Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12205 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/05/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 08/05/2019), n.12205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. MARGHERITA Maria Leone – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24323-2018 R.G. proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA

52, presso lo studio dell’avvocato TAVERNESE MARCO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

ROMA, depositata il 30/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO CARMELO, che chiede

che la Corte di Cassazione, in camera di consiglio, indichi quale

Tribunale competente il Tribunale di Roma, in funzione di giudice

del lavoro.

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Roma ha dichiarato la propria incompetenza per territorio sulla domanda proposta da P.S. nei confronti del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e del DIPARTIMENTO DELLA AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA del medesimo Ministero per il pagamento della mercede maturata come detenuto-lavoratore e per la regolarizzazione degli adempimenti contributivi.

che a fondamento della pronuncia declinatoria della competenza il Tribunale ha osservato che, trattandosi di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, benchè connotato da specialità, il criterio di collegamento applicabile è quello di cui all’art. 413 c.p.c., comma 5; nella specie l’ufficio di assegnazione del dipendente doveva individuarsi nell’Istituto penitenziario in cui il detenuto aveva svolto la prestazione lavorativa. Il P. al momento della cessazione del rapporto di lavoro era ristretto presso l’Istituto Penitenziario di Tolmezzo, rientrante nella circoscrizione del Tribunale di Udine.

che avverso la ordinanza ha proposto ricorso per regolamento di competenza P.S.; il Ministero della Giustizia ha depositato atto di costituzione;

che le conclusioni del PM sono state comunicate alle parti -unitamente al decreto di fissazione della adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c..

che il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto che i rapporti di lavoro instaurati dai detenuti non si qualificano come rapporti di pubblico impiego ma come rapporti speciali di natura privatistica, in ragione: della finalità rieducativa e di reinserimento sociale; della derivazione legale; della qualità delle parti; del sistema di reclutamento; delle modalità di determinazione della remunerazione. Tale qualificazione trova riscontro nel fatto che tra le pene accessorie alla condanna penale vi è l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione e la estinzione del rapporto di pubblico impiego eventualmente in essere. Ne consegue che la norma regolatrice della competenza deve individuarsi nell’art. 413 c.p.c., comma 2, che prevede tra i fori alternativi quello della sede del MINISTERO-datore di lavoro.

Ha comunque dedotto che la competenza del Tribunale di Roma sussisterebbe anche a voler applicare il criterio residuale di collegamento di cui all’art. 413 c.p.c., u.c..

che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso;

che, invero, deve darsi continuità in questa sede ai principi enunciati da questa Corte con ordinanze 17 agosto 2009 n. 18309 e 17 settembre 2009 n. 20055, secondo cui nelle controversie relative al rapporto di lavoro delle persone detenute non è applicabile il criterio di competenza di cui all’art. 413 c.p.c., comma 5, e devono invece trovare applicazione i criteri di cui al comma 2 di detto articolo.

Si è ivi osservato che l’art. 413 c.p.c., comma 5, inserito dal D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, art. 40, si riferisce ai rapporti di lavoro pubblico ai quali il legislatore delegato era stato autorizzato (con la L. delega 15 marzo 1997, n. 59, art. 11, comma 4, lett. a e g) ad estendere la disciplina del lavoro comune, attribuendo altresì la giurisdizione al giudice ordinario. La formulazione testuale della norma, inoltre, milita nella medesima direzione, per il riferimento alla nozione di “dipendenza” da una pubblica amministrazione e, quale criterio di collegamento, alla “sede dell’ufficio” al quale il dipendente è addetto, termine indicativo dell’inserimento del lavoratore nell’apparato della pubblica amministrazione in relazione all’esercizio delle sue finalità istituzionali.

Quanto alla qualificazione del lavoro carcerario, le norme di disciplina si rinvengono nella L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. da 20 a 24 (Ordinamento Penitenziario), applicabili ratione temporis nella fattispecie di causa nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 124, art. 2.

Trattasi tipicamente di lavoro in forma subordinata: il lavoro autonomo è considerato dalla L. n. 354 del 1975, art. 20,comma 15, (attuale comma 11) come ipotesi eccezionale di esecuzione del lavoro penitenziario.

Il rapporto si svolge alle dipendenze della stessa Amministrazione penitenziaria ovvero di terzi e può essere eseguito all’interno ovvero (in forza delle previsioni dell’art. 21) all’esterno degli istituti penitenziari. Il Regolamento di esecuzione – D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 47 – stabilisce che le lavorazioni penitenziarie, sia all’interno sia all’esterno dell’istituto, possono essere organizzate e gestite dalle direzioni degli istituti ovvero, allo stesso modo, da imprese pubbliche e private, in locali eventualmente concessi in comodato dalle direzioni, precisando che in tal caso i detenuti e internati che prestano la loro opera nelle lavorazioni dipendono, quanto al rapporto di lavoro, direttamente dalle imprese che le gestiscono.

Pertanto ove il detenuto lavori alle dipendenze di un’impresa esterna, sia all’interno che all’esterno dell’istituto di pena, il rapporto di lavoro farà capo a quest’ultima mentre quando le lavorazioni vengano gestite, sia all’interno sia all’esterno dei penitenziari, dagli stessi istituti di pena, come nella fattispecie di causa, si riscontrerà l’unicità della titolarità del rapporto di lavoro e di detenzione.

Questa Corte ha con giurisprudenza costante assimilato il lavoro carcerario sia se prestato a favore della amministrazione penitenziaria sia se svolto alle dipendenze di altri datori di lavoro al rapporto di lavoro di diritto privato, nonostante le particolarità della sua regolamentazione normativa (tra le atre, Cassazione civile sez. un., 21/07/1999, n. 490).

Sulla base di tale assimilazione ha invero attribuito alla competenza del giudice del lavoro (Cass. 14 dicembre 1999 n. 899) le controversie introdotte in epoca anteriore alla previsione di uno specifico procedimento, di competenza del magistrato di sorveglianza, sui reclami del detenuto concernenti il rapporto di lavoro (come operata dalla L. n. 663 del 1986, art. 21, modificativo della L. n. 354 del 1975, art. 68); tale competenza è stata poi ribadita (Cass. 26 aprile 2007 n. 9969 e 15 ottobre 2007n. 21573) a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del suddetto procedimento speciale (giusta sentenza Corte Cost., 27 ottobre 2006 n. 341).

Sul piano sostanziale il principio è stato a posto fondamento della ritenuta sospensione del decorso della prescrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore detenuto durante lo svolgimento del rapporto (Cassazione civile sez. lav., 15 ottobre 2007, n. 21573; 16 febbraio 2015 n. 3062).

Il Ministero della Giustizia in memoria ha insistito sulla natura pubblica del rapporto di lavoro, in quanto non nascente da un incontro di volontà delle parti stipulanti ma da un obbligo di legge ed, inoltre, per la sua finalità di reinserimento sociale del detenuto.

Tali argomenti non convincono, dovendosi per contro evidenziare, sotto il primo profilo, che la fonte legale del rapporto non incide sulla sua natura, una volta instaurato, e, quanto alle finalità sociali, che l’obiettivo è stato perseguito non già con la preposizione del detenuto ad un ufficio – ovvero ad un compito comunque inerente la amministrazione attiva-ma con la realizzazione di un rapporto di lavoro subordinato privato, seppure con talune specialità legate allo stato di detenzione. Di ciò è evidenza nel fatto che la medesima finalità viene indifferentemente perseguita anche attraverso la costituzione di rapporti di lavoro alle dipendenze di soggetti privati.

Tanto premesso, neppure può condividersi la tesi, sostenuta in via gradata dal Ministero, della individuazione della sede aziendale- ai fini di cui all’art. 413 c.p.c., comma 2 – nella direzione

dell’Istituto penitenziario o al più- per le cosiddette lavorazioni tecniche- nel Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria (ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 20-bis).

Questa Corte in tema di competenza territoriale nelle controversie di lavoro ha chiarito che il foro speciale costituito dal luogo in cuì si trova l’azienda ex art. 413 c.p.c., comma 2, va determinato, tanto per le imprese gestite in forma societaria che per la impresa individuale, in riferimento al luogo in cui si accentrano di fatto i poteri di direzione ed amministrazione dell’azienda (di norma coincidente con la sede) indipendentemente da quello in cui si trovano i beni aziendali e nel quale si svolge l’attività imprenditoriale (Cass. n. 9256 del 17/04/2009; Cass. n. 10465 del 21/10/1998).

Nell’applicare tale principio alla fattispecie del lavoro penitenziario ha evidenziato (Cass. n. 20055/2009 e n. 18309/2009, sopra citate) che le norme dell’ordinamento penitenziario e del regolamento di esecuzione (D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, art. 47) prevedono la necessità degli istituti penitenziari di darsi una organizzazione per la produzione di beni e la realizzazione di servizi (sia pure allo scopo di fornire ai detenuti occasioni di lavoro) nella quale un ruolo fondamentale di coordinamento è rimesso al Dipartimento della Amministrazione penitenziaria.

Il Ministero, attraverso il Dipartimento, verifica la fondatezza degli ordinativi di lavoro intercorrenti fra gli istituti penitenziari e la possibilità della loro esecuzione e distribuisce le commesse di lavoro provenienti dalle amministrazioni dello Stato e dagli enti pubblici; soprattutto, è il Ministero e determinare i programmi, gli indirizzi e le direttive al fine di assicurare l’uniformità dell’azione penitenziaria sul territorio nazionale ed a provvedere alla ripartizione tra i Provveditorati regionali dei fondi stanziati in bilancio onde assolvere alle esigenze di funzionamento degli Istituti penitenziari (D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 444, artt. 2 e 3).

Conseguentemente il Ministero della Giustizia deve considerarsi il centro di direzione e coordinamento delle strutture aziendali -(il cui carattere limitato non ne impedisce la rilevanza ai fini della determinazione della competenza)- che fanno capo agli Istituti penitenziari.

che, pertanto, il ricorso deve essere accolto e dichiarata la competenza del Tribunale di Roma, in relazione al criterio di collegamento del foro della azienda (ferma la operatività dei due ulteriori criteri di collegamento alternativi di cui all’art. 413 c.p.c., comma 2);

che le spese del procedimento vanno rimesse alla definizione del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Roma.

Fissa il termine di legge per la riassunzione della causa.

Spese al definitivo.

Così deciso in Roma, nella Adunanza, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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