p.c., prospettata, come nella specie, riguardo ad una decisione in grado di
appello. Sembra, infatti, che, intendendo le deduzioni della parte secondo un doveroso
principio di adeguatezza allo scopo, se si denuncia un’omessa pronuncia commessa contro
. una sentenza ai appello necessariamente si postula che il giudice d’appello ne fosse
investito, onde, sotto l’indicato profilo, il quesito non risulta privo di conclusività nei sensi
indicati, perché la stessa deduzione di detta omessa pronuncia 8della quale, si badi, si
individua l’oggetto) implica, a livello di enunciazione, che sul punto vi fosse un motivo di

§1.4.1. Il motivo, ammissibile ai sensi del’art. 366-bis c.p.c., appare, però, infondato
già se ci si limita, senza nemmeno leggerne l’illustrazione, a rispondere al quesito che si
prospetta, atteso che esso stesso si connota per un’intrinseca inidoneità a rivelare un
interrogativo riconducibile al modello della violazione dell’art. 112 c.p.c.
Invero, il detto quesito, già considerato come tale, cioè prescindendo dalla lettura
dell’illustrazione del motivo e, quindi, nella sua astrattezza rispetto ad essa, rivela una
palese irriducibilità della doglianza al concetto di violazione dell’art. 112 c.p.c.
Questa la ragione.
Essendo il quesito relativo ad una omessa pronuncia del giudice di merito in grado di
appello, che necessariamente deve riguardare un capo di domanda o un fatto integratore di
un’eccezione o di una controeccezione (e, dunque, di un fatto c.d. principale: in termini
Cass. n. 544 del 2005; n. 17698 del 2011), devoluti al giudice d’appello, nel caso di specie,
poiché si sostiene in esso stesso che vi sarebbe stato mancato accertamento dell’origine del
materiale oggetto del contratto, riguardo al quale si evoca una domanda di declaratoria di
nullità ed essa, in sostanza, o meglio il doversi su di essa il giudice d’appello pronunciare
per essere essa oggetto della devoluzione con i motivi di appello, è l’oggetto dell’omessa
pronuncia, non è dato comprendere come possa prospettasi sub specie di violazione
dell’art. 112 c.p.c. l’ipotetica mancata considerazione di detta origine, posto che tale
omessa considerazione non sembra implicare che sulla domanda si sia pronunciato e ciò
secondo lo stesso tenore del quesito.
Si vuol dire cioè che lo stesso quesito sottende che sulla domanda di accertamento
della nullità per incommerciabilità del materiale compravenduto si sia pronunciato
Ciò, perché, essendo l’accertamento dell’origine del materiale medesimo non
l’oggetto della domanda, relativa alla nullità, bensì uno dei fatti (storici) evidenziatori della
sua incommerciabilità, essa sì costituente uno dei fatti costitutivi della domanda stessa, e
prospettando il quesito un “mancato accertamento dell’origine” de qua, si evidenzia allora

11
Est. Cons. Ra

appello o la riproposizione di una questione ai sensi dell’art. 346 c.p.c.

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

non già che sulla domanda e, particolarmente sul detto fatto costitutivo, non vi sia stata
. pronuncia, bensì che essa sarebbe stata resa senza accertare quella origine e, dunque, in
modo erroneo o insufficiente riguardo ad uno dei fatti o al fatto che doveva rivelare
l’ incommerciabilità.
Pertanto, se vi è stata una pronuncia carente riguardo per il detto mancato
accertamento non può esservi stata omessa pronuncia.
§1.4.2.. Ove, poi, si passi alla lettura dell’illustrazione del motivo riguardo al vizio ai

quesito n. 1 e, dunque, l’infondatezza del motivo, trova conferma nello stesso esordio
dell’illustrazione del motivo, posto che alla pagina 21 si riproduce un passo motivazionale
della sentenza impugnata, dal quale traspare che la Corte territoriale ha motivato
sull’inesistenza della qualità di rifiuto della merce e, dunque, non è dato comprendere
come posa postularsi, se ha motivato, il vizio ai sensi dell’art. 112 c.p.c.
Si enuncia, infatti, all’inizio della illustrazione quanto segue:
<>.
In questo passo consiste e si esaurisce, nell’ambito della illustrazione dei motivi
enunciati in quello che si definisce “I motivo”, l’argomentazione riferibile alla denuncia di
violazione dell’art. 112 c.p.c
Ebbene, è sufficiente leggere il detto passo perché si evidenzi che non v’è stata
alcuna omissione di pronuncia e lo rivela la stessa proposizione finale del medesimo, posto
che prima si dice che “in tal modo”, cioè con le proposizioni riportate fra virgolette, la
Corte milanese avrebbe violato la disciplina normativa rilevante per la qualificazione

12
Est. Cons. Raffae F

sensi dell’art. 112 c.p.c., l’intrinseca contraddittorietà e, quindi, infondatezza del detto

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

dell’oggetto del contratto e solo dopo, senza spiegare come e perché si dice che vi sarebbe
.

stata un’omessa pronuncia. Spiegazione del perché che sarebbe stata, peraltro, impossibile,
posto che proprio le proposizioni fra virgolette sono idonee ad evidenziare che quella Corte

.

ha considerato il problema di qualificazione e, dunque, ha pronunciato e che semmai
potrebbe averlo fatto in modo erroneo o insufficiente in iure.
§1.4.3. Ove, poi, si proceda a confrontare il passo motivazionale riprodotto con la
sentenza, la conclusione che a Corte lombarda si sia pienamente pronunciata sulla

accertamento della nullità, si evidenzierebbe che l’ampiezza della pronuncia è ben
maggiore, atteso che parte ricorrente ha trascritto l’esordio della motivazione alla pagina
17 della sentenza, ma ha omesso di considerare ciò che segue nella stessa pagina e, quindi,
almeno fino alla pagina 21, se non fino alla pagina 24.
Ne segue che il motivo di omessa pronuncia risulterebbe affetto da palese
inammissibilità del motivo per oggettiva mancanza di correlazione alla motivazione della
decisione impugnata, dato che di essa la ricorrente sostanzialmente non si è fatta carico
nell’interrogasi sul se la Corte territoriale abbia pronunciato o meno.
Verrebbe, allora, in rilievo il seguente principio di diritto: «Il motivo
d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il
mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il
diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per
denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione,
l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi
avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in
una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle
ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono
concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere,
dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per
inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale
nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con
l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.>> (ex multis, Cass. n. 359 del
2005, già citata).
Detta ragione di inammissibilità, peraltro, in quanto si desume solo leggendo la
.

sentenza si colloca dopo la valutazione di infondatezza emergente prima dalla mera lettura

del quesito di diritto e, quindi, dalla mera lettura dell’illustrazione del motivo in discorso.

13
Est. Cons. Raffael F sca

questione della incommerciabilità e, quindi, sul fatto costitutivo della domanda di

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

Ne deriva che per la priorità logica nel modus examinandi del motivo, quest’ultimo
.

dev’essere detto infondato e, dunque, rigettato.
§1.5. Il Collegio, peraltro, ritiene opportuno aggiungere le seguenti ulteriori
considerazioni a proposito del motivo di violazione di varie norme di diritto evocate
dall’intestazione unitaria del “I motivo”, già ritenuto inammissibile per inosservanza
dell’art. 366-bis c.p.c.
Si deve, infatti, rilevare che anch’esso, con riferimento ad entrambi i due gruppi di
norme evocati, omette qualsiasi riferimento – salvo quello iniziale alla pagina 21, che non
costituisce la motivazione della sentenza impugnata, ma solo il suo generico esordio — alle
specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, di cui dalla metà della pagina 17
(immediatamente di seguito al passo evocato alla pagina 21 del ricorso) alla pagina 21.
L’illustrazione è svolta ripercorrendo una serie di risultanze probatorie senza considerare i
passi motivazionali che le hanno considerate e, quindi, sollecita questa Corte a valutare
quando da esse si fa discendere sulla base di una del tutto generica pretesa erroneità della
sentenza della Corte meneghina a prescindere dalla sua analitica motivazione. Sicché —
alla stregua di Cass. n. 359 del 2005 – nuovamente viene in rilievo una gradata
inammissibilità del motivo e delle due censure in cui esso dovrebbe sdoppiarsi, perché non
ci si parametra alla motivazione della sentenza impugnata.
§1.6. Tanto, peraltro, non esime dal rilevare che esattamente la resistente ha anche
sottolineato che la struttura del motivo impinge in inammissibilità pure alla stregua del
principio di diritto secondo cui <>
(Cass. n. 1317 del 2004, seguita da numerose conformi).
§1.7. In forza delle complessive considerazioni svolte il “I motivo” è, pertanto,
dichiarato infondato quanto al motivo concernente la violazione dell’art. 112 c.p.c. ed
inammissibile, per le plurime gradate ragioni indicate, riguardo alla violazione dei due
gruppi di norme indicate nell’intestazione.

14
Est. Cons. Raffae

asca

.

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

§2. Con un secondo motivo si denuncia “omessa motivazione su fatto controverso e
• decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., circa la reale origine produttiva
della SF16; violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.

§2.1. Il motivo è inammissibile anzitutto per inosservanza dell’art. 366-bis c.p.c.,
perché: aa) con riferimento alla dedotta violazione delle norme del procedimento di cui
agli artt. 115 e 116 c.p.c. non si conclude con la formulazione del quesito di diritto,
necessaria, com’è noto, anche in relazione al motivo ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. (ex

c.p.c. la sua illustrazione non si conclude con né contiene il momento di sintesi espressivo
della c.d. “chiara indicazione”, cui alludeva l’art. 366-bis c.p.c. (sui cui termini si vedano
in prima battuta Cass. (ord.) n. 16002 del 2007 e, quindi, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007,
successivamente seguita dalla costante giurisprudenza della Corte).
§2.2. Sia il motivo ai sensi dell’art. 360 n. 4, sia quello ai sensi del n. 5 c.p.c., se si
potesse procedere alla loro lettura, sarebbero comunque inammissibili, perché la loro
illustrazione è nuovamente svolta senza considerare la motivazione della decisione
impugnata di cui alle pagine 17-21, alle cui affermazioni non si fa riferimento, sicché viene
nuovamente in rilievo il principio di diritto di cui a Cass. n. 359 del 2005.
§2.3. Il motivo (ma meglio sarebbe dire i due motivi) è dichiarato inammissibile.
§3. Con il terzo motivo si fa valere “omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.,
circa la rilevanza del preteso degrado dovuto allo stoccaggio e circa la ritenuta
utilizzabilità del prodotto come fluidificante per fonderie con esclusione della sua natura di
sostanza abbandonata o destinata all’abbandono; violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.”.
§3.1. Anche questo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 360-bis per le
ragioni indicate a proposito del motivo precedente sub 2.1., cioè perché non si conclude
con il quesito di diritto riguardo alla denuncia di violazione delle due norme del
procedimento ed è carente del momento di sintesi rispetto ai sensi del n. 5 dell’art. 360
c.p.c.
§4. Con il quarto motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., sull’onere della prova dell’effetiva
utilizzabilità della sostanza in questione”.
L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: «Dica la
Suprema Corte di cassazione che la prova della effettiva destinazione al reimpiego della

15
Est. Cons. Raff. le

multis, Cass. n. 4329 del 2009); bb) con riguardo al motivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360

R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013)

materia prima secondaria di un sottoprodotto competa al produttore ove la stessa sia
oggetto di controversia.».
§4.1. Tale quesito è inidoneo ad assolvere al requisito dell’art. 366-bis data la sua
totale astrattezza e, quindi, mancanza di conclusività: in proposito si richiamano i principi
in precedenza esposti a proposito dell’esegesi di detta norma.
Il motivo è, pertanto, inammissibile.
§5. Con il quinto motivo si deduce: “violazione e falsa applicazione, in relazione

violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 1, 2, 4 e 5, dell’art. 3,
comma 3, dell’art. 4, dell’art. 13, dell’art. 16, D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, nonché
della deliberazione del Comitato Interministeriale del 27.04.1984 (Disposizioni per la
prima applicazione dell’art. 4 del D.P.R. 10.9.82 n. 915, ecc.), paragrafo 1.2. e Tab. 1.2.
(compravendita della c.c. fritte); in subordine, carente, insufficiente e contraddittoria
motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c.,
in relazione alla non identificabilità in ordine e comunque della non utilizzabilità delle
fritte”.
L’illustrazione dei due motivi, il primo in iure, evidentemente supponente due
distinte censure, è concluso dai seguenti quesiti di diritto (peraltro per errore materiale
riferiti ad un quarto motivo): <<1. - Se sia rifiuto ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 915/82 un residuo di lavorazioni industriali, in larga parte chimicamente classificabile come tossico e nocivo, all'origine privo di identificabilità. 2. - Dica altresì la Suprema Corte se il contratto di compravendita delle fritte, avente ad oggetto materiali qualificabili come "rifiuti speciali" o "rifiuti tossico nocivi" ai sensi dell'art. 2 D.P.R. 915/82, e la cui natura sia stata sottaciuta dal produttore stipulante: - sia nullo per illiceità o impossibilità dell'oggetto, in base agli artt 1346, 1418, comma 2, cod. civ., e art. 2, D.P.R. 915/82; ovvero sia nullo per illiceità della causa, ai sensi dell'arte 1343 1418, comma 2, cod. civ., in quanto diretto a porre in essere un risultato economico-giuridico incompatibile con l'applicazione delle norme inderogabili di cui agli artt. 3,13, 16 e 18, D.P.R. 915/82; ovvero sia nullo perché in frode alla legge, giusta gli artt. 1344, 1343 1418, comma 2, cod. civ. in quanto diretto a porre in essere un risultato economico-giuridico incompatibile con l'applicazione delle norme inderogabili di cui agli atti del 3,13, 16 e 18, D.P.R. 915/82; ovvero ancora sia nullo perché in frode alla legge, giusta gli art. 1344, 1343 1418, comma 2, cod. civ. in quanto diretti a porre in essere un risultato economico-giuridico contrario alla ratio degli artt. 1, 3, 13, 16, 18, D.P.R. 915/82; - ovvero sia nullo perché contrari a 16 Est. Cons. Raffa le sca all'art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 1343, 1344, 1346, 1418, commi 1 e 2, cod. civ, nonché R.g.n. 8106-08 (ud. 14.11.2013) norme imperative ex art. 1418, comma 1, cod. civ., in quanto costituenti il risultato di una • delle possibili condotte in violazione degli artt. 3, 13, 16, 18, D.P.R. 915/82.». §5.1. I quesiti proposti sono totalmente astratti ed inidonei ad assolvere al requisito dell'art. 366-bis sempre per difetto di conclusività, secondo i principi sopra evidenziati a proposito dei quesiti di cui al primo motivo. Il primo quesito (n. 1) lo è manifestamente perché pone un interrogativo privo di qualsiasi specificazione relativa alla vicenda ed alla motivazione della sentenza. Il secondo quesito (n. 2) e le sua varie articolazioni lo sono per le stesse ragioni evidenziate a proposito dei quesiti di fattura pressoché identica scrutinati a proposito del primo motivo. §6. Con il sesto motivo, erroneamente indicato nuovamente come quinto, si fa valere "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c., in relazione alla qualità di parte contrattuale di Ambrofinim rispetto alla vendita della SF/16.>>.
§6.1. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366-bis c.p.c., perché
nuovamente non si conclude con né contiene il prescritto momento di sintesi.
§7. Con il settimo motivo, erroneamente indicato come sesto, si prospetta
“violazione e falsa o mancata applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., degli arti.
2, 3 e 13, D.P.R. n. 915/1982.”.
L’illustrazione è conclusa dal seguente quesito di diritto:

<

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