Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1221 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. II, 17/01/2019, (ud. 19/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4640/2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE RAGUSO

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in GRAVINA in

PUGLIA (Ba), VIA MOZART 6;

– controricorrente –

e contro

M.N.;

– intimato –

avverso il decreto n. 7124/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositato il 4/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/07/2018 dal Cons. Dott. Ubaldo BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso della L. n. 89 del 2001, ex artt. 1 e 2, depositato in data 14.4.2016, M.M. e M.N. adivano la Corte d’Appello di Roma al fine di ottenere l’indennizzo per irragionevole durata del procedimento civile introdotto dalla TVR-TECNOLOGIE VETRORESINA S.P.A. nei confronti dell’AGENZIA AUTOTRASPORTI MA.VI. E FIGLI S.R.L., M.M. e M.N., con citazione notificata il 30.12.1994 e definito dopo 19 anni e 9 mesi con sentenza n. 5783/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 23.9.2014, dopo quattro gradi di giudizio. Detta sentenza – a seguito di rinvio dalla Cassazione – confermava l’incompetenza per territorio del Tribunale di Roma a decidere la causa di risarcimento danni proposta da TVR s.p.a., essendo competente il Tribunale di Bari; revocava il decreto ingiuntivo n. 3355 del 10.2.1995 del Presidente del Tribunale di Roma, emesso in favore dell’Agenzia Autotrasporti Ma.Vi. e Figli s.r.l.; e accertava che il credito vantato da quest’ultima era pari alla minor somma di Euro 27.236,00, condannando TVR s.p.a. al pagamento di tale minor somma, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. La predetta sentenza della Corte d’Appello diventava definitiva in data 2.11.2015.

La Corte d’Appello di Roma, con decreto depositato il 24.6.2016, riconoscendo la sussistenza del diritto all’equo indennizzo per la durata non ragionevole del processo, accoglieva il ricorso, ingiungendo al MINISTERO DELLA GIUSTIZIA di pagare la somma di Euro 5.200,00 in favore sia di M.M. che di M.N..

L’Avvocatura Generale dello Stato proponeva opposizione deducendo la tardività del ricorso per equa riparazione, in quanto la definitività della sentenza del giudizio presupposto doveva essere ricollegata non al decorso del termine annuale ex art. 327 c.p.c., bensì al decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione della decisione ex art. 47 c.p.c., comma 2, trattandosi di decisione sulla sola competenza, come tale impugnabile con regolamento necessario di competenza: nella specie, essendo decorso oltre un anno e mezzo tra la data di deposito della decisione di incompetenza (23.9.2014) e la data del deposito del ricorso per equa riparazione (14.4.2016), il ricorso sarebbe tardivo, con relativo decorso del termine L. n. 89 del 2001, ex art. 4. In ogni caso, il ricorso risultava tardivo rispetto all’estinzione del giudizio ex art. 50 c.p.c., per mancata riassunzione nel termine di 6 mesi dalla data di comunicazione della decisione sull’incompetenza, assumendo quale dies a quo la data di estinzione del giudizio per mancata riassunzione.

Si costituivano M.N. e M., deducendo che la sentenza della Corte d’Appello soggiaceva agli ordinari termini di impugnazione, in quanto essa aveva deciso sia sulla competenza, declinandola, che su questioni di merito. Tuttavia, anche ove la sentenza fosse stata di declaratoria della sola incompetenza, il termine ex art. 4 L. Pinto sarebbe decorso dalla dichiarazione di estinzione, mai intervenuta.

Con decreto depositato il 4.9.2017, la Corte d’Appello rigettava l’opposizione ritenendola infondata, in quanto (nella specie), in mancanza di comunicazione o notificazione, il termine di impugnazione era quello annuale ai sensi dell’art. 327 c.p.c. e decorrente dalla data di deposito della sentenza; riteneva inoltre ininfluente il richiamo all’estinzione del giudizio ex art. 50 c.p.c..

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione l’Avvocatura Generale dello Stato sulla base di tre motivi; resiste M.M. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, l’amministrazione ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione art. 50 c.p.c., nonchè artt. 2-327 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, sul rilievo che la decisione della Corte d’Appello di Roma non si possa ritenere definitiva, in quanto contiene una statuizione di incompetenza territoriale. Tale statuizione sulla competenza si muove su un piano distinto rispetto alle ulteriori statuizioni di merito contenute nella decisione; e pertanto avrebbe autonoma valenza rispetto alle ulteriori statuizioni, essendo soggetta ai termini previsti per la prosecuzione del giudizio previa riassunzione dello stesso (30 giorni decorrenti dalla data di notificazione o comunicazione). In caso di mancata comunicazione o notifica della decisione sulla competenza, il termine per la riassunzione non decorrerebbe e il procedimento non potrebbe essere dichiarato estinto anche se decorso il termine lungo annuale. Afferma parte ricorrente che il procedimento presupposto fosse da considerare ancora pendente al momento della richiesta indennitaria. La conseguenza sarebbe l’inammissibilità della richiesta suddetta per assenza dei presupposti di legge. Ciò in quanto, sulla base della nuova formulazione di cui all’art. 4 L. Pinto (successiva alla novella del 2012), non è più consentita la proposizione di richieste di equo indennizzo in pendenza del procedimento presupposto.

1.2. – Con il secondo motivo, “in via alternativa e subordinata”, il ministero ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, giacchè, ove si ritengano realizzati i presupposti di legge per l’estinzione del procedimento per mancata riassunzione nei termini, si eccepisce l’inammissibilità della richiesta indennitaria per assenza dei presupposti di legge, non essendo intervenuto un formale provvedimento di estinzione.

1.3. – Per ragioni di connessione, i due motivi vanno congiuntamente decisi. Essi sono infondati.

1.4. – Si premette che parte ricorrente, con l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, ha eccepito la tardività del ricorso per violazione dell’art. 4 L. Pinto, deducendo che la definitività della sentenza n. 5783/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 23.9.2014, fosse da ricollegare al decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione della decisione ex art. 47 c.p.c., comma 2; e ritenendo altresì che il ricorso fosse tardivo con riferimento all’estinzione del giudizio ex art. 50 c.p.c.. Inoltre, nell’odierna fase di legittimità, il ministero ricorrente lamenta la mancanza dei presupposti di legge per la non definitività della sentenza del giudizio presupposto.

Orbene, va rilevato che la sentenza n. 5783/2014 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 23.9.2014, pronunciata all’esito del processo presupposto instaurato con atto di citazione notificato il 30.12.1994, non ha avuto contenuto soltanto declinatorio della competenza, avendo deciso anche sul merito, in particolare: confermando l’incompetenza per territorio del Tribunale di Roma a decidere la causa di risarcimento danni proposta da TVR s.p.a., essendo competente il Tribunale di Bari; revocando il decreto ingiuntivo n. 3355 del 10.2.1995 del Presidente del Tribunale di Roma, emesso in favore dell’Agenzia Autotrasporti Ma.Vi. e Figli s.r.l.; accertando che il credito vantato da quest’ultima era pari alla minor somma di Euro 27.236,00; e condannando TVR s.p.a. al pagamento di tale minor somma, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Tale pronuncia, pertanto, poteva essere impugnata facoltativamente con il regolamento di competenza o con gli ordinari mezzi di impugnazione, ai sensi dell’art. 43 c.p.c.. Essendo stata pubblicata il 23.9.2014 essa è diventata definitiva il 2.11.2015, per decorso dei termini ex art. 327 c.p.c..

1.5. – La Corte d’Appello, con il decreto oggetto di impugnazione, ha correttamente rigettato l’opposizione affermando che, nella specie, in mancanza di comunicazione o notificazione, ai fini della definitività della sentenza del processo presupposto, il termine di impugnazione (applicabile ratione temporis) fosse comunque quello annuale ex art. 327 c.p.c., decorrente dalla data di deposito della sentenza (Cass. n. 19754 del 2011). Per cui “ritenuto che il ricorso del 14.4.2016 è stato depositato nei termini, ovvero entro anni 1 e mesi 6 (questi L. n. 89 del 2001, ex art. 4), oltre la sospensione dei termini per il periodo feriale, dal deposito della sentenza del 23.9.2014”.

Ed altrettanto correttamente ha ritenuto ininfluente il richiamo alla estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 50 c.p.c.; laddove l’Avvocatura deduce per la prima volta, in questa sede, la presunta inammissibilità del ricorso ex L. Pinto poichè pendente il procedimento presupposto, in quanto non sarebbero decorsi i termini per la riassunzione ex art. 50 c.p.c. e, in subordine, poichè non sarebbe mai intervenuta una pronuncia definitiva di estinzione del procedimento; trattasi all’evidenza di circostanze meramente asserite dalla parte, senza il supporto di alcun elemento probatorio.

2. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Motivazione perplessa (del decreto) in relazione al parametro costituzionale ex art. 111 Cost., comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, eccependo la contraddittorietà della statuizione di condanna al pagamento delle spese del grado, in quanto in motivazione si fa riferimento ad Euro 916,00, mentre nel dispositivo al diverso importo di Euro 1.916,00, oltre IVA e CPA.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Il contrasto, nella specie, tra dispositivo e motivazione non dà luogo ad alcuna nullità, configurandosi un evidente mero errore materiale, percepibile e percepito ictu oculi, tenuto conto altresì della correzione manuale contenuta nel dispositivo, come effettuata dal Giudice, a conferma della sua volontà.

3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, trattandosi di materia esente.

PQM

La Corte dichiara infondato il ricorso. Condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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