Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12207 del 14/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 14/06/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTOPNIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6678-2011 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo

studio degli avvocati CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, RENATO SCOGNAMIGLIO,

che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE

PUBBLICA, MINISTERO DELL’AMBIENTE;

– intimati –

Nonchè da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE

PUBBLICA C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente pro tempore,

MINISTERO DELL’AMBIENTE, MINISTERO AMBIENTE, entrambi rappresentati e

difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici

domiciliano ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

C.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo

studio degli avvocati CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, RENATO SCOGNAMIGLIO,

che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3269/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/03/2010 R.G.N. 8468/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2016 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’Avvocato SANGERMANO FRANCESCO per delega Avvocato

SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;

udito l’Avvocato VITALE ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto dei ricorsi principale e incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza definitiva in data 9.3.2010, la Corte di appello di Roma, adita in sede di gravame dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento della Funzione Pubblica e dal Ministero dell’Ambiente, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della sentenza impugnata, ha respinto la domanda proposta da C.G., volta al risarcimento del danno patrimoniale da dequalificazione professionale ed ha condannato gli appellanti a pagare al C., a titolo di danno professionale non patrimoniale la somma di Euro 26.707, 25.

2. La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimità della condotta delle P.A. compendiatasi nella mancata attribuzione al C. di incarichi dirigenziali, nel periodo compreso tra l’8.9.1999 ed il 1.3.2001.

3. Ricostruito il quadro normativo, di legge, di regolamento e di negoziazione collettiva, ha ritenuto che le Amministrazioni avevano la facoltà di non confermare il C. nell’incarico dirigenziale prima rivestito, ovvero, di attribuirgli un incarico anche professionalmente non equivalente, ma non anche quella di estrometterlo da qualsiasi funzione dirigenziale.

4. Con riguardo alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità, la Corte territoriale ha affermato che l’appellato non aveva offerto alcun concreto elemento dal quale ricavare, anche con il ricorso alle presunzioni, che si fosse realizzato un depauperamento del patrimonio di conoscenze, abilità ed esperienze, ovvero una effettiva mortificazione di specifiche aspettative di progressione in carriera, che nemmeno erano state indicate. Ha ritenuto che, di contro, l’attribuzione, seguita al periodo di forzata inattività, di un incarico prestigioso presso il MIUR (Direttore Generale per lo status dello studente, per le politiche giovanili e le attività motorie) consentiva di escludere che si fossero realizzati i danni lamentati.

5. Quanto alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, la Corte territoriale ha ritenuto che la forzata ed assoluta inattività del C., protrattasi per circa 18 mesi, la conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’accantonamento di una figura professionale di spicco, quale quella del C., l’inutilità delle reiterate richieste di affidamento di altri incarichi, costituivano una serie di indizi gravi precisi e concordanti per far presumere la frustrazione della personalità morale del medesimo.

6. La Corte territoriale ha ritenuto che l’entità del danno risarcibile andava commisurato al 25% della retribuzione percepita nel periodo di completa inattività.

Avverso detta sentenza il C. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

8. Hanno resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica ed il Ministero dell’Ambiente, i quali hanno proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi, al quale il C. ha resistito con controricorso.

9. Il ricorrente principale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso principale.

10. Con il primo motivo il ricorrente principale denunzia carenza o contraddittorietà della sentenza in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’esistenza dì un profilo di danno patrimoniale derivante dalla estromissione per circa diciotto mesi da qualsiasi incarico dirigenziale.

11. Deduce di avere allegato, nel ricorso di primo grado, le circostanze di fatto rilevanti per l’accertamento del danno patrimoniale alla professionalità e lamenta che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della prolungata inattività e delle circostanze valorizzate dalla stessa Corte per la liquidazione del danno non patrimoniale.

12. Deduce che la sentenza n. 6572/2006 di questa Corte ha ammesso la possibilità di ricorrere alla prova presuntiva per l’accertamento del danno patrimoniale da dequalificazione.

13. Con il secondo motivo il ricorrente principale denunzia carenza di motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, concernente la natura asseritamente prestigiosa dell’incarico di direttore generale per lo status dello studente per le politiche giovanili e per le attività motorie.

14. Sostiene che la qualificazione di detto incarico come prestigioso sarebbe apodittica e autoreferenziale.

15. Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia carenza o contraddittorietà della sentenza su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, costituito dalla quantificazione del danno non patrimoniale lamentato da esso ricorrente.

16. Deduce l’incongruità del ricorso al parametro della retribuzione per il ristoro di tale voce di danno, sostenendo che il medesimo, per essere correlato alla, pur affermata, dimensione morale della dignità del lavoratore, non sarebbe riconducibile al valore di mercato della prestazione professionale e che la sentenza avrebbe dovuto tenere conto dei diversi parametri della forzata inattività, della conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro, della spiccata professionalità di esso ricorrente, delle reiterate richieste di affidamento di latri incarichi.

17. I motivi del ricorso incidentale 18. Con il primo motivo le ricorrenti incidentali denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6 e dell’art. 2103 c.c. 19. Sostengono che la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare la illegittimità della loro condotta, perchè la mancata attribuzione di incarichi dirigenziali per un periodo di tempo limitato è legittima e coerente con la natura fiduciaria degli incarichi dirigenziali.

20. Con il secondo motivo denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

21. Deducono che il C. si era limitato ad allegare l’inattività per un certo periodo di tempo, e che aveva omesso di fornire la prova, anche presuntiva, che l’evento dannoso lo avesse costretto a scelte di vita differenti.

22. Lamentano che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere raggiunta la prova dell’esistenza di danno esistenziale da qualificazione riconducibile alla semplice inoperosità per un certo periodo di tempo.

23. Esame dei motivi del ricorso incidentale.

24. Le questioni poste con il ricorso incidentale hanno carattere pregiudiziale e, potenzialmente, assorbente, rispetto alle questioni poste con il ricorso principale.

25. La questione posta con il primo motivo, attiene, infatti, alla configurabilità in capo alle Amministrazioni, di condotta inadempiente, causativa di danno; quella posta con il secondo motivo, è correlata alla sussistenza o meno di danno professionale non patrimoniale.

26. Sul primo motivo del ricorso incidentale.

27. Il motivo è ammissibile in quanto le censure coinvolgono tutte le rationes decidendi che sorreggono la sentenza impugnata.

28. Va precisato che la fattispecie dedotta ìn giudizio, nella quale viene in rilievo la condotta tenuta dalle odierne ricorrenti incidentali tra il settembre 1999 ed il marzo 2001, è disciplinata ratione temporis dal D.Lgs. n. 29 del 1993 e non, come affermato, erroneamente in ricorso e, nella sentenza impugnata – la cui motivazione va sul punto corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, essendo il dispositivo conforme a diritto, per quanto di seguito si osserva – dal D.Lgs. n. 165 del 2001, entrato in vigore il 24.5.2001, successivamente, quindi alla realizzazione della condotta delle P.A. 29. Il D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito, prima dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 11 poi dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 13 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 5 ha modificato radicalmente il sistema della dirigenza pubblica, con una scelta che è stata ribadita dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

30. Dalla disciplina della dirigenza assunta come status, come momento di sviluppo della carriera dei funzionari pubblici, si, è infatti, passati ad una regolamentazione fondata su una concezione della dirigenza pubblica di tipo funzionale, nel senso che nel nuovo sistema si è dirigenti solo se ed in quanto si svolgono le relative funzioni. La selezione concorsuale costituisce, infatti, solo un presupposto per ottenere un incarico o un ufficio dirigenziale, secondo un sistema di articolazione funzionale, che si realizza attraverso il meccanismo di attribuzione degli incarichi.

31. E, del pari, l’inserimento nel ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 23 come sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 40, art. 15, non costituisce titolo costitutivo del diritto alla stipulazione con l’amministrazione pubblica del contratto, dal quale soltanto dipende l’acquisizione della qualifica dirigenziale.

32. Il procedimento (art. 19 c. 2 e sgg.) di assegnazione incarichi di funzioni dirigenziali da parte di una pubblica amministrazione sì compone di due distinte fasi: quella relativa agli atti preliminari (atto di conferimento dell’incarico dirigenziale ed ogni altro atto che, parimenti, preceda la stipulazione del contratto) e quella successiva, di stipulazione del corrispondente contratto, concluso in vista di determinati obiettivi (Cass. 3419/2012, 3929/2007, 5659/2004).

33. Questa Corte ha ripetutamente affermato che anche agli atti di conferimento di incarichi dirigenziali va riconosciuta la natura di determinazioni negoziali, assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, e, inoltre, che le norme contenute nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 1 (riprodotte nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19) obbligano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.. (Cass. SSUU, nn. 21671/2013;

10370/1998; Cass., n.7495/2015, 13867/2014; 21700/2013; 18836/2013;

21088/2010; 18857/2010; 20979/2009; 5025/2009; 28274/2008; 9814/2008;

4275/2007; 14624/2007; 23760/2004, 20979/2009).

34. Nelle decisioni sopra richiamate è stato precisato che la predeterminazione dei criteri di valutazione non comporta alcun automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto dei predeterminati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. 4275/2007, 21700/2013).

35. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, gli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost, obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all’adozione di adeguate forme di partecipazione al processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicchè, ove l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (Cass. 7495/2015, 21700/2013, 9814/ 2008, 21088/2010).

36. Dalla riconosciuta natura di atti negoziali agli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali è stata desunta l’applicabilità delle norme del codice civile che disciplinano l’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato sono state definite “interessi legittimi”, ma di diritto privato e, come tali, pur sempre, rientranti nella categoria dei diritti di cui all’art. 2907 c.c. (Cass. 21700/2013, 14624/2007, 23760/2004).

37. Le suddette posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono state ritenute, pertanto, suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l’interessato alleghi e provi la lesione dell’interesse legittimo suddetto nonchè il danno subito, in dipendenza dell’inadempimento di obblighi gravanti sull’amministrazione (Cass. 21700/2013, 4275/2007).

38. Questa Corte ha, infine, affermato che, pur non essendo configurabile, nella nuova disciplina della dirigenza pubblica, un diritto soggettivo a conservare, ovvero ad ottenere, un determinato incarico di funzione dirigenziale, tuttavia in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo, o il mancato conferimento, dell’incarico stesso sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonchè con l’osservanza delle regole di correttezza e buona fede (Cass. 7495/2015, 21700/2013, 5025/2009);

39. Nel solco del richiamato orientamento giurisprudenziale, che ha delineato la posizione soggettiva dei dirigente in relazione alla attività negoziale di diritto privato della P.A. nella assegnazione degli incarichi dirigenziali, ed ai quale questo Collegio ritiene di dare continuità, deve ribadirsi l’inconfigurabilltà di un diritto soggettivo a conservare, ovvero ad ottenere, un determinato incarico di funzione dirigenziale.

40. Deve anche affermarsi che nella nuova disciplina della dirigenza pubblica l’Amministrazione non può, a suo insindacabile arbitrio, affidare o non affidare incarichi dirigenziali (in prima battuta ovvero una volta che siano venuti a scadenza) e lasciare immotivatamente ed ingiustificatamente, il dirigente pubblico senza incarico e senza compiti di natura dirigenziale.

41. Un siffatto illimitato potere discrezionale deve ritenersi escluso in primo luogo dalla vigente, ratione temporis, disciplina di legge, regolamentare, e di contrattazione collettiva.

42. L’art. 19 del D.Lgs. n. 29 del 1993, al comma 10 ha, infatti, previsto (con norma sostanzialmente riprodotta nel D.Lgs. n. 165 del 2001) che i dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza di studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento, secondo le modalità da indicarsi nel regolamento previsto dall’art. 23, comma 3.

43. Questa regola è ribadita nel D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6 applicabile ratione temporis, recante la disciplina delle modalità di costituzione e di tenuta del ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo. Esso prevede che, in caso di mancato affidamento di incarico dirigenziale, i dirigenti svolgono funzioni ispettive, di consulenza, e che, in mancanza, i dirigenti sono temporaneamente a disposizione della Presidenza del Consiglio, per essere utilizzati nell’ambito di programmi specifici di ispezione e verifica, nonchè di ricerca, studio e monitoraggio in ordine al grado di attuazione delle riforme legislative e delle innovazioni amministrative.

44. Previsione di contenuto analogo è contenuta nell’art. 13 CCNL normativo 1998 – 2001 del personale dirigente comparto Ministeri, il quale dispone che tutti i dirigenti hanno diritto ad un incarico, che le Amministrazioni sono tenute, qualora non intendano confermare l’incarico precedentemente ricoperto, e manchi una valutazione negativa, ad assicurare un incarico almeno equivalente (tale quello al quale corrisponda una retribuzione complessiva di pari fascia ovvero una retribuzione di posizione il cui importo non sia inferiore al 10%, rispetto a quello precedentemente attribuito).

45. L’art. 24 del CCNL sopra richiamato prevede che i dirigenti, posti a disposizione della Presidenza del Consiglio al termine dell’incarico, possono essere utilizzati nell’ambito di progetti specifici di cui al D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6, comma 2.

46. La ricostruzione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19 e delle fonti regolamentari secondarle, in termini di esclusione della assoluta discrezionalità della P.A. nell’ affidare o non affidare incarichi dirigenziali (in prima battuta ovvero una volta che siano venuti a scadenza), trova fondamento, in primo luogo, nel dovere della P.A., che nella qualità di datore di lavoro, agisce con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro, di rispettare la persona del lavoratore dipendente pubblico, che la Repubblica italiana tutela, al pari di ogni lavoratore, nella sua dimensione lavorativa (art. 2 Cost.).

47. Il lavoro è, infatti, considerato valore fondativo della Repubblica (art. 1 Cost.), nonchè status attraverso il quale si realizza la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3 Cost., comma 2).

48. La Costituzione riconosce nel lavoro un “diritto”, che impegna la Repubblica a promuovere le condizioni di effettività di siffatto diritto, (art. 4 Cost., comma 1), e al contempo, ne tutela la formazione e l’elevazione professionale, per tal via anche garantendo a ciascun cittadino di concorrere al progresso materiale e spirituale della società secondo le proprie possibilità (art. 4 Cost., comma 2).

49. Va anche osservato che l’attività negoziale della P.A., nella gestione dei rapporti di lavoro, incontra vincoli ulteriori, rispetto a quelli che incombono sul datore di lavoro privato.

50. Essa, infatti, deve essere finalizzata all’attuazione dell’art. 97 Cost., oggetto di espresso richiamo e specificazione nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1.

51. I principi di trasparenza e di buona amministrazione, affermati dall’art. 97 Cost., perimetrano, fortemente limitandola, l’ampiezza e la discrezionalità dell’azione negoziale della P.A. datrice di lavoro, la quale non può, pertanto, lasciare, immotivatamente ed ingiustificatamente, il dirigente pubblico senza incarico e senza compiti di alcun genere, perchè, in tal caso, la sua azione sarebbe in contrasto con l’interesse di tutti i cittadini a non sopportare spese prive di ragione e ad avere, invece, un’ azione amministrativa improntata a canoni di efficienza, di trasparenza e di imparzialità, anche nella scelta delle persone chiamate a svolgere le funzioni dirigenziali, strategiche per un’azione amministrativa professionale, efficiente, trasparente ed imparziale.

52. La dimensione “europea” della dirigenza pubblica, evocata dal legislatore, in via generale nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1 (che finalizza l’azione della P.A. all’accrescimento dell’efficienza delle Amministrazioni pubbliche, ponendola in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi della Comunità Europea), e in particolare, nell’art. 23, comma 4 (che finalizza la costituzione della banca dati del Ruolo Unico della dirigenza, tra l’altro, alla promozione dell’interscambio professionale anche tra amministrazioni centrali e locali e gli enti internazionali e dell’ Unione Europea), evidenzia il rilievo che deve attribuirsi, nella applicazione delle soprarichiamate disposizioni di legge, costituzionale ed ordinaria, ai principi contenuti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea.

53. Questa all’art. 41 (Diritto ad una buona amministrazione) riconosce il diritto di ogni cittadino alla imparzialità della Amministrazione Pubblica, ponendo al paragrafo 2, l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni e all’art. 15 (Libertà professionale e diritto di lavorare) riconosce ad ogni individuo il diritto di lavorare.

54. Sebbene la Carta dei diritti Ue non sia direttamente applicabile, in quanto “fonte”, alla fattispecie in esame, posto che la questione oggetto del giudizio non può definirsi attuativa del diritto dell’Unione, non può dubitarsi che la Carta (con essa gli artt. 41 e 15), come affermato già con la nota decisione n. 135/2002 della Corte costituzionale, abbia carattere “espressivo di principi comuni degli ordinamenti europei”, il rispetto dei quali deve presumersi nelle politiche legislative degli Stati membri.

55. Va ricordato che la Corte Costituzionale ha più volte richiamato, a fini interpretativi, le disposizioni della Carta di Nizza in questioni non “di diritto europeo” ai sensi dell’art. 51 della Carta stessa, da ultimo nella sentenza n. 178 del 2015 (ex multis Cass. 2219/2016).

56. Le considerazioni svolte rendono manifesta l’infondatezza giuridica della censura formulata nel primo motivo del ricorso incidentale, fondata sull’assunto che la mancata attribuzione di un incarico di livello dirigenziale non costituirebbe di per sè un comportamento illegittimo o contra ius e, in quanto tale, fonte dì obbligo risarcitorio per l’Amministrazione, assunto, a sua volta, fondato sulla prospettazione che, nel sistema della dirigenza pubblica, sarebbe fisiologico che il dirigente resti a disposizione della Presidenza del Consiglio senza attribuzione di alcun tipo di incarico dirigenziale.

57. La Corte d’appello, pur facendo erroneo riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, come rilevato al punto 28 di questa sentenza, ha, dunque, correttamente statuito che la modifica sostanziale del sistema della dirigenza pubblica, pur escludendo la configurabilità del diritto del dirigente ad uno specifico incarico, ovvero alli attribuzione del medesimo incarico, una volta cessato questo per scadenza del termine, non intacca il nucleo essenziale di qualunque rapporto di lavoro nei quale il dipendente ha non solo l’obbligo ma anche il diritto di eseguire la prestazione lavorativa, attraverso, nella specie, l’espletamento degli incarichi previsti dal D.Lgs. 29 del 1993, art. 19.

58. La Corte territoriale, inoltre, con motivazione di fatto, immune da vizi logici e giuridici, ha dato adeguato e corretto riscontro di quanto, incontestatamente, accaduto in ordine alla totale ed immotivata condotta delle ricorrenti incidentali, che lasciarono il C. privo di qualsiasi incarico dirigenziale e totalmente inattivo ed inoperoso per circa diciotto mesi.

59. Altrettanto correttamente ha riconosciuto al C. la tutela giurisdizionale in forma risarcitoria per essere lo stesso rimasto defraudato dal diritto di svolgere qualsiasi funzione dirigenziale.

60. In conclusione, il primo motivo del ricorso incidentale va rigettato, con correzione della motivazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla individuazione della disciplina di legge applicabile, dovendo affermarsi il seguente principio di diritto:

“Nella nuova disciplina della dirigenza pubblica pur non essendo configurabile un diritto soggettivo a conservare, ovvero ad ottenere, un determinato incarico di funzione dirigenziale, ciò nondimeno l’Amministrazione non può, a suo insindacabile arbitrio, affidare o non affidare incarichi dirigenziali (in prima battuta ovvero una volta che siano venuti a scadenza) e lasciare immotivatamente ed ingiustificatamente, il dirigente pubblico senza incarico e senza compiti di natura dirigenziale.”.

61. Il secondo motivo del ricorso incidentale.

62. Il motivo è infondato.

63. In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che siano ritenuti non rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3, (e non già alla stregua dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (ex multis Cass. 17535/2008).

64. Questa Corte ha ripetutamente affermato che in “tema di prova per presunzioni”, è compito del giudice del merito valutare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva e che il suo apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità se sostenuto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Cass., 3281/2012, 24134/2009, 12980/2002.

65. Tanto precisato, pur riconducendo, al di là della rubrica, la censura in esame al vizio individuato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, evidenziando, con argomentazioni puntuali, esaustive e lineari, non inficiate da alcun vizio di violazione di legge, che le circostanze dì fatto allegate dal C., che ha puntualmente analizzato, costituivano indizi seri precisi e concordanti per presumere l’avvenuta frustrazione della personalità morale di questi.

66. Con siffatte argomentazioni motivazionali le ricorrenti incidentali non si sono confrontate, e non hanno dedotto alcunchè in ordine alla rilevanza, ai fini del giudizio presuntivo, delle circostanze di fatto valutate nella sentenza impugnata per desumere, presuntivamente, la sussistenza del danno professionale non patrimoniale determinato dalla illegittima condotta delle Amministrazioni stesse.

67. Sulla scorta delle considerazioni svolte il secondo motivo del ricorso incidentale rigettato.

8. Il ricorso principale.

69. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente, perchè correlati entrambi alla statuizione con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale professionale, sono infondati.

70. Richiamati i principi di diritto e le considerazioni svolte nei punti da 62 a 65 di questa sentenza, va rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte, evidenziando, con argomentazioni puntuali, esaustive e lineari, non inficiate da alcun vizio di violazione dì legge, che le circostanze di fatto allegate dal C., che ha puntualmente analizzato non consentivano di desumere, anche attraverso il ricorso al ragionamento presuntivo, l’avvenuto depauperamento dei suo patrimonio di conoscenze di abilità e di esperienze ovvero la mortificazione delle aspettative di progressione in carriera.

71. Il ricorrente principale, nel sostenere che le stesse circostanze di fatto scrutinate per il riconoscimento della pretesa risarcitoria del danno non patrimoniale sarebbero probanti della esistenza del danno patrimoniale alla professionalità, mira in sostanza ad ottenere un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, inammissibile in sede di legittimità.

72. Le argomentazioni motivazionali spese dalla Corte in ordine alla mancanza di allegazioni idonee a far presumere l’esistenza di danni professionali patrimoniali costituiscono ratio decidendi logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla.

73. Le considerazioni appena svolte assorbono, pertanto, le censure formulate con riguardo all’affermato carattere prestigioso dell’incarico dirigenziale attribuito in data 1 marzo 2001.

74. Sul terzo motivo.

75. Il motivo è infondato.

76. Il potere del giudice di procedere, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., a liquidazione equitativa del danno, inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, avendo ad oggetto un apprezzamento di fatto, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 12253/2015, 9138/2011, 2352/2010, 10864/2009, 5333/2003, 10268/2002, 18599/2001, 104/1999).

77. Questa Corte ha affermato, con numerose pronunzie, non privo di concretezza il ricorso in via parametrica alla retribuzione per la determinazione in termini quantitativi del danno da impoverimento professionale, in fattispecie in cui veniva in rilievo l’annientamento delle prestazioni proprie della qualifica (Cass. 12253/2015, 7967/2002, 9228/2001, 835/2001).

78. Detto parametro è stato correttamente utilizzato nella sentenza impugnata nella fattispecie dedotta in giudizio, nella quale, pur non venendo in rilievo la violazione dell’art. 2103 c.c. (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 1) si pone questione di risarcimento del danno non patrimoniale alla professionalità conseguente alla inattività nella quale il C. è stato costretto dalla illegittima condotta delle Amministrazioni.

79. Non può negarsi, pertanto, che l’entità della retribuzione possa essere assunta, nell’ambito di una valutazione necessariamente equitativa, a parametro del danno non patrimoniale derivato dalla totale inoperosità.

80. La sentenza impugnata non merita, dunque, le censure deducibili in questa sede – sotto il profilo del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), nel senso precisato -, nella parte in cui ha liquidato il danno in via equitativa, prendendo a riferimento la retribuzione mensile percepita dal C. e spiegando le ragioni per le quali è stato apportato il correttivo della percentuale del 25%.

81. La Corte territoriale, con argomentazioni chiare, lineari ed esaustive, ha, infatti, spiegato che la retribuzione non esprime soltanto il valore professionale della prestazione ma compensa anche la penosità fisica ed intellettuale, l’impegno quali-quantitativo, l’intensità dello sforzo, elementi questi ritenuti non scalfiti dalla forzosa inattività.

82. Sulla scorta delle considerazioni svolte il ricorso principale va rigettato.

83. Le spese del giudizio vanno compensate avuto riguardo alla reciproca soccombenza.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso principale.

Rigetta il ricorso incidentale.

Dichiara compensate le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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