Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12209 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 07/05/2021), n.12209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 14932/2020 r.g. proposto da:

F.M., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Martino Benzoni, presso il cui studio è elettivamente domiciliato

in Udine via Giusto Muratti.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Trieste, depositato in data

15.5.2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/2/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Trieste ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da F.M., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS); ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè, quale militare impegnato nella base militare nel presidio dei confini, aveva subito minacce dai talebani e perchè accusato del reato di diserzione dall’esercito.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè il ricorrente non era stato attinto da atti di persecuzione nè da una minaccia grave alla sua persona; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al (OMISSIS), regione di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perchè il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di soggettiva vulnerabilità.

2. Il decreto, pubblicato il 15.5.2020, è stato impugnato da F.M. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, e ciò relativamente all’appartenenza all’esercito locale dei “(OMISSIS)”, e alla sussistenza del reato di diserzione con le conseguenze legate alla commissione del reato.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 3, commi 3 e 5, artt. 4,5,6 e 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, nonchè degli artt. 2 e 3 Cedu, art. 15, par. 3, lett. a e dell’art. 46 par. 3 della direttiva 2013/32, dell’art. 13, par. 3 lettera a della direttiva 2005/85 e dell’art. 4, par. 3 della direttiva 2004783, in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto.

4. Il quarto mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, e cioè l’esistenza di un conflitto armato generalizzato ovvero fenomeni di violenza indiscriminata tali da esporre il richiedente ad un danno grave ed irreparabile nell’ipotesi di rientro nel paese di origine.

5. Il ricorrente propone inoltre un quinto motivo con il quale si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del decreto impugnato per motivazione apparente, con violazione dell’art. 132 c.p.c..

6. Con il sesto motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis e art. 27, commi 1 e 1 bis, nonchè dell’art. 16 della direttiva EU 2013/32/UE, con violazione dei parametri valutativi e interpretativi, violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria, violazione dell’obbligo di congruità della motivazione e erronea interpretazione di disposizione di legge.

7. Il ricorso è inammissibile.

7.1 I primi due motivi di doglianza – che involgono l’esame delle medesime questioni – possono essere esaminati congiuntamente e devono essere dichiarati inammissibili.

7.1.1 Si evidenziano tre profili concorrenti di inammissibilità delle doglianze. In primis, le censure non si confrontano con la ratio decidendi principale posta a sostegno della decisione di diniego dell’invocata protezione internazionale, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto, ratio che, se non censurata, rende evidentemente superfluo l’esame delle ulteriori doglianze declinate, ai sensi del sopra richiamato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di ulteriori fatti decisivi che sono già coperti da uno scrutinio generalizzante di non attendibilità del narrato.

7.1.2 Sotto altro profilo, la doglianza è generica e non autosufficiente posto che non indica quale sarebbe stata la documentazione – già allegata innanzi ai giudici del merito – e del cui omesso esame oggi si denuncia la violazione, documentazione che, peraltro, il ricorrente avrebbe dovuto necessariamente allegare al ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ovvero localizzare nel fascicolo della fase precedente.

7.1.3 Ed infine, non può sottacersi come le censure articolate nei due motivi di censura qui in esame mirino a sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio di merito delle prove già esaminate nella precedente fase giudiziale e di cui invece si chiede un’inammissibile rilettura in sede di legittimità.

Sul punto, non può essere dimenticato che – in tema di ricorso per cassazione – la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (Sez. 6-5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).

7.2 Anche il terzo motivo è inammissibile.

7.2.3 Osserva il Collegio che, come recentemente chiarito anche da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è necessaria perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

Nel caso in esame, il Tribunale di Trieste ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., fol. 5/6 del decreto impugnato) sulla base di plurimi e convergenti elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 683 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (Cass., SU, n. 8053 del 2014).

7.4 Anche il quarto motivo non supera il vaglio di ammissibilità.

7.4.1 Va evidenziato, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

Il motivo – così articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Pakistan (Khyber Pakhtunkwa), giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nella predetta regione pakistana non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.

7.5 Il quinto motivo è inammissibile sia perchè non censura adeguatamente le rationes decidendi sia perchè pretenderebbe, sotto il vizio motivazionale, di sollecitare questa Corte ad una nuova edizione del giudizio di merito innanzi al giudice di legittimità.

Denuncia infatti il ricorrente il vizio di motivazione apparente.

Occorre, ora, ricordare che, secondo le espressioni di questa Corte, c’a motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; n. 8053 del 2014; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019).

7.5.1 Ciò detto, va subito evidenziato come il provvedimento impugnato abbia invero argomentato, sebbene in modo succinto, sia sul profilo della credibilità ed attendibilità del racconto sia in relazione all’esistenza di un danno grave collegato ad un conflitto armato generalizzato (peraltro, citando correttamente le fonti informative consultate), con valutazioni in fatto che non possono essere qui più censurate se non nei ristretti termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nel resto le deduzioni difensive del ricorrente vorrebbero far scivolare questa Corte sull’inaccessibile terreno delle valutazioni di merito rimesse invece all’esclusiva cognizione dei giudici della precedente fase processuale ed inibite invece al giudice di legittimità.

7.6 Il sesto mezzo è inammissibile perchè, di nuovo, le relative censure non colgono le rationes decidendi del diniego dell’invocata protezione umanitaria, e cioè, da un lato, il giudizio di inattendibilità del racconto e, dall’altro, la mancata allegazione da parte del ricorrente delle condizioni di vulnerabilità legittimanti la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

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